Pubblichiamo la prima puntata del saggio di Federica Soprani “La figura del vampiro nel teatro tra ‘800 e ‘900”. Le successive avranno cadenza settimanale.

Nel fortunato romanzo Intervista con il vampiro[1], primo volume delle Vampire chronicles dell’americana Anne Rice, autrice osannata dagli amanti del genere, appare un teatro molto particolare.
Situato sul Boulevard du Temple a Parigi (siamo nella seconda metà dell’800), è denominato “Théatre des Vampires”, e richiama ogni sera una piccola folla di curiosi attratti dagli spettacoli di sapore decisamente grandguignolesco che vi vengono rappresentati.
Il vampiro Louis, protagonista del romanzo,  invitato ad una rappresentazione, osserva che tutto il  sinistro fascino dello spettacolo sta nel fatto che gli attori sono vampiri che si fingono umani che si fingono vampiri.
Un macabro scherzo, un gioco crudele, poiché le vittime che vengono immolate, nel corso dello spettacolo, alla fame dei presumibilmente falsi vampiri, sono reali quanto i loro assassini, e muoiono in scena davanti ad un pubblico piacevolmente atterrito, e che mai cessa di essere consapevole che ciò che vede non è che finzione teatrale.
Un palcoscenico.
È l’ultimo nascondiglio, l’alibi perfetto, per creature da sempre costrette a nascondersi agli occhi dei mortali, a vagare nelle tenebre ai confini dello spazio umano, e tuttavia impossibilitate, per la loro stessa natura, di fare a meno degli uomini.

Dalla sua prima comparsa nella mitologia popolare (la prima testimonianza riguardante l’esistenza di un essere non-morto che si nutre del sangue dei vivi può farsi risalire al 3000 a.C.)[2], il vampiro è stato considerato un mostro, un abominio, una creatura degli inferi, la cui sola esistenza è un insulto ed una minaccia per la razza umana.
Temuti e perseguitati in tutti i tempi, da tutti i popoli, come dimostrano anche i sistemi di protezione ed eliminazione ricorrenti in svariate culture, essi si sono trascinati per secoli in una duplice tenebra, quella della notte che li ha generati, e quella dell’anonimato, della perenne dissimulazione della loro natura.
Ma nei primi decenni dell’800, alle soglie della nuova era, il mondo è pronto a dare spazio anche ai vampiri.
In un’epoca in cui tutto muta con eccezionale rapidità, in cui le città cambiano faccia, gli uomini ideali, ed il progresso e la decadenza sembrano lanciati in un galoppo parallelo senza freni né limiti, il vampiro sorge dalla tenebra e si rivela per ciò che è.
E la nuova, giovane umanità, se ne innamora.
Dalle leggende slovene e moldave, in cui creature più simili ad animali che a uomini, prive d’intelligenza e coscienti solo della propria fame, strisciavano fuori dalle tombe, per succhiare il sangue dei propri congiunti, al conte Dracula, raffinato gentiluomo che, pur non bevendo mai… vino, non sfigurerebbe a nessuna tavola del bel mondo, e che col suo charme turba i sogni verginali di giovani e ignare fanciulle, il passo è più breve di quanto non sembri.
Lo stesso Bram Stoker, per dare vita al suo famigerato conte, si è a lungo documentato nella biblioteca del British Museum proprio sulle leggende riguardanti gli “upiri” che infestavano da sempre la Romania e dintorni.

Ma, nel frattempo, qualcosa era cambiato.
L’Illuminismo e la Rivoluzione francese avevano spazzato via la volgare superstizione, e le nazioni civilizzate non avevano più alcun interesse per larve zannute fuoriuscenti dalla terra.
Il vampiro non aveva più bisogno di nascondersi per il semplice fatto che a nessuno importava più niente di lui.
A questo punto il suo mito avrebbe potuto estinguersi, spazzato via dal vento del progresso, oppure evolversi.
Trattandosi di un mito di così vecchia data, dovette apparire naturale a più di un letterato prendersi a cuore la sua sopravvivenza, preoccupandosi, al contempo, di creare una nuova maschera per i figli delle tenebre del nuovo secolo.
Dopo che gli epigoni del genere ebbero aperto la strada, furono molti gli autori di rilievo che vi si cimentarono, almeno in un’ occasione: Théophile Gautier[3], Guy de Maupassant [4], Alexis Tolstòj [5]…
Il nuovo mondo aveva accolto il vampiro tra i suoi figli prediletti, e la sua nuova maschera piaceva, piaceva molto ai mortali, anche e soprattutto in virtù delle valenze simboliche di cui era investita.

Ma torniamo al teatro del boulevard.
Siamo in un epoca in cui teatro è, più che mai, sinonimo di svago e divertimento, un genere di consumo indirizzato ad un pubblico quanto mai vario ed eterogeneo, desideroso di continue novità.
Le luci della ribalta si accendono anche sul vampiro, proteggendolo, al contempo, dalla realtà, ed egli, creatura istrionica ed esibizionista per natura, può finalmente prendersi la sua rivincita sul mondo dei vivi.
Questo trionfale ingresso del vampiro sulla scena non è solo una brillante trovata romanzesca di Anne Rice: il mito entra veramente nel teatro dell’800, come personaggio e come simbolo.
I testi letterari più famosi vengono adattati per la scena immediatamente dopo la loro pubblicazione, ed infinite imitazioni e parodie sorgono intorno alle principali produzioni teatrali, creando un corollario multiforme e variegato al diffondersi del mito. Le figure del crudele e sanguinario gentiluomo e della bella donna dal bacio fatale entrano a far parte della cultura spettacolare molto tempo prima dell’avvento del cinema, e anche laddove il testo teatrale non fa direttamente menzione del vampiro, ecco tuttavia la sua ombra allungarsi minacciosa (proprio come nel capolavoro di Murnau), a deformare la realtà della scena, ad esprimere qualcosa che nessun’altra maschera potrebbe esprimere con altrettanta efficacia.
Non più costretto a nascondersi, il mostro si confonde con l’evento spettacolare, ed il teatro-vampiro avvince a sé l’incauto spettatore in un abbraccio fatale.

OoO

[1] Rice, Anne, The Vampire Chronicles: Intervista col vampiro, Firenze: Salani, 1985.
[2] Marigny, Jean, Sang pour sang: le réveil des vampires, Evreux: Gallimard, 1993, p.14.
[3] Gautier, Théophile, La morte amoureuse,  “La Chronique de Paris”, 23-26 giugno 1836; tr. it. Ornella Volta, La macabra amante, a cura di Vadim, Roger e Volta, Ornella, I vampiri tra noi: 37 storie vampiriche, Milano:  Feltrinelli Editore,1960, pp.184-209.
[4] de Maupassant, Guy, L’Horlà, Hollendorf, Paris, 1887; tr. it. Mario Picchi, Guy de Maupassant, Tutte le novelle, Roma:  Casini, 1956, vol. III, pp.123-139.
[5] Tolstoj, Alexis, La famille du Vourdalak, (1847 ca.), I ed. “Revue des Etudes slaves”, t. XXIV, 1950; tr.it. Ornella Volta, La famiglia del vurdalak, I vampiri tra noi, cit., pp.248-275.