Le teorie sull’origine della credenza
È difficile, se non impossibile, stabilire con esattezza quando una creatura dalle caratteristiche omologabili a quelle del vampiro abbia fatto la sua comparsa nel folklore. Citazioni di tali esseri si ritrovano già nell’antico Egitto (15), e alcuni studiosi hanno riscontrato la presenza di morti viventi succhiatori di sangue nella Cina del VI sec. A.C. (16)
Nel congresso tenuto a Cerisy-la-Salle, in Francia, nell’agosto del 1992 – una delle principali occasioni di discussione accademica sul tema -, si contrapposero sostanzialmente due teorie sull’origine della credenza.
Secondo la prima, il vampiro è antico quanto la storia umana, e le sue origini risalgono alla notte dei tempi, mentre la seconda ritiene che il vampiro, come oggi noi lo conosciamo, nasca soltanto nell’Europa del XVIII sec. sulla base di materiale seicentesco (17).
Altri studiosi, come l’Introvigne e la Stuart, distinguono cinque principali teorie: l’origine “universale” o preistorica, l’origine sciamanica, l’origine orientale, l’origine europea antica o medioevale, l’origine moderna.
A) origine universale
Montague Summers ha sostenuto, con ampia dovizia d’argomenti, la tesi dell’origine “universale” del vampiro, nel suo volume The vampire: his kit and kit (18).
“La tradizione” dichiarava Summers “è mondiale, e di un’antichità senza data” (19).
Lo proverebbero esempi tratti dalle credenze di un buon numero di tribù africane, e dai resoconti assiri, arabi, cinesi, mongoli, greco-romani, scandinavi e celtici.
I sostenitori di questa teoria “universale”, secondo cui il vampiro esisterebbe fin dalla preistoria, postulano che le origini del mito si trovino nella paura dei morti, più antica di qualsiasi religione, e che nessuna religione è mai riuscita ad esorcizzare completamente. Su questo punto torneremo più avanti, parlando delle tre “chiavi d’accesso” alla comprensione del mito vampirico.
B) origine sciamanica
In anni recenti, specialisti ungheresi come Eva Pocs e Gabor Klaiczay, e l’italiana Carla Corradi Musi, docente di filologia ugrofinnica presso l’Università di Bologna (20), hanno sostenuto che l’origine del vampiro sia rintracciabile nell’area sciamanica. L’area di diffusione dello sciamanesimo va dal mondo celtico alla Siberia, e dagli Indiani d’America alla Scandinavia e all’Europa orientale.
In queste culture, non era ammessa soluzione di continuità tra il mondo dei vivi e quello dei morti, e le credenze religiose hanno poco a che vedere con quelle occidentali. Secondo tali credenze, il passaggio tra la vita e la morte è visto come un viaggio iniziatico tra due mondi paralleli, opposti e complementari (21).
Poiché tale viaggio era tutt’altro che facile, il defunto poteva essere tentato di rinunciarvi, cercando di far ritorno al mondo dei vivi. Ciò avveniva soprattutto se il suo corpo non si era ancora decomposto, e questo spiega tutta una serie di rituali atti a favorire la putrefazione della salma, o, addirittura, la distruzione della stessa.
Un morto che, nonostante tutte le precauzioni, rifiutasse di intraprendere il viaggio verso l’aldilà, costituiva un elemento turbativo nell’ordine cosmico. Esso poteva arrivare ad attaccare i vivi per succhiare il loro sangue, che, anche nell’area sciamanica, era simbolo di vita.
“Il vampiro(…) nella sua ancora più singolare realtà di ‘non-morto’ e di ‘non-vivo’, era già di per sé una figura trasgressiva, in quanto espressione di una condizione assolutamente innaturale (…). Nella visione sciamanica il vampiro, non potendosi (…) reincarnare, ostacolava il collegamento tra il mondo ultraterreno e quello umano” (22).
In questo, come per altri aspetti, il vampiro è da considerarsi un anti-sciamano, un contraltare dello sciamano: mentre lo sciamano è, con la sua capacità di viaggiare dal mondo dei vivi a quello dei morti, garante della regola e dell’ordine cosmico, tramite attraverso il quale la vita, passando attraverso l’esperienza della morte, si rinnova e prospera, “l’infecondo vampiro” , incapace di effettuare il passaggio tra le due realtà “provoca la sterilità” (23).
