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Alla fine del racconto, decidi, ma che ti sia piaciuto oppure no, rifletti.
Un figlio e una madre. L’omosessualità di lui li ha tenuti lontani per troppo tempo. È arrivato il momento di fare i conti con due esistenze che si cercano. E che, forse, si troveranno. Alla fine.
Ho lasciato il buonumore fuori, all’ingresso. Non c’era spazio per lui. Non oggi, non ora che ti trovo qui, distesa su questo letto anonimo. Le ciocche dei capelli, grigie e sfatte, ti incorniciano un viso scavato, cosparso di solchi e di rughe. Creano geometrie irregolari che sembrano quasi voler giocare con i tuoi connotati. Potrei seguirne le linee coi polpastrelli, esplorarne la mappa, al tatto, ma le mie dita non si muovono, contratte a pugno.
Non sei nemmeno più tu. Ti guardo e rimango in silenzio, non riesco a dire ciò che sento. Le mie emozioni si sono trasformate in arsura, che mi secca la bocca.
Continuo a fissarti. Lo fai anche tu. Hai registrato la mia presenza, come accade sempre, anche quando sono lontano. Ricordo di aver sempre considerato quanto fossimo diversi e, nonostante tutto, mi viene da ridere. I tuoi occhi stanchi mi guardano, quasi in una supplica muta.
«Riuscirai a raggiungere l’altra parte della mia isola?» sembrano chiedermi.
«Ma’, vieni a vedere!»
«Un attimo.»
Potevano trascorrere anche delle ore prima che lei si alzasse da quella sedia e dai suoi doveri di scuola, che fossero compiti svolti o solo da preparare.
Chissà quante volte, vedendo i miei occhi spalancati e in attesa, avrà fatto caso a ciò che poteva passarmi per la testa. A quel vuoto che sentivo spalancarsi dentro, sulla bocca dello stomaco, anche se fingevo che fosse tutto a posto e che potessi andare avanti anche da solo.
Anche quando avrei voluto aspettarla e basta.
Il cancro ha iniziato a divorarti già da qualche anno, mi ricordo esattamente quando lo scoprii. Eravamo a pranzo, tra un commento e l’altro, in uno dei nostri soliti discorsi generici e imbarazzati, tra un “come va la farmacia?” e un “mangi abbastanza?”, evitando anche solo di accennare a che vita facessi o chi fosse il mio compagno. Ma anche se allora cercavo di essere forte accettando persino la tua naturalezza, non ero pronto ad affrontarti in questo stato, non alla fine.
La tua.
Sono qui e ti guardo. Ora.
Sul tuo braccio scarno è inserito l’ago di una flebo.
Il respiratore ti fornisce l’ossigeno di cui hai bisogno, eppure, anche se non parli più, riesco quasi a percepire quanto non desideri trovarti qui. La prima cosa che condividiamo, eh?
Mi siedo sulla poltrona accanto al letto, non segui nemmeno i miei spostamenti, mentre la luce prepotente illumina la stanza, dalla finestra. Il celeste delle pareti mi acceca. Cerco di allargarmi il colletto della camicia, fa caldo. E poi ritorno a te. Al nostro dialogo silenzioso.
«Ho pensato molto al tuo discorso di ieri. Con enorme dolore.» Eravamo uno di fronte all’altra. Ci eravamo evitati tutto il giorno, la gioia per essermi levato quel fardello di dosso si era rivelata effimera. Mi bastava ricordare le facce, la sua e quella di papà, quando glielo avevo detto, per farmi palpitare. «Temo che in questo periodo tu ti senta un po’ omosessuale.» Proseguiva.
«Un po’?» sorrisi, sarcastico. “Papà alla fine ha mandato te”, avrei voluto aggiungere, ma lo pensai e basta.
Lei aveva uno sguardo duro, seppure addolorato.
«Non ci trovo nulla da ridere, penso che uno psicologo possa aiutarti a guarire.»
«Non ne ho bisogno» risposi, senza nemmeno accettare il foglio che mi porgeva con fermezza.
«Ma tu a vent’anni non puoi sapere cosa vuoi! Io sono tua madre e non credo sia giusto da parte tua rifiutare la mia proposta.»
«Non penso di essere malato, se è questo ciò che vuoi dirmi.»
Lei sbuffò, era sul serio alterata. Ma leggevo la sconfitta nei suoi modi.
«Perseguendo quel tipo di scelta avrai davanti solo solitudine e sofferenza! È un peccato contro Dio! Come fai a non rendertene conto?»
Mi agitai seduto sul letto, avrei voluto alzarmi e scappare via da lì. Urlare. Ma boccheggiavo e basta. Lei tacque, sospirando. Il foglio rivolto ancora nella mia direzione.
«In tutti questi anni ti sei rinchiuso in una specie di isola, non permettendo mai, a nessuno di noi, nemmeno di parlarne. E questo» si sedette accanto a me, «è il risultato.»
