In tombs of gold and lapis lazuli
Bodies of holy men and women exude
Miracoulos oil, odour of violet.
But under heavy loads of trampled clay
Lie the bodies of the vampires full of blood;
Their shrouds are bloody and their lips are wet.

-W.B.Yeats, “Oil and Blood”-

 

LE RAGIONI DEL MITO

Avevamo accennato all’esistenza di tre ‘chiavi d’accesso’ alla comprensione del mito vampirico. Tutti gli studiosi sono concordi nel riconoscerle, anche se, inevitabilmente, ciascuno sviluppa poi l’aspetto che riconosce come più significativo. Esse sono:

1.   paura della morte e dei corpi dei defunti;

2.  cannibalismo (in base alla relazione esistente tra sangue e vita);

3.   sesso come caccia, e relazione tra amore e morte, e tra sangue e seme.

Si nota immediatamente come a questi tre punti, facciano capo paure e tabù propri della razza umana fin dalle origini dei tempi, presenti in ogni cultura e mai del tutto risolti, nemmeno dalle grandi religioni .

La morte

La paura dei morti che risorgono dalle loro tombe ha sempre perseguitato l’umanità, come dimostrano gli innumerevoli riti atti a propiziare il sonno del defunto, o ad impedirgli di tornare. Una volta morta, anche la persona più cara e amata, il parente più prossimo, può divenire una minaccia: la putrefazione rende irriconoscibili le care spoglie, e il cadavere, abbandonato dall’anima, diviene qualcosa di alieno e orribile.

“La pietà lascia il posto all’orrore, mentre, incapaci di  dimenticare, ci domandiamo che cosa stia accadendo a chi ‘dorme’ sottoterra.

Un dormiente può anche risvegliarsi.”(40)

Roxana Stuart e molti altri studiosi con lei tracciano un inevitabile parallelismo tra la resurrezione di Cristo e il risvegliarsi del vampiro: la prima rappresenterebbe la versione gioiosa del ritorno dalla morte, la seconda quella da incubo.

Non è questo il solo punto in comune tra la figura del Cristo e quella del vampiro: torneremo a parlarne riguardo al sangue. In base a questa visione, il vampiro torna a porsi nell’area del sacro, come figura negativa, certo, ma non per questo meno potente.

D’altra parte, è  proprio della razza umana dare forma divina a ciò che maggiormente incute timore. Abbiamo già accennato ai rituali, presenti in svariate culture, per assicurarsi che il defunto non decida di far ritorno tra i vivi. Le precauzioni sono innumerevoli, e vanno dalla semplice occultazione del cadavere sotto terra, alla sua mutilazione o distruzione.

In altri casi, come presso gli egizi o gli assiri, ci si preoccupa di fornire al morto tutti i ‘comforts’ possibili, proprio per evitare che esca a cercare ciò di cui ha bisogno.

Scrive Ornella Volta: ”La  morte ha sempre ragione della vita: infatti essa non è solo l’opposto, il negativo della vita, non è soltanto la non-vita, ma una forza aggressiva che agisce talmente sulla vita, dal finire col diventare essa stessa una manifestazione vitale”(41).

L’autrice cita anche molti esempi di precauzioni prese contro i morti in numerose culture, primitive e non. Considerando il vampiro innanzitutto come una creazione  erotica,  la  studiosa  si  sofferma  soprattutto   sui   rituali   che  concernono l’impedimento al morto di uscire dalla tomba per cercare compagnia, e parla delle ‘concubine’ (simboliche, nella migliore delle ipotesi…), fatte di stracci o terracotta, che in Egitto, Mesopotamia, sulle coste del Mediterraneo Orientale, come anche nell’antica Scandinavia, venivano poste nelle tombe come compagne del defunto.

Altri autori si sono soffermati sulla visione della morte come un ‘contagio’ che viene direttamente dai defunti, soprattutto in caso di morti misteriose.

