I VAMPIRI OGGI

It was many years ago
that I became what I am:
I was trapped in this life
like an innocent lamb.
Now I can never show my face at noon,
and you only see me walking
by the light of the moon.
The grim of my hat
hides the eyes of a beast:
I’ve the face of a sinner,
but the hands of a priest.
Oh, you’ll never see my shade,
or hear the sound of my feet,
while there’s a Moon Over Bourbon Street…

-Sting, “Moon Over Bourbon Street”-

“Dormi tutto il giorno. Impazzi la notte. Non invecchi mai. Non muori mai. Niente male essere un vampiro oggi.”.

Così recitava il manifesto di The Lost Boys, pellicola di Joel Schumacher, del 1987, che presentava un’aguerrita banda di teen-agers vampiri, motorizzati e abbigliati come musicisti rock.

In effetti, viene da chiedersi se, alle soglie del terzo millennio, un vampiro possa trovare ancora le condizioni di vita favorevoli per trascinare la propria immortalità.

In questa prima parte del nostro lavoro, abbiamo voluto dimostrare non tanto l’esistenza reale dei figli della notte, quanto la loro presenza simbolica e mitica nella storia dell’umanità.

Fabio Giovannini 88 ha scritto che la cultura di fine secolo è la cultura del vampiro, riferendosi soprattutto all’azione dei mass-media, alla loro commistione nell’uso di modalità espressive, e all’appropriazione indebita del passato.

Il libro-vampiro, l’opera d’arte-vampira, che pure suggevano l’anima tanto allo scrittore e all’artista, quanto a chi della loro opera usufruiva, lasciano gradualmente il posto al video-vampiro, al vampiro-telematico, che tutto in sé ingloba e annulla, spersonalizzando le sue infinite vittime e cancellando i mezzi espressivi di ieri. Sembra che nulla sia rimasto da dire, nulla che non sia già stato detto, a livello artistico e sociale.

Il vampiro, eternamente sospeso tra la vita e la morte, creatura ambigua per eccellenza, risulta ineffabile quanto questo mondo in continuo mutamento, che, pure, non porta a nulla di veramente nuovo “ ma solo a qualcosa di post”, come conclude il Giovannini 89.

Massimo Introvigne dedica l’ultima parte del suo studio 90 proprio alla dimensione moderna del vampiro, non facendone un’accusa allo strapotere dei media, un mezzo di appiattimento culturale, ma distinguendo le varie accezioni in cui la si può riscontrare, al giorno d’oggi. Lo studioso  romano ripercorre i principali progressi della psichiatria di fronte al fenomeno, e cita anche quelli che sono stati considerati veri e propri casi di vampiri-criminali, già trattati, tra l’altro, da Ornella Volta 91. Ma più interessante per noi è la sua ricerca sul ‘vampiro culturale’, che l’Introvigne introduce, dopo aver parlato del vampiro-religioso e dal fan.

Esistono vere e proprie organizzazioni di culto, come il Tempio del Vampiro, generalmente derivate da chiese sataniche o gruppi fondamentalisti, così come, molto meno inquietanti, si sono sviluppate  ovunque associazioni che riuniscono appassionati di cultura vampirica, o di un particolare autore o personaggio. Alcuni  di questi clubs hanno rilevante importanza letteraria e accademica, come la Bram Stoker’s Society, legata al Trinity College di Dublino, e ‘figlia’ di quella Philosophical Society di cui lo stesso Stoker fu presidente, o la Transylvanian Society of Dracula, che ha sede a Bucarest, e filiali il tutto il mondo. Altri clubs, sorti soprattutto negli Stati Uniti, hanno per lo più il fine di riunire i giovani appassionati del genere, e di promuovere il vampirismo come fenomeno di costume: così  l’Anne Rice’s Vampire Lestat fan Club, con sede a New Orleans, che organizza meeting e feste che rievocano l’atmosfera dei romanzi delle Chronicles. Ci sono poi i gruppi nati intorno ai giochi di ruolo d’argomento vampirico, il più importante dei quali, Vampire, the Masquerade, è diffuso anche in Italia.

Un discorso a parte meriterebbe la musica ‘vampirica’, portata avanti da gruppi ‘gotici’ ed heavy metal: oltre a fare spesso riferimento alla letteratura vampirica, nei nomi stessi delle formazioni e nei testi delle canzoni, alcuni di questi musicisti presentano curiose commistioni tra musica e teatro, come Tony Lestat, che partecipò nel 1989 al Theatre of Vampires, spettacolo  di  teatro e  musica ispirato  ai  vampiri  a Long Beach, California, o Tony Sokol, autore de La Commedia Del Sangue: Dances From A Shallow Grave – The Vampire Theatre. In entrambi i casi, l’ispirazione è partita dall’episodio del Teatro dei Vampiri nel romanzo Interview with the Vampire di Anne Rice.

Ma l’Introvigne riconosce anche una ‘razza’ a parte, che denomina appunto ‘vampiro culturale’ 92.  Si  tratta di  persone apparentemente  normali, anche se  spesso seguono  la moda e  la musica care anche ai semplici fans dei figli della notte, ma che decidono, senza esserne spinte da bisogni compulsivi, che farebbero di loro dei malati di mente, di bere sangue. Essi s’incontrano soprattutto su Internet, ma oggi hanno anche delle associazioni proprie, distinte dai fan clubs di cui sopra.

