Capitolo 7
Gyllahesh mangiò in fretta del pane e formaggio di capra, prima di lasciare Nabir solo nella cucina a terminare il cibo. Il ragazzo sembrava così solo, ma gli aveva visto sul viso una scintilla di coraggio, un bocciolo di determinazione che glielo fecero ammirare ancora di più. Nabir aveva diritto a essere felice, per quanto un uomo potesse essere felice a Endora. Non meritava di essere emarginato per le sue difficoltà, né rischiare di morire perché non c’era nessuno a occuparsi di lui. Selia gli aveva raccontato di come l’avesse allevato, sforzandolo a rendersi più autonomo possibile a mano a mano che la vista peggiorava. Gyllahesh se ne era accorto, vedendolo mangiare: tastando l’area intorno al piatto, sfiorando con le dita il bicchiere, usando il cucchiaio con perizia. Per qualche inspiegabile ragione, la cosa lo rendeva fiero. Mentre raggiungeva Myrrin al piano superiore, si rese conto che forse una spiegazione c’era, e ruotava intorno alla bizzarra attrazione che provava per quel bellissimo ragazzo biondo dagli occhi di smeraldo. Attrazione che avrebbe dovuto combattere e che, invece, lo riscaldava come non aveva mai fatto nessuna donna.
***
Nabir era fermo in mezzo alla stanza che Myrrin aveva preparato per lui. Gyllahesh osservava il suo viso e si accorse che il ragazzo avrebbe voluto vederla. La camera era adiacente alla propria, con una porta comunicante. Non era molto grande, ma trovavano comunque posto un cassettone e un piccolo armadio, oltre al letto. La finestra a bovindo dava sul giardino, e Gyllahesh provò un moto di rammarico al pensiero che Nabir non potesse vedere che ombre, affacciandosi.
«È tutta per me?» La voce del giovane uomo portava con sé sorpresa e una parvenza di incredulità.
«Naturalmente. Dove credevi avresti dormito?» Gyllahesh voleva che fosse una battuta, ma l’espressione di stupore sul volto di Nabir si incrinò. Fu un solo attimo, poiché il ragazzo rilassò i lineamenti e alzò le spalle.
«Forse da qualche parte, insieme ad altre persone.»
«La villa è grande,» interloquì Myrrin, andando a tirare le tende. «Anch’io ho la mia stanza personale. Comunque,» aggiunse, girandosi, «non siamo in molti a far parte della corte di Gyllahesh. Io, Tyro, Sivar e Rashin. Più tardi te li farò conoscere.»
Nabir annuì, e Myrrin ne approfittò per uscire, lasciandoli soli. Gyllahesh si avvicinò al suo nuovo ospite e sorrise, anche se l’altro non poteva vederlo.
«Non devi temere, Nabir. Qui sei il benvenuto.»
«Lo so, ma…» Nabir scrollò i riccioli biondi, lasciando cadere la frase.
«Ma?» lo incalzò Gyllahesh, studiando il suo viso. Per la grande Madre Alcheria, era di una bellezza sconvolgente. Le ombre si stavano allungando, e accarezzavano quella pelle appena abbronzata donandole un aspetto etereo. Gli occhi verdi si alzarono su di lui.
«Voglio lavorare. Voglio poter fare qualcosa, Gyllahesh. Posso aiutare in cucina, imparare a muovermi per il giardino. Non voglio essere un peso.»
Lui represse il desiderio di abbracciarlo, e deglutì la commozione che gli aveva serrato la gola. Quel giovane uomo dalla vista precaria era colmo di orgoglio e impaziente di rendersi utile, malgrado le difficoltà. Lui aveva voluto prenderlo con sé per il debito di gratitudine che aveva con sua madre, ma si rese conto che non era la sola ragione. Per quanto uomo, e sottomesso al potere femminile, voleva dare una possibilità alla vita difficile che aveva avuto, benché Selia avesse cercato di non fargli mancare niente. Voleva vederlo felice. Voleva vederlo sorridere per illuminare la stanza.
«Non lo sarai. Ho già parlato con Myrrin, domani ti illustrerà le tue mansioni e ti aiuterà a orizzontarti nella casa e nel giardino. So che in questo sei bravo, una volta imparate le distanze, ti muoverai senza particolari problemi.»
Nabir annuì di nuovo, ma non rispose. Si guardò attorno, come se volesse oltrepassare il muro di ombra che gli velava gli occhi per osservare la stanza.
«Vuoi prendere confidenza con i tuoi spazi?» gli chiese Gyllahesh. «Puoi iniziare da qui a muoverti da solo.»
«Sì, grazie. Non voglio iniziare la mia nuova vita a Omira con dei lividi.»
Gyllahesh rise. «Certo che no. Io scendo. Quando vorrai, basta solo che ti affacci alla porta e chiami qualcuno. Le scale sono vicine, ma non voglio che ti avventuri da solo prima di esserti abituato.»
«D’accordo.» Nabir alzò lo sguardo, e lui ebbe la curiosa sensazione che lo vedesse. Il ragazzo sorrise, riempiendogli il cuore di emozione. «Grazie, Gyllahesh.»
Lui annuì, anche se l’altro non poteva accorgersene, così cercò di far uscire la voce. «Di niente, Nabir.»
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