Avrei voluto piangere, ma non potevo darle quel tipo di soddisfazione. Mi scostai, averla vicino mi faceva sentire il fuoco sulla pelle. Bruciava.
«Io non ho scelto proprio nulla» sussurrai, sprezzante, prima di uscire da lì.
Nella stanza siamo soli. È pomeriggio inoltrato, ho notato che le infermiere sonnecchiano nell’altra sala, dinanzi al televisore. Ora capisco perché i fratelli mi hanno chiesto di farlo e più osservo i tuoi occhi, stanchi ma ancora lucidi, più comprendo che si tratta di un tuo desiderio.
Solo me. Mi stupisce che tu sia stata capace di varcare tutte le riserve mentali tanto da aspirare a farla finita.
Proprio ora, alla fine, devo scoprire che hai avuto il coraggio di oltrepassare i confini per esplorare punti di vista diversi.
«È davvero quello che vuoi?» ti chiedo.
C’era un caldo opprimente. Il prete, imperterrito, ci torturava con la sua omelia.
«La famiglia è l’unico principio agli occhi di Dio e solo lui può decidere quanto la vita debba durare o concludersi. Perché la vita è il Suo dono.»
Eravamo tutti quanti in prima fila, vestiti di nero.
Papà era morto da due giorni.
«L’uomo è come un naufrago, la vita è la sua isola e Dio è l’unica provvidenza che possa dargli cibo e riparo dalle intemperie. Non ha bisogno di esplorare l’altra parte dell’isola, perché il naufrago crede in lui.»
Avevo trentasei anni e un compagno che mi aspettava in un’altra città. Era questa la mia vita all’epoca.
«L’aborto è morte!» Enunciava ancora il parroco con voce autorevole «L’omosessualità è una vergogna, un peccato contro Dio e la famiglia. L’eutanasia è omicidio! E noi, come il naufrago, abbiamo una sola legge. Quella di Dio!»
Mi accorsi che lei si era voltata nella mia direzione. Vidi che annuiva, incontrando il mio sguardo.
Una volta uscito dall’ospedale, in religioso silenzio, ho deciso di venire qua, nella spiaggia solitaria dove ci portavi tu, mamma, quando eravamo piccoli. Lo stesso isolotto di allora mi guarda ridente stagliandosi all’orizzonte tra gli scogli.
L’ho fatto, alla fine l’ho fatto.
La miscela era quella giusta e so già che nessuno si accorgerà di nulla. Non rimarranno tracce. Ho visto nei tuoi occhi qualche lacrima, quando finalmente hai capito cosa stessi facendo con la siringa in mano. Mentre procedevo con la mia missione nella flebo, sul tuo viso ho scorto una nuova serenità.
Ho fatto come volevi.
Lascio cadere i miei abiti sulla sabbia. Non c’è nessuno, mi avventuro, nudo, tra le onde.
Rivedo il tuo sguardo, quello con cui mi hai ringraziato, prima di chiudere una volta per tutte gli occhi e lasciarti andare. Piangevo, stringendoti la mano per l’ultima volta. Poi ho chiamato gli altri, dovevo andare via. Non potevo rimanere lì.
«A più tardi, mamma» ho sussurrato.
Ora sto nuotando.
Forse domani riprenderò la mia vita di sempre. Oggi non posso.
Respiro prima di continuare le bracciate. Sei qui, ti sento.
Gli scogli sono sempre più vicini.
Oggi esplorerò l’altra parte della tua isola.
Francesco Mastinu (12/02/1980) vive a Cagliari circondato dal sole e dal mare sin dalla nascita. Lavora nell’ambito delle politiche sociali, è anche un autore e blogger. Dopo alcuni racconti di vario genere in antologie collettive e dopo qualche pubblicazione di genere omoerotico, ha esordito nel 2012 con suo romanzo “Eclissi”(Lettere Animate Editore), riscuotendo un buon apprezzamento dalla critica. Nel 2014 ha pubblicato “Polvere” (Runa Editrice), suo secondo romanzo, e la raccolta di racconti “Concatenazioni” (6Pollici Edizioni), tutte produzioni a tematica LGBT.
Ha inoltre pubblicato la serie “Emozioni del nostro tempo” per l’editore Amarganta, attualmente di tre volumi con Falene (2015) Foglie (2015) e Sono solo Parole (2016).
Dal 2011 inoltre segue il blog “Personaggi in cerca di editore” occupandosi di libri, editoria e diritti per le persone omosessuali e presta la propria attività sui medesimi temi in svariati network web noti a livello nazionale.
Da gennaio 2015 è direttore editoriale della collana LGBT per l’editore “Amarganta” e gestisce il network/blog “Vite Arcobaleno”.
Ha inoltre curato la prefazione per il libro “I gatti di Farfa” di Guido Spano, edito da Amarganta, e la raccolta di racconti di autori vari “Oltre l’arcobaleno”, il cui ricavato sta andando in beneficienza a un’associazione per i diritti LGBTI.
Potete trovare i suoi libri su Amazon.
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