È ancora l’Europa dell’Est a fornire argomento di discussione a Paul Barber, Raymond McNally (42) e altri. È significativo che, in quelle zone, le prime vittime della sete del vampiro siano i parenti più prossimi: condannato dalla prematura dipartita alla solitudine, il defunto torna a rivendicare la propria appartenenza al clan umano e, dal momento che non può più farne parte, cerca di portare con sé il maggior numero di persone possibili.

Proprio partendo da questo ‘bisogno di compagnia’ che ossessionerebbe il vampiro più ancora della sete di sangue, Calmet (43) arrivava addirittura a commiserare le povere creature, scagliandosi contro chi infieriva così crudelmente sui loro corpi!

E’ ancora significativo come le grandi ‘epidemie di vampirismo’ abbiano coinciso con quelle, senz’altro più attestate, di peste, colera, ecc. Questo perché, al di là della citata visione dei ‘morti che contagiano i vivi’, era molto frequente, in quei periodi in cui evitare il contagio era la preoccupazioni primaria, che le vittime del male venissero sepolte prima che ci si fosse assicurati della loro morte clinica (44).

Si torna così a parlare di cadaveri ben conservati, o rinvenuti sporchi di sangue, o in posizioni innaturali.

Dall’XI al XIV secolo, la peste favorì il fiorire di numerose credenze  riguardanti i vampiri, come i ‘cadaveri sanguinanti’ citati dai cronachisti inglesi nel XII secolo (45), o i Nachzeherer polacchi, i morti che ‘masticano nella tomba’ (46).

Nella seconda metà del XVI secolo, i teologi della Riforma, rifiutando la tesi delle anime del Purgatorio, danno nuovo slancio alla superstizione. Poiché, secondo Lutero e i suoi, non v’erano che santi o dannati, anime destinate, fin dall’inizio dei tempi, alla salvezza o ai tormenti eterni, fu necessario alla gente comune creare una nuova specie di morti, non omologabili a queste due categorie, in cui far rientrare i loro cari defunti che, non più in attesa di purificazione, riacquistavano la libertà di aggirarsi tra i vivi (47). Questo attribuirebbe la diffusione della credenza nei vampiri e l’epidemia esplosa nel XVIII secolo alla vittoria della Riforma protestante che, sradicate le credenze cattoliche riguardo gli spettri, non seppe fornire alcuna teoria sostitutiva per spiegarne l’esistenza a chi, lontano dai dibattiti teologici, restava in balìa della propria affettività e del proprio timore nei confronti nei defunti.

Il sangue

Il secondo elemento principale del mito vampirico è il cannibalismo.

Il sangue è considerato simbolo della vita  in svariate civiltà, chiave d’accesso tra la  vita e la morte, e viceversa, una sorta di messaggero tra uomini e Dei, utilizzato in diversi modi, come protezione e come sacrificio.

Montague Summers (48) elenca numerosi esempi di culture del passato dedite a sacrifici di sangue , nonché i rituali medianti i quali, in svariate civiltà primitive, i guerrieri, bevendo il sangue dei nemici uccisi, ne acquisivano il coraggio e la forza.

Ornella Volta cita  esempi tratti dalle più disparate mitologie e dalle fiabe, ma non tralascia di eseguire anche un’indagine storica sull’uso del sangue come rimedio per le malattie e prodotto di bellezza, come afrodisiaco ed elemento alchemico, nonché delle precauzioni da usarsi nei confronti del prezioso liquido, perché non sia versato invano (49).

Poiché l’assimilazione di sangue altrui equivaleva ad uno scambio con la morte, nel tentativo di prolungare e potenziare la vita, le grandi religioni storiche la condannarono, riservandone il commercio alla divinità.

L’Antico Testamento dedica importanti passi al sangue, e alle proibizioni ad esso connesse:

Genesi 9:4-5 Soltanto, non  mangerete la carne che ha in sé il sangue. Del vostro sangue, poi, ossia  della vostra vita, io domanderò conto.

