“Dalla tomba mi levo a ricercare
il bene, che mi manca, dell’amore;
il mio sposo perduto ad abbracciare,
e a suggere il sangue dal suo cuore.”

-Wolfgang Goethe, “La fidanzata di Corinto”

E’ sempre più difficile ricostruire una bibliografia della letteratura vampirica che possa rivelarsi esauriente, soprattutto oggi che si pubblicano in media due nuovi romanzi di vampiri alla settimana.

Poiché il nostro lavoro è finalizzato principalmente al teatro, ci sembra giusto concentrare l’attenzione sui testi più significativi, quelli che hanno contribuito maggiormente all’affermarsi del mito, e dai quali sono stati tratti i soggetti per rappresentazioni teatrali fin dall’Ottocento.

Parlando del fiorire della letteratura vampirica, non si può ignorare l’ambiente letterario in cui essa si sviluppò, alla fine del Settecento.

I saggi e le raccolte di leggende popolari, come quelli di Calmet e degli altri studiosi, diedero solo in parte impulso alla produzione, ed altri furono gli influssi che la determinarono.

Da una parte, il romanzo gotico inglese giungeva in quegli anni al suo apogeo, con le produzioni di  Matthew “the monk” Lewis, di Anne Radcliff, Horace Walpole, ecc., che contribuirono all’affermarsi di un certo gusto per atmosfere tetre e situazioni macabre, nonché alla nascita di una nuova tipologia di anti-eroe, di villain che, con la sua personalità dirompente assurge a vero protagonista della vicenda.

Personaggi discutibili e grandi ci vengono offerti anche dai romanzi del Marchese De Sade, che per primo pose l’attenzione sulla funzione erotica del sangue, presentando non poche situazioni ai limiti del vampirismo.

Ancora, i poeti romantici tedeschi, e ancora di più quelli inglesi, fecero riferimento, più o meno direttamente, ai vampiri, nelle loro opere.

Nel 1797 appare Die Braut von Korinth (La fidanzata di Corinto) 62, di Johann Wolfgang Goethe, che si rifà alla tradizione classica delle lamie, e narra di una fanciulla che, morta alla vigilia delle nozze, torna dalla morte per reclamare la sua prima notte, e fa soccombere il suo fidanzato in un amplesso vampirico.

Sempre del 1797 è la prima parte di Christabel (la seconda parte fu pubblicata nel 1801), di Samuel Taylor Coleridge. Il poemetto offre molti punti in comune con Carmilla di Le Fanu, soprattutto per quel che riguarda le allusioni all’amore lesbico, e gli oscuri poteri dell’affascinante Lady Geraldine, ma in esso non appare mai il termine ‘vampiro’. Roberth Southey, amico di Coleridge, parla di un vampiro vero e proprio nel suo poema Thalaba the destroyer (1801), mentre John Keats riprese il tema indirettamente nel suo poemetto Lamia.

Abbiamo accennato all’influenza del romanzo gotico sulla letteratura di genere vampirico. E’ altresì importante sottolineare che tale influenza si limitò alle atmosfere cupe, alle situazioni claustrofobiche, all’affermazione di una certa tipologia di personaggi, ma mai, in alcun romanzo gotico, apparve effettivamente un vampiro.

The Vampyre

Per trovare un primo, vero racconto di vampiri, bisogna attendere The Vampyre 63, scritto da John William Polidori, medico personale di lord Byron, ma pubblicato nel 1818 come opera dello stesso poeta. Le origini del racconto sono arcinote: in occasione di una serata trascorsa a Villa Diodati, sul lago di Ginevra, nell’estate del 1816, Lord Byron e i suoi amici, Percy Bisshe Shelley, la di lui futura moglie, Mary Wollstonecraft Godwin, e, appunto, Polidori, decisero di passare il tempo scrivendo ognuno una storia del terrore.

Quella notte  fu concepito il capolavoro della allora diciannovenne Mary Shelley, Frankenstein, e vide la luce il primo abbozzo, ad opera di Lord Byron, di quello che sarebbe divenuto il primo racconto di vampiri della storia.

 In effetti, per quanto lo stesso Byron si sia preoccupato di smentire, indignato, la sua paternità del fortunato racconto, Polidori partì da un suo frammento, The Burial, abbozzato proprio in quella famosa notte, e rielaborato con le dovute modifiche.

Polidori, che, nel frattempo, si era staccato definitivamente dall’insopportabile lord, non si fece scrupolo di scaricare nella propria opera tutto il risentimento e la frustrazione che la vita con quest’ultimo aveva generato in lui.