Un vampiro culturale è una persona che vive quotidianamente il proprio vampirismo, facendone una filosofia di vita e di costume. Egli crede profondamente nella propria natura, ed è solito bere sangue umano, soprattutto nell’ambito di giochi sessuali, anche se mai con danno eccessivo per il ‘donatore’. Il bisogno di sangue, infatti, può essere occasionale o sistematico, ma tutti insistono sul fatto che l’assunzione non deve avere caratteristiche violente o dolorose per la ‘vittima’.

Il vampiro culturale è spesso interessato al cinema, alla letteratura e alla musica vampirica; in molti casi veste con abiti che richiamano la tradizione, e si fa addirittura installare canini appuntiti, o vere fangs; vive prevalentemente di notte, frequentando locali e ambienti a lui idonei.

Il problema maggiore di questi vampiri contemporanei è di non essere presi sul serio. Nel marasma dei mille Dracula e Lestat che navigano in Internet, tra le folle di ragazzini in cappa che emulano gli eroi dello schermo, non è facile al povero vampiro trovare chi, come lui, ‘ci crede davvero’, ed è disposto a condividere un amore all’ultimo morso…

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La figura del vampiro, dunque, sembra avere ancora molto da offrire ai figli del nostro tempo. Ma cosa? E perché?

Alla sua comparsa come simbolo letterario, ai primi dell’Ottocento, la sua funzione era evidente: l’uomo moderno, perduto il senso di appartenenza al mondo, perdute le radici stesse del suo essere, quell’armonia tra Tutto ed individuo che era alla base della visione greca del cosmo, si ritrova a combattere contro il senso di vuoto che tale perdita ha lasciato. La perdita della cosmicità naturale gli ha dato altresì la libertà di spaziare maggiormente, pressoché all’infinito, nel mondo esterno, e, ancora di più, nel suo mondo interiore, ed è così che egli procede, verso il nuovo secolo, combattuto tra l’ansia di libertà e la perdita di un luogo in cui tornare, mentre tutto intorno a lui cambia velocemente, troppo velocemente.

Perduti tutti i punti di riferimento esterni, l’uomo rientra in se stesso, per trovare un mondo, come il Werther di Goethe, ed in se stesso cerca anche le ombre di coloro che sono stati, gli spettri negati dalla Riforma, che ancora vagano inquieti, alla ricerca di una nuova identità.

L’uomo ritrova in sé quegli spettri senza dimora, nel senso di vuoto che lo attanaglia, accompagnandosi sempre con la consapevolezza della nuova libertà acquisita, la libertà di andare oltre ogni limite imposto dalla morale, dall’etica, dalla natura. Questa la sua consolazione per la perduta armonia, e l’arma del suo riscatto.

Il vampiro, che si profila agli inizi dell’Ottocento, emergendo dalle nebbie confuse del mito, incarna proprio questo senso di vuoto interiore, che l’uomo proietta in sé, cibandosene, alimentandone la propria malinconia, per poi tornare ad esternarlo, sotto forma di spettro persecutore. Uno spettro che ha in sé un potere immenso, in nome del quale ha rinunciato alla propria umanità, così come l’uomo moderno, seppur non per libera scelta, ha dovuto rinunciare a tutte le sue certezze, e ha perduto la sua innocenza.

La sensibilità gotica, il nuovo potere attribuito alla fantasia, libera di cercare la bellezza anche nell’orrido, in ciò che travalica i limiti dell’umano sentire, ha contribuito poi all’affermarsi della nuova creatura, del mostro che ha sfidato la vita e la morte, di colui che vive sulla terra di confine, che non appartiene né al mondo dei vivi, né a quello dei morti, ma va e viene da un mondo all’altro.

Così il vampiro nasce, e si fa letteratura, e non c’è da stupirsi dell’accoglienza entusiastica che gli viene tributata, poiché, nel senso di vuoto che in lui si fa tangibile, la compagine umana non può che riconoscersi.

Meno definitivo del Diavolo, nel suo essere incarnazione del Male, e, soprattutto nella sua eccezione più letteraria e moderna, più che mai sospeso tra la condizione di uomo e mostro, di demonio e seduttore, di carnefice e vittima innocente di un Male più grande, il vampiro è più vivo che mai, nelle infinite maschere che il nuovo millennio gli offre.

Sintomatico di un periodo di crisi ed incertezza, quando viene meno il consenso universale intorno a ideologie e valori comuni, il vampiro moderno non è più semplicemente il sovvertitore dell’ordine, il male che si contrappone al bene, ma porta con sé un bagaglio psicologico complesso e non facilmente liquidabile.

Dall’Ottocento a oggi, lo spettro ha acquisito una tangibilità nuova, si è ulteriormente accostato al mondo degli uomini, fino a farsi uomo.

Come restare insensibili davanti alla tormentosa ricerca di un’identità di Lestat, ai sofferti interrogativi di Louis, che sono, in fondo, quelli di ogni uomo: chi sono? Da dove vengo? Di che sostanza è fatta la mia anima?…

Il vampiro più vicino all’uomo, dunque, e l’uomo più vicino al vampiro, anche nell’accezione più negativa del caso, perché il male, quello vero, esiste, come è sempre esistito, ed avvince l’uomo anche senza bisogno di sedurlo.

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88 Il libro dei vampiri, cit.
89 ibid., cit., p.13
90  La stirpe di Dracula, cit.
91 Il Vampiro, cit.
92 La stirpe di Dracula, pp. 426 e segg