Deuteronomio 12:23: Solo, assicurati di non bere mai sangue, poiché il sangue è la vita, e tu non      puoi nutrirti della vita attraverso la carne.

Levitico 17:10-11: Chiunque della casa d’Israele e dei forestieri che soggiornano tra voi mangerà sangue, di qualsiasi genere, io volgerò la mia faccia contro costui che mangia sangue, e lo reciderò dal suo popolo. Poiché la vita della carne è nel sangue.

Il sangue, dunque, come simbolo della vita nella sua eccezione più corporea e materiale, nella sua realtà fisica. Assimilando il sangue del vivo, il non-morto tenta anche di assorbirne la vita, di recuperare ciò che ha perduto. Il fatto che, almeno in ambito folkloriko, il vampiro scelga persone con cui è stato legato in vita, è significativo: esso tenta così di ristabilire una comunicazione affettiva che lo renda completo. Ma, dal momento che egli non ha più nulla di umano, il suo atto si traduce in una violenza ai danni della persona amata, in una persecuzione da parte di qualcosa di troppo diverso, per poter essere riconosciuto (50).

Il sangue ci porta ancora a mettere in relazione il vampiro con la figura di Cristo.

Nell’Eucarestia, il sangue di Gesù è offerto in sacrificio, come purificazione da ogni peccato e fonte di vita eterna. Bere sangue non significa più, come nell’Antico Testamento, rubare la vita, ma è anzi la premessa essenziale per la salvezza dell’anima.

Il sangue può dunque essere bevuto, quando è quello del Dio fatto uomo (51).

Sono molte le religioni in cui, ogni anno, si uccide il Dio e lo si resuscita, per celebrare il fluire del tempo, lo scorrere delle stagioni, il perpetuo divenire e ritornare della natura. “Si uccide il proprio dio per poterlo assimilare, per potersene cibare. Ma perché il potere che il dio ci trasmette sia davvero vitalizzante, occorre sacrificarlo nel pieno delle sue forze. La vittima umana che lo rappresenta è dunque scelta sempre in giovane età.” (52)

La religione cristiana è la sola che connetta a tale uccisione una valenza anche negativa, un senso di colpa che turba la coscienza del fedele.

Come il Cristo è il Dio umanizzato, così il vampiro può essere considerato una personificazione del male, nel suo essere contraddittorio, perduto ai confini tra la vita e la morte, ribelle ad ogni convenzione, simbolo di ogni deviazione. Non per niente tra i potenziali vampiri figuravano i non battezzati, i morti senza sacramenti, i preti caduti nel peccato, o i loro figli, le prostitute, gli omosessuali.

Il vampiro è condannato a non poter morire completamente, né a vivere pienamente, e la chiave della sua tragedia risiede proprio nel sangue, signum vitae, signum mortis (53). Inoltre egli, come il Cristo, propone alle sue vittime la vita eterna, non più nel regno dei cieli, ma sulla terra, una sorta di non-vita in nome della quale è necessario prima morire. E, ancora una volta, la chiave di tutto risiede nel sangue, nel sangue di Cristo, versato in remissione dei peccati e fonte di salvezza, e nel sangue del vampiro, da quest’ultimo offerto alla propria vittima, per renderla simile a sé, per farla rinascere a nuova, eterna vita.

L’eros

Il simbolismo sessuale del vampiro rappresenta uno sviluppo recente del mito, nato e cresciuto in ambito letterario (tuttavia, le implicazioni sessuali non sono mai state disgiunte da questa figura neppure in ambito folcloristico e primitivo). Alla base stessa della superstizione vampirica troviamo il concetto di colpa, la dannazione eterna perseguita attraverso un desiderio innominabile ed empio, un desiderio che è maledizione per il non-morto, e per quanti vivono nella sua cerchia.