In effetti, l’intero racconto sembra essere finalizzato ad offrire un ritratto fosco e fin troppo esplicito di Byron. Il nome stesso del vampiro chiariva gli intenti di Polidori: l’Augustus Darvell del frammento di Byron cede il posto a Lord Ruthven, nome già noto agli estimatori e ai detrattori del poeta, in quanto tratto dal romanzo della sua ex-amante Caroline Lamb, RuthwenGlenarvon, del 1816.

In esso, la vendicativa fanciulla aveva presentato un ritratto evidente di Byron nella figura del perfido e crudele nobiluomo, assassino delle proprie amanti, e condannato, alla fine della storia, ad essere trascinato all’inferno dai loro spettri. Effettivamente, per quanto ci è dato di sapere, Lord Byron incarnava alla perfezione quella che, col tempo, sarebbe divenuta la tipica figura di vampiro. Già il suo aspetto, il volto pallido, gli atteggiamenti volutamente ieratici (studiati a lungo davanti allo specchio…), lo sguardo torbido e magnetico, a tratti allucinato, a tratti sperduto, di angelo cacciato e condannato a vagare lontano dalla propria patria celeste. Il suo carattere, poi, dispotico e duro, e al contempo seducente, il suo non poter essere amato, se non distruggendo chi lo voleva amare, lo resero immensamente popolare tra i suoi contemporanei. Anche la sua vita, intensa e dissoluta, spesso confusa, e a ragione, con quella dei suoi personaggi, gli amori scandalosi, i costumi depravati (almeno per la puritana Inghilterra), ce lo presentano come un essere ai limiti della legalità, un outsider, un ribelle.

In altre parole, un potenziale vampiro. In effetti, Goethe lo definì, alla fine di Poesia e Verità 64, un individuo demoniaco, destinato ad affascinare un’epoca, e ad esserne, al contempo, escluso.

Abbiamo già accennato brevemente alla trama di The Vampire nel capitolo precedente. Lord Ruthven è un  affascinante e fosco nobiluomo, che rimanda, nell’aspetto e negli atteggiamenti, a Byron, e che fa la sua comparsa nei salotti di Londra:

“Egli contemplava le gioie dei suoi simili come se gli fosse interdetto di partecipare a verun terrestre diletto, e allorché l’amabil sorriso delle belle sembrava fissare la sua attenzione, un suo sguardo bastava a farlo svanire, spargendo il terrore in quegli animi frivoli e spensierati.

 Coloro che provavano questa sensazione di terrore, non potevano indovinarne la cagione: alcuni l’attribuivano al suo sguardo tetro e funereo, che, arrestandosi immobile sulla superficie del sembiante, l’opprimeva d’un peso mortale, benché non sembrasse penetrare sino tra le più profonde latebre del cuore(…). Ad onta della tinta cadaverica delle sue sembianze, che mai non assumevano un colore più animato, né dal rossore della modestia, né dalle fiamme dell’amore, pure la sua fisionomia era bella…”65.

Il fascino del misterioso lord seduce diverse dame, e anche il giovane Aubrey, giovane inesperto, che decide di accompagnarlo  in un viaggio in Europa. Ancora una volta appare evidente la rappresentazione del controverso rapporto tra Byron e il giovane autore.

Lord Ruthven non tarda a dimostrarsi un essere abbietto: presta soldi ai delinquenti, rovina al gioco uomini onesti, compromette la reputazione delle fanciulle, e il tutto senza alcun profitto, se non per soddisfare la propria malvagità.

Disgustato dal compagno di viaggio, l’onesto Aubrey se ne separa, e si reca in Grecia, dove s’innamora di un bellissima giovinetta, Ianthe. Disturbato dalle storie di vampiri che quest’ultima gli narra, e turbato dalla somiglianza che riscontra tra la descrizione di quei mostri e Lord Ruthven, Aubrey decide di dimostrare il proprio coraggio trascorrendo la notte in un luogo che ha nomea di rifugio di vampiri. Sopraggiungendovi, ode le grida disperate di una giovane donna, e viene tramortito da un assalitore misterioso. Quando riprende i sensi, scopre che Ianthe, che l’aveva preceduto per metterlo in guardia, è stata uccisa dal morso inequivocabile di un vampiro. Sul luogo dell’orrendo delitto giace un pugnale senza fodero.

Colto da una violenta febbre, Aubrey è raggiunto ad Atene da Lord Ruthven, che si prende cura di lui con tanta sollecitudine da fargli dimenticare i passati rancori. Di nuovo in viaggio attraverso la Grecia, i due vengono assaliti da una banda di briganti, e Lord Ruthven viene ferito mortalmente. Prima di morire, fa giurare al giovane amico di tenere nascosta la sua morte e le sue nefandezze per un anno e un giorno.

Durante la notte, il cadavere del lord scompare misteriosamente, e Aubrey, sistemando gli oggetti che gli erano appartenuti, trova un fodero che corrisponde perfettamente al pugnale ritrovato alla morte di Ianthe.