C) origine orientale
I sostenitori della teoria dell’origine orientale del vampiro hanno battuto, nel corso dei secoli, varie piste.
Benché la presenza di personaggi simili al vampiro sia attestata in oriente da fonti molto antiche, e segnalata anche da viaggiatori stranieri come Marco Polo (24), raramente si tratta di creature ricollegabili con la definizione proposta.
In Cina e Indonesia esistono numerose tradizioni riguardanti spiriti antropofagi, che attaccano i viventi, come il langsuyar e il pontianak, mentre in India i demoni vetalas entrano nel corpo dei defunti, rianimandoli (25). Ma si tratta, per l’appunto, di spiriti.
Del folklore zingaro, invece, fanno parte figure molto vicine al vampiro classico, come il mullo, persona morta di cause non naturali, che torna tra i vivi, ma che si interessa, più che al sangue umano, al sesso.
D) origine europea
Anche le teorie sull’origine europea del mito seguono linee diverse. Sostenitore dell’origine greco-romana del vampiro, Montague Summers (26) cita passi della Vita di Apollonio di Tiana e delle Metamorfosi di Apuleio, in cui si fa riferimento a lamie ed èmpuse ( interessante notare che, nell’800, il mito letterario del vampiro ‘al femminile’ prende le mosse proprio dalla leggenda relativa a Lamia, come nell’opera omonima di John Keats, e da quella, ancora più antica, di Lilith, demone assiro che, secondo la tradizione rabbinica, fu prima moglie disobbediente di Adamo, e, in seguito, sposa del Diavolo e persecutrice dei neonati) (27).
Altre teorie sostengono un’origine europea del mito al di fuori dell’area greco-romana.
È ancora l’Introvigne (28) a parlare di testimonianze provenienti dall’antica Scandinavia, citando la Historia Danica scritta da Saxo Grammaticus nel XII sec.
Il vampiro così come lo conosciamo, definito in tutte le sua caratteristiche, fa la sua comparsa in Europa Orientale, in un’area che include Polonia, Romania, Prussia, Slesia, Slovenia, Istria, Croazia, Serbia, Albania e Bulgaria.
Secondo lo specialista americano Jan L. Perkowski (29), l’origine del mito in area slava è da farsi risalire alla profonda crisi religiosa che scosse quei territori nel X sec., con la repressione da parte del cristianesimo maggioritario del paganesimo prima, e dell’eresia dualista dei bogomili poi. Inizialmente, tuttavia, il vampiro è confuso con altri esseri demoniaci, come la mora (demone che succhia sangue), il revenant (spirito di defunto generalmente benevolo), e il vlkodlak (fantasma cattivo, ma che non si nutre di sangue).
Secondo Perkowski, il vampiro slavo non succhia letteralmente il sangue, ma lo ‘assorbe’ dalla propria vittima secondo un procedimento misterioso. Sarebbero stati i letterati di lingua tedesca che, nel XVIII sec., avrebbero tradotto questo processo nell’immagine del sangue succhiato.
Purtroppo, le incertezze sulla datazione delle fonti nella ricerca dello studioso, non permettono di ritenere valide le sue ipotesi sull’origine del mito in concomitanza con la crisi dei bogomili, ma resta indubbia l’importanza della tradizione slava, per l’eccezionale influenza che ebbe nell’affermarsi del vampiro moderno.
E) origine moderna
L’ultima teoria considerata sull’origine del vampiro è quella secondo cui il mito ha origine moderna, e si forma nel Settecento, seppur partendo da materiale risalente al secolo precedente. Essa ci interessa particolarmente, perché è proprio in quest’epoca che si avvia un primo dibattito scientifico e culturale sull’argomento. Nel secolo dei Lumi, in cui l’esistenza stessa dell’anima viene negata, la sperimentazione mostra la carne come corruttibile e priva di santità, e la tradizionale rappresentazione cristiana dell’aldilà entra in crisi, il vampiro può essere letto come una sorta di rifugio alla fragilità e alla caducità umana (30). Di più, il vampiro, creatura mitica e leggendaria, assume un ruolo di rivendicazione dell’immaginario sulla Ragione.
Ma al di là di una possibile interpretazione filosofica del vampiro, che, comunque, non raggiungerà la sua massima espressione fino al secolo successivo, in campo letterario, il Settecento presenta un’impressionante esplosione della credenza nei vampiri, ovunque, in tutta l’Europa, partendo dall’area balcanica, ma diffondendosi con rapidità eccezionale.