Abbiamo già visto come, in ciò, il vampiro incarni l’outsider per eccellenza, il rivoluzionario che infrange ogni regola e tabù.

 L’epoca d’oro della letteratura vampirica sarà, non a caso, la seconda metà dell’Ottocento, quando, soprattutto in Inghilterra, ma un po’ ovunque, tra le maglie della censura si perdevano le opere di artisti del calibro di Flaubert e Baudelaire, accusati di oscenità. In un epoca in cui l’apparenza è tutto, e l’ipocrisia di massa è la regola, la capacità del vampiro di dar vita a scene d’intenso erotismo senza commettere nessun atto sessuale esplicito, spesso senza neanche mostrare alcuna nudità, si rivela ottimale. Parlando proprio del teatro che si sviluppa nello stesso periodo sulla scia dei successi letterari, Roxana Stuart (54) osserva come il melodramma d’argomento vampirico esprimesse il lato oscuro, le fantasie sessuali proibite, nel momento stesso in cui si atteggiava a condannarle.

Molti studiosi hanno cercato di fornire un’ interpretazione psicoanalitica del vampirismo, non da ultimi Freud e Jung.

Quel che appare evidente, al di là di qualsiasi discorso accademico, è che tra il vampiro e la sua vittima s’instaura un vero rapporto d’amore, fatto di una progressiva sottrazione di energia vitale ai danni di quest’ultima. Il Cammarota, riferendosi soprattutto alla tradizione filmica, sostiene che, in questo rapporto, è la vittima a rivestire il ruolo di ‘mostro’, nel suo concedersi in modo sempre più consapevole e consenziente al bacio del vampiro, mentre quest’ultimo non fa che seguire la propria natura di predatore, ricercando ciò che gli è vitale (55).

Di fatto, il rapporto che si viene ad instaurare tra mostro e vittima designata è assai articolato, anche perché, nel corso dei secoli, e nell’ambito delle diverse correnti letterarie, ha assunto caratteristiche via via differenti.

Mario Barzagli (56), per esempio, elabora una teoria dell’amore vampirico partendo dal racconto di Polidori (57), considerato capostipite della letteratura sull’argomento.

 In esso, ma avremo modo di ritornarvi più avanti, si narra di un giovane gentiluomo, Aubrey, affascinato dal misterioso Lord Ruthven, tanto da desiderare di essergli compagno di viaggio. Ancor prima di scoprire la natura vampirica del lord, il giovane è sconvolto dalla sua crudeltà, e dalla sua condotta riprovevole, che sembra finalizzata a portare alla rovina il maggior numero di persone possibili. Tuttavia, quando il lord, ferito a morte dopo un attacco di briganti, gli intima di promettere di non rivelare a nessuno per un anno e un giorno le sue nefandezze, né la sua morte, Aubrey accetta, e, al ritorno del vampiro, assiste impotente alla nuova ondata di crimini, finendo coll’impazzire, piuttosto che infrangere il suo giuramento.

Lo studioso parla di un rovesciamento dell’oggetto amato, incarnato da un essere indegno d’amore (il vampiro, appunto), e di un amante che,  stipulato un patto diabolico con tale creatura, non se ne sa distaccare, ed anzi si lascia avviluppare sempre più, non senza un segreta voluttà, tra le spire di questo incanto che si dichiara incapace di spezzare. Secondo questo schema, l’amato-vampiro è persecutore, ma anche la presunta vittima lo è, in quanto, nella sua ossessione, non fa che lasciare al mostro la facoltà di seminare ovunque morte. Intervengono allora nuove vittime, questa volta davvero innocenti, destinate a cadere sotto l’azione congiunta di questi due corruttori.