Tornato in Inghilterra, Aubrey partecipa al debutto in società della sua bella e angelica sorella, e, in quell’occasione, risente la voce del lord vampiro ricordargli il giuramento. Da questo momento il giovane entra in uno stato di semi-pazzia, che spinge i medici a rinchiuderlo. Mentre egli si angoscia per il destino di Londra e della sorella, potenziale vittima del vampiro, quest’ultima gli annuncia le sua prossime nozze col conte di Marsden. La notizia lo risolleva, ma solo per poco: il medaglione che la fanciulla porta gli rivela che il conte altri non è che il terribile lord.

Aubrey cerca d’impedire le nozze, ma è ormai considerato pazzo. Il matrimonio ha luogo esattamente un anno e un giorno dopo la morte di Ruthven, e il giovane, ormai allo stremo, racconta la verità ai medici, prima di morire. Ma la carrozza degli sposi si è già allontanata, e i soccorritori giungono troppo tardi: Lord Ruthven è sparito, e la sorella di Aubrey è morta, vittima della turpe sete del vampiro.

Alla pubblicazione del racconto per i tipi della Colburn, Goethe affermò che esso era senza dubbio l’opera migliore di Byron, e questo suscitò l’indignazione del lord, che dichiarava di non avere la minima simpatia per i vampiri, e che si affrettò a smentire con una lettera alla stampa la paternità dell’opera.

Quel che è certo, a prescindere dalle incongruenze e dai limiti del racconto, è che Polidori fissò un cliché letterario del vampiro destinato a durare nei secoli: pallido, nobile, magnetico, seducente.

Il successo dell’opera fu immediato soprattutto in Francia, dove, nel 1820, abbiamo anche la prima trasposizione teatrale del racconto, ad opera di Charles Nodier, che,  a differenza di Polidori, inserì un lieto fine. Da allora, come vedremo in modo più approfondito nella seconda parte, sono state numerosissime le riprese della storia di Polidori, nel melodramma, come nel vaudeville e nel varietà, fino all’opera lirica.

Altri autori seguirono la pista aperta da Polidori.

Di Ernest Theodor Amadeus Hoffmann ricordiamo Vampyrismus 66, importante più che altro perché diede il via al filone tedesco del genere, e anche per aver influenzato  Théophile Gautier, autore de La morte amoureuse 67, del 1836, forse la miglior storia di vampiri della letteratura francese. In questo racconto troviamo riproposta, nella figura  di Clarimonda, la donna fatale già incontrata nella poesia romantica e decadente, che seduce il giovane sacerdote Romualdo il giorno stesso della sua ordinazione, e lo trascina in una doppia vita, fatta di orge di sesso e sangue, fino all’uccisione della bella vampira. Con Clarimonda, al vampiro byronico si affianca dunque un nuovo modello di mostro, destinato ad avere immenso successo.

Anche in Russia, patria di numerose tradizioni folklorike sui vampiri, si sviluppa una letteratura sull’argomento: ricordiamo Il Vij 68, di Nikolai Gogol’(1835), dove però il termine ‘vampiro’ è usato in senso improprio per definire una persona ancora viva; di Alexis Tolstoj, cugino del più noto Lev, ci rimangono La famiglia del vurdalak 69, e altri racconti, riconducibili, più o meno direttamente, al mito del vampiro.

Comunque, è ormai evidente che, già nella prima metà dell’Ottocento, esistevano modelli di vampiri facilmente riconoscibili dal pubblico europeo colto, e anche la letteratura popolare cominciava a subirne gli influssi.

Varney, the Vampire

Nasce così, sulle pagine dei penny dreadful, fascicoli settimanali venduti per un penny, in cui si pubblicavano per lo più storie dell’orrore, la sinistra e romantica figura di Varney il vampiro 69bis, diretto discendente di Lord Ruthven, ma protagonista di innumerevoli ed avvincenti avventure. Scritte da autori diversi, come appare evidente dai frequenti cambi di stile e dalle contraddizioni, le avventure di Varney sono indirizzate per lo più al pubblico delle classi lavoratrici inglesi, tra le quali il mito del vampiro era abbastanza noto da suscitare grande entusiasmo. Seducendo e vampirizzando giovani fanciulle, dibattendosi tra dubbi e sensi di colpa, Varney viaggia in lungo e in largo per l’Europa, fino a scegliere di morire gettandosi nel Vesuvio, ormai incapace di sostenere la sua eterna non-vita.

Con tutti i suoi limiti (ma alcuni studiosi, tra cui Montague Summers, lo definirono più avvincente e mozzafiato di Dracula…), Varney, the Vampire contribuii notevolmente alla diffusione del tema del vampiro, e apri la strada ad innumerevoli e, per lo più, assai scadenti, epigoni.