Il dibattito Settecentesco
A tale diffusione si accompagnò un dibattito scientifico, via via più acceso, che, dai rapporti accademici, si trasferirà presto ai bollettini e alle gazzette alla moda.
È in quest’epoca che si definisce la superstizione vampirica nelle sue regole e norme precise, ed il termine ‘vampiro’ viene circoscritto ad un cadavere che risorge, succhia
il sangue dei vivi, e può essere annientato solo da un paletto nel cuore e dal rogo delle spoglie. Con l’acuirsi della credenza, si acuì anche la caccia ai vampiri, che fece meno vittime di quella alle streghe solo perché si accaniva sui cadaveri anziché sui viventi (31).
L’ondata di paura portò a vere e proprie scene d’irrazionalismo di massa, e furono innumerevoli le violazioni di sepolture, da parte di folle inferocite, che necessitavano di un capro espiatorio cui imputare epidemie e sventure.
Alla luce delle conoscenze mediche moderne, è noto che, in epoche passate, non era infrequente scoperchiare tombe e trovarvi cadaveri ancora perfettamente conservati, in virtù di normali fenomeni di ritardata decomposizione, con unghie e capelli allungati, o posti in posizioni innaturali, causa spasmi post-mortem, o, circostanza tristemente diffusa nell’epoca di cui trattiamo, perché sepolti vivi, colti da una qualche forma di morte apparente. Paul Barber (32) ha esaminato con rigore medico, nel suo recente studio, le varie circostanze per cui un cadavere, all’atto della riesumazione, poteva presentare caratteristiche anomale, illustrando come esso potesse arrivare a muoversi o emettere suoni, a causa di normali fenomeni di decomposizione.
Ma nell’epoca che stiamo prendendo in esame la paura prendeva inevitabilmente il sopravvento sulla logica, almeno tra gli strati più bassi della popolazione.
Alle povere salme veniva piantato un paletto nel cuore, o venivano tagliate a pezzi e bruciate, in quanto sospettate di essere vampiri, e tali riesumazioni illecite proseguirono fino alla prima metà dell’Ottocento, costringendo le forze dell’ordine, e perfino papa Benedetto XIV, pontefice dal 1740 al 1758, a porre un freno al dilagare della violenza.
Anche alcuni sovrani s’interessarono all’epidemia: nel 1755 Maria Teresa d’Austria farà pubblicare un Rescritto sui vampiri, frutto di un’accurata indagine condotta dal suo inviato, Gerhard van Swieten (33), in Moravia.
In esso si vieta di disseppellire e bruciare i corpi, definendo le credenze imperanti come mere superstizioni.
Esito diverso ebbe un altro intervento burocratico, nel 1732, anno cruciale, in quanto considerato data d’inizio del dibattito settecentesco sui vampiri. Il marchese Botta d’Adorno, supplente del principe Carlo Alessandro di Wurttemberg come amministratore della Serbia, aveva inviato una commissione medica a Medwegya, dove, già dal 1726, si denunciava un’intensa attività vampirica. Il chirurgo militare che guidava tale spedizione, Johann Fluckinger, esaminò accuratamente una quindicina di sepolture, dichiarando nel suo rapporto di aver riscontrato su almeno dieci corpi le anomalie abitualmente riferite ai vampiri. I corpi in questione furono fatti a pezzi e bruciati dagli zingari del luogo, per quanto l’inviato regio si fosse ben guardato dal parlare di vampiri (34).
È affascinante notare come nel Settecento il vampiro sia stato trattato da molteplici punti di vista, in termini scientifici e antropologici, in innumerevoli studi e documentazioni, affidate soprattutto alla penna di teologi e religiosi.
Il dibattito esplose dopo che alcuni episodi avvenuti nell’Europa dell’Est, in Moravia, Ungheria, fino all’eclatante caso di Medwegya, avevano attratto l’attenzione anche di studiosi di altri paesi. Come abbiamo detto, è nel 1732 che le gazzette cominciano a dibattere tali fatti. La maggior parte dei dotti si dimostrano scettici, andando a cercare spiegazioni logiche agli avvenimenti, ed attribuendo le cause degli stessi, ora ad una forma d’isteria collettiva, ora al consumo di carne di animali affetti da peste, che indurrebbe a febbre e allucinazioni.