Questo è solo un esempio del genere di rapporto che si può instaurare tra vampiro e vittima. Un altro può essere quello incarnato da Carmilla Karnstein, la fanciulla-vampiro creata da Sheridan Le Fanu (58).  Considerato da molti come il precursore di Bram Stoker, lo scrittore irlandese diede vita ad una creatura tragica e intensa, delicata ed implacabile. Con Carmilla inizia anche a consolidarsi il legame tra la letteratura vampirica e certe forme proibite di sessualità, che tanta parte avrà nella letteratura e, soprattutto, nel cinema, fino ad oggi. Carmilla, infatti nella sua insaziabile sete di sangue e amore, rivolge la propria attenzione soltanto a giovinette avvenenti. Laura, la protagonista del racconto, subisce il fascino ipnotico della sua misteriosa amica, ed il desiderio anche fisico che lega le due ragazze è palese.

Di più, in Carmilla è evidente, per la prima volta nella letteratura sull’argomento, il disperato bisogno d’amore che spinge il vampiro a cercare un compagno per l’eternità. La vampira avvince a sé l’amica, e cerca di condurla verso la tenebra, con parole dolci e terribili: “Mia cara, il tuo piccolo cuoricino è ferito. Non giudicarmi crudele solo perché obbedisco alla legge inoppugnabile che fa la mia forza e la mia debolezza. Se il tuo cuore è ferito, il mio sanguina col tuo. Nel trasporto della mia enorme mortificazione, io vivo della tua calda vita, e tu morirai, dolcemente morirai della mia. Non posso farci nulla. Così come io mi avvicino a te, ti avvicinerai ad altri, ed apprenderai l’estasi della crudeltà, che è una forma d’amore” (59).

Anche dopo che la soave fanciulla si sarà rivelata a tutti per ciò che, in effetti, è, il suo ricordo tornerà a turbare Laura negli anni a venire, e non solo come quello di un mostro orrendo che ambiva a toglierle la vita: “Anche ora l’immagine di Carmilla mi ritorna in mente spesso, nei suoi diversi, ambigui aspetti: talora è la bellissima fanciulla languida e giocosa, talaltra il mostro che vidi tra le rovine della cappella, e spesso, nel mezzo di una fantasticheria, trasalisco, perché mi sembra di sentire il passo leggero di Carmilla avvicinarsi alla porta della mia stanza.” (60)

Il vampiro, dunque, come espressione di una sessualità repressa, che, proprio perché non implica l’atto sessuale propriamente detto, trova libera espressione anche nei periodi di maggior austerità. Infatti il vampiro, in quanto corpo morto, è impossibilitato ad avere una normale attività sessuale.

 Ciò non impedisce alla sua figura di avere una carica erotica di grande potenza, che ha raggiunto una piena affermazione al giorno d’oggi, con personaggi come quelli che popolano le Vampire Chronicles di Anne Rice. La carica sensuale di questi vampiri, caratterizzati, tra l’altro, da una bellezza che sembra essere eletta a motivo costante per la scelta stessa dei ‘figli di tenebra’, non fa rimpiangere la mancanza di scene d’amore nel senso comune del termine. D’altra parte, il vampiro Louis, interrogato dalla piccola Claudia, trasformata all’età di cinque anni, e destinata a restare bambina per l’eternità, su come si verifichi l’unione tra un uomo ed una donna, liquida la faccenda, dichiarando il sesso dei mortali “solo la pallida ombra dell’uccidere” (61).

 Il piacere primario deriva al vampiro dal ‘bacio’, sia che esso sia rivolto ad una vittima mortale, sia che sia scambiato con un altro immortale. Questo  è il modo in cui i vampiri fanno l’amore.

Anche il mortale caduto vittima del ‘bacio’ risente dei suoi effetti erotici, ed il piacere può essere così intenso da risultare insostenibile per il fragile essere umano. Questo perché l’atto di bere il sangue implica una comunione di corpo ed anima tali da risultare devastante per il più debole.

Osserveremo altri esempi di ‘amore vampirico’ quando parleremo più in dettaglio della letteratura sull’argomento.

Aggiungeremo solo che anche il cinema si è appropriato abbondantemente della dimensione erotica del vampiro, nonché di quella romantica.