Non mancò chi si preoccupò di dare una spiegazione scientifica anche ai sintomi presentati dai presunti non-morti, e dalle loro vittime, imputandoli a certe malattie, quali la porfirea, la tubercolosi, l’anemia, che portano il corpo a consunzione, o generano un innaturale pallore. La medicina del Settecento era, inoltre, abbastanza avanzata per poter spiegare con cause naturali la mancata decomposizione dei cadaveri.
Gli esponenti della linea scettica appartengono soprattutto all’ambito ecclesiastico, come monsignor Davanzati (35), futuro cardinale, che, negando la veridicità dei fatti moravi, e condannando la crudeltà con cui ci si accaniva sui cadaveri, relega ogni credenza relativa ai vampiri al campo della superstizione. Lo stesso papa, il già citato Benedetto XIV, gli rese lode, per questo. Gli scettici cattolici si diedero da fare soprattutto per contestare l’interpretazione esoterica del vampirismo, portata avanti fin dagli inizi del secolo da studiosi come Michael Ranft, nella sua Dissertatio historico-critica de masticatione mortuorum in tumuli (36), e ripresa da numerosi epigoni.
Secondo questa interpretazione, il ritorno dei vampiri non è da attribuirsi né a Dio, né al diavolo, ma alla presenza, accanto all’anima e al corpo dell’uomo, di un’’anima vegetativa’, che continua ad essere legata al cadavere anche dopo la morte, e che vi permane finché esso resta incorrotto. Tale anima vegetativa agisce contro i viventi, generando una sorta di forza magica contro coloro i quali il morto considera nemici, magari perché sono stati cagione della sua morte, o perché gli hanno arrecato danno in vita. È come ammettere che l’immaginazione seguiti ad operare nel defunto, scagliandosi, sotto forma di energia psichica sui vivi.
D’altra parte, anche tra i viventi è assodato quanto potente possa essere il pensiero, soprattutto se indirizzato a nuocere…
Gli epigoni di Ranft considerano dunque il vampiro come una sorta di spettro psichico, non come un corpo in carne ed ossa, e la Chiesa cattolica diffida di questa interpretazione non meno che delle altre.
Di tutt’altro genere le conclusioni di Dom Auguste Calmet, noto studioso e commentatore della Bibbia, nella sua Dissertation sur les apparitions des Esprits et sur lei Vampires (37), apparso nel 1746, e, in una seconda edizione profondamente modificata, nel 1751. Il Calmet, almeno inizialmente, dimostrava non solo di credere all’esistenza dei vampiri, elencando numerosi casi ed episodi documentati, ma arrivava a chiamarla in causa per suffragare la realtà cristiana della resurrezione. Contro di lui si scagliarono illuministi e anticlericali, primo fra tutti Voltaire, che, pur deridendo il vampiro come figlio della superstizione, era tuttavia preoccupato per l’invasione vampirica che imperversava ovunque. Le pesanti critiche spinsero l’abate a rivedere la propria opera, giungendo a negare decisamente ciò che, nella prima stesura, veniva considerato quanto meno possibile. Benché Calmet sia stato considerato per anni il ‘credulone’ per eccellenza, se si considerano le sue conclusioni, e se si tiene presente che, fedele al metodo compilatorio diffuso nel suo tempo, egli si limitava a riportare brani di altri autori, commentandoli alla fine, la lettura integrale del suo trattato ci permette di asserire che egli non credette mai veramente all’esistenza dei vampiri. Egli stesso, infatti, dopo aver preso in esame tutte le possibilità presentate dai suoi predecessori, nega assolutamente il ritorno dei cadaveri, se non in caso di morte apparente.
Dopo Calmet, il partito degli scettici sembra prendere definitivamente il sopravvento, e, nel corso del Settecento, le opere sui vampiri vanno facendosi meno frequenti, anche a causa delle feroci critiche degli Illuministi alle quali chiunque decidesse di trattare l’argomento doveva andare incontro.
Il problema verrà ripreso nell’Ottocento da una nuova scuola di Demonologi cattolici, stimolati nella loro ricerca dal rinnovato interesse per lo spiritismo, come riporta l’Introvigne nella sua efficace ricostruzione della storia del pensiero vampiro (38).
Giungendo al Novecento, la principale personalità che mantenne in vita il mito vampirico, infondendogli anzi nuovo vigore, fu senz’altro il reverendo Joseph-Marie Augustus Montague Summers (1880-1948) (39), eminente conoscitore del teatro elisabettiano, ma famoso anche per i suoi testi su vampiri, stregoneria e lupi mannari. Ancora fedele al metodo della compilazione, Summers, che non nasconde mai di credere con assoluta certezza all’esistenza dei vampiri, riporta, abbellendole non poco, le fonti originali su cui lavora, e accusa il razionalismo imperante di aver insabbiato le più recenti storie di vampirismo, dando l’impressione dell’estinguersi del mito nel nuovo secolo. Summers morì in disgrazia, e le sue opere furono pesantemente criticate, anche se esse restano, a tutt’oggi, fonti preziose per chi si accosta all’argomento.
Dopo di lui, la credenza nei vampiri conosce un nuovo periodo di scetticismo, e solo di recente, col rinnovato interesse per il sacro, espresso col ritorno massiccio a pratiche magiche, e con l’apparire di movimenti religiosi fondamentalisti, anche il vampirismo è tornato alla ribalta almeno con una valenza ‘teologica’.
15 McNally, Raymond – Florescu, Radu, Alla ricerca di Dracula, Milano : Sugar, 1973
16 Sang pour sang, cit.
17 Colloque de Cerisy. Les Vampires, Parigi : Albin Michel, 1993
18 Summers, Montague, The vampire: his kit and kin, New Hyde Park : New York University Books, 1960
19 ibid., p.IX.
20 Corradi Musi, Carla, Vampiri europei e vampiri dell’area sciamanica Messina : Rubettino, 1995
21 ibid. p.85.
22 ibid., p.85.
23 ibid., p.65.
24 La stirpe di Dracula, cit.
25 Gordon Melton, The Vampire Book. The Encyclopedia of the Undead, Detroit : Visible Ink Press, 1994.
26 Summers Montague, The Vampire in Europe, New Hyde Park : New York University Books, 1961
27 Petoia Erberto, Vampiri e lupi mannari. Le origini, la storia, le leggende di due tra le più inquietanti figure demoniache, dall’antichità classica ai nostri giorni, Roma : Newton Compton, 1991
28 La stirpe di Dracula, cit.
29 Perkowski, Jan L., The Darkling. A treatise on Slavic Vampirism, Columbus (Ohio) : Slavica, 1989
30 Aguerre, Jean-Claude, in Colloque de Carisy, cit., pp. 75-91.
31 Il libro dei vampiri, cit.
32 Barber, Paul, Vampiri: sepoltura e morte, Parma : Pratiche, 1994
33 van Swieten, Gerhard, Abhandlung des Daseins der Gespenster, nebst einem Anhange vom Vampyrismus, Augsburg : Francone dell’Amavero, 1768; I tr. it. Considerazioni intorno alla pretesa Magia posthuma per servire alla storia de’ vampiri, Napoli : Giuseppe Maria Porcelli, 1787; II ed. Vampyrismus, a cura di Pietro Violante, Palermo : Flaccovio, 1988.
34 Fluckinger, Johann, Visum et Repertum, Norimberga : Johann Adam Schmidt, 1732
35 Davanzati, Giuseppe, Dissertazione sopra i vampiri, Napoli : Fratelli Raimondi, 1774
36 Ranft Michael, Dissertatio historico-critica de masticatione mortuorum in tumulis, Lipsia, 1725
37 Calmet , Dom Auguste, Dissertation sur les apparitions des Esprits et sur les Vampires ou les Revenants de Hongrie, de Boheme, de Moravie et de Silésie, Parigi : De Bure, 1746; II ed. Traitè sur les Apparitions des esprits et sur les vampires ou les Revenants de Hongrie, de Moravie, etc.,2 voll., Parigi : De Bure, 1751; trad it.: Dissertazione sopra i vampiri, o i redivivi, Traduttore anonimo, Roma : ed. Simone Occhi, 1756.
38 La stirpe di Dracula, cit.
39 The vampire: his kit and kin, e The vampire in Europe, cit.
So che le epidemie di tubercolosi coincidere con gran parte degli attacchi dei vampiri. Il malato spuntava sangue e si in demolita come sue fosse stato vittima di un succhiasangue, poi, una volta morto, la malattia passava ad altri membri della famiglia che finivano per morire tutti. La colpa delle morti, in epoca di ignoranza scientifica, veniva data al povero vampiro (il primo morto) reo di essere ritornato per succhiare il sangue a tutti suoi familiari. In realtà, li aveva solo infettati, ma il risultato non era, poi, così diverso.