 Se la prima si è espressa principalmente in produzioni d’infimo ordine, in cui il mito serviva solo da pretesto per mostrare scene ai limiti della pornografia, non sono stato pochi, soprattutto negli ultimi anni, i film che hanno riproposto le tematiche dell’amore immortale, in tutte le sue sfaccettature: dalla maledizione della bellissima Miriam, nella pregevole pellicola di Tony Scott Miriam si sveglia a mezzanotte (The Hunger, 1982), in cui la vampira, che non può rendere del tutto immortali gli uomini e le donne che ama, non volendo tuttavia rinunciare a loro, li condanna ad un’eterna non-vita in solaio, insieme a coloro che li hanno preceduti; alle svenevoli e melense scene di seduzione del Dracula-Frank Langella, nel noioso film di John Badham (Dracula, 1979); alla struggente corsa di Homer, il bambino-vampiro, che cerca di raggiungere, lungo la strada assolata, la sua piccola Sarah, mentre il suo corpo è consumato dalle fiamme, in Il buio si avvicina (After Dark, 1987), di Kathryn Bigelow; o ancora alla ricerca secolare dell’amore perduto nel più recente Bram Stoker’s Dracula (1992), di Francis Ford Coppola; fino alla realizzazione cinematografica di Interview  with the vampire (1994) di Anne Rice da parte di Neil Jordan, che, fedele allo spirito del romanzo, ci presenta vampiri bellissimi, appassionati ed estremamente ambigui nella loro sessualità.

Sembrerebbe proprio valida la definizione per cui, mentre  gli angeli non hanno sesso, i vampiri li hanno entrambi.

Certo è che la loro carica sensuale è servita per secoli, e serve tuttora, ad esprimere pulsioni e istinti umani che risulterebbero inaccettabili, se non mediati dalla leggenda.

OoO

40 Stage Blood, cit., pp.17-18.
41 Il vampiro, cit., p.13.
42 Alla ricerca di Dracula, cit.
43 Dissertation sur les apparitions des Esprits et sur les vampires, cit.
44 Sang pour sang, cit.
45 ibid., pp.23-24
46 La stirpe di Dracula,  cit.
47 Barzaghi, Mario, Il vampiro, o il sentimento della modernità, Vibo Valentia : Monteleone, 1996
48 The Vampire: his kit and kin, cit.
49 Il vampiro, cit., pp. 39-56.
50 Il vampiro, o il sentimento della modernità, cit.
51 Il libro dei vampiri, cit., pp.169-170.
52 Il vampiro, cit., p.46.
53 Lombardi Satriani, Luigi, in: a cura di Schiavoni, Giovanni, Il piacere della paura: Dracula, e il crepuscolo della dignità umana, Atti del Convegno “Scenari della paura”, Università di Messina, 25-26 marzo 1993. Alessandria  :  Edizioni dell’Orso, 1995
54 Stage Blood, cit.
55 I vampiri: arte, cinema, letteratura…, cit.
56 Il vampiro, o il sentimento della modernità, cit.
57 Lord Byron ( John William Polidori), The Vampyre, Londra  :  Colburn, 1819, tr. it.  Anonimo ottocentesco, I vampiri tra noi: 37 storie vampiriche, cit., pp.85-110
58 Le Fanu, Sheridan, Carmilla,  In A Glass Darkly, Londra  :  Bentley, 1872; tr. it. Ornella Volta, I vampiri tra noi: 37 storie vampiriche, cit., pp.341-403
59 ibid., p.359.
60 ibid., p.403.
61 Intervista col vampiro, cit., p.226.

I capitoli precedenti: 

La stirpe delle tenebre (I): https://babettebrown.it/8922-2/

La stirpe delle tenebre (II): https://babettebrown.it/la-stirpe-delle-tenebre/

La stirpe delle tenebre (III): https://babettebrown.it/la-stirpe-delle-tenebre-iii/