Carmilla

Ancora pubblicato in rivista, ma decisamente di livello superiore, è Carmilla 70, di Sheridan LeFanu, che, nel 1871, appare sulle pagine di The Dark Blue, e, un anno dopo, nella raccolta di racconti  In A Glass Darkly.

Abbiamo già detto come, con Carmilla, la letteratura vampirica inizia una stretta relazione con forme proibite di sessualità. Il tema del lesbismo, già introdotto da Coleridge nella sua Christabel, ritorna qui con valenze ancora più forti, e, ciò che più conta per noi, più esplicitamente vampiriche. Nulla di dichiaratamente sessuale, certo, ma tutta l’atmosfera suggerisce una sensualità oscura, e, al contempo, delicata, come da quadro preraffaellita.

Laura ricorda avvenimenti verificatisi dieci anni prima, quand’ella, ventenne, viveva col padre in un castello nell’Europa centrale. Ancor prima dell’arrivo della vampira, è la fanciulla stessa ad evocare in noi un brivido d’aspettativa, raccontando di come, ancora bambina, venne visitata dall’apparizione di una bellissima, giovane donna, che, dopo essersi distesa al suo fianco nel letto, l’aveva stretta a sé. Unica sensazione spiacevole di quell’abbraccio, quella di due lunghi aghi che le si erano conficcati nel petto, svegliandola dal suo strano sogno.

E’ in una notte di luna piena che Carmilla giunge. Una carrozza nera ha un incidente presso il castello, e il padre di Laura accetta di prendersi cura della fanciulla ferita, dal momento che la madre di lei deve necessariamente proseguire il viaggio.

Inizia così la convivenza delle due fanciulle. Laura riconosce subito, nella nuova amica, colei che la visitò in sogno tanti anni prima, ma la cosa, anziché turbarla, non fa che accrescere il fascino che Carmilla esercita su di lei.

E Carmilla seduce Laura proprio con le valenze di un sogno: è appassionata e languida, tenera e devota, e incanta la fanciulla con parole di miele, con carezze e baci che la imbarazzano e l’avvincono sempre di più.

Ma Carmilla è anche un incubo, che perseguita la propria vittima in forma di mostro dalle fattezze feline, e, di notte, salta sul suo petto, per rubarle il respiro e il sangue.

La fanciulla comincia a languire, e, nella sua malattia, il legame con Carmilla sembra rafforzarsi ancora di più, come se il male non fosse che il preludio alla loro eterna unione, nella morte.

Un giorno il padre di Laura s’imbatte in una sua vecchia conoscenza, il generale Spielsdorf, che gli racconta di come la propria figliola sia morta, vampirizzata dalla misteriosa Millarca, che egli sospetta essere la contessa Mircalla Karnstein, morta da almeno cento anni e sepolta poco lontano dal castello.

Fa la sua comparsa anche il barone Vordenburg, prima grande figura di cacciatore di vampiri, e illustre predecessore del più celebre Van Helsing.

L’ esecuzione di Carmilla è descritta con uno stile asciutto e scarno, che stride con quello voluttuoso ed evocativo del resto della narrazione, e che ci rimanda piuttosto a certe indagini amministrative, come quella di Medwegya. Comunque sia, la vampira viene eliminata, ma ciò non serve a cancellare il suo ricordo dal cuore e dalla mente di Laura, che, negli anni a venire,  ricorderà non senza rimpianto la sua strana amica.

Varney, dunque, ci offre un prototipo di vampiro selvaggio e sanguinario, mentre Carmilla incarna sensualità e orrore psicologico. Negli anni che separano il racconto di LeFanu dal romanzo di Stoker, nonostante siano stati molti i racconti scritti sull’argomento, nessuno riuscì a superare queste due icone.

In Dracula esse si scinderanno, infine, a dar vita al mito.

Dracula

Amico di Walt Withman e manager del grande attore Henry Irving, abituale frequentatore di Ellen Terry e Bernard Shaw, Bram Stoker, di origine irlandese, visse una vita intensa, sempre in stretto contatto con gli ambienti teatrali e letterari. Nonostante  il costante impegno che gli derivava dal suo lavoro presso Irving, egli trovò anche il tempo di dedicarsi alla narrativa, e, dopo la chiusura del Lyceum nel 1902, e la morte di Irving stesso nel 1905, divenne ancora più prolifico.

Prima di  parlare diffusamente del suo romanzo più famoso, Dracula 71, appunto, ci sembra corretto ricordare da una parte l’effettiva esistenza di un principe di Valacchia denominato Vlad Dracula, dall’altra, la sua totale estraneità dal folklore vampirico.. Ancora oggi il principe, vissuto nel quindicesimo secolo, e famoso come difensore della cristianità contro i turchi (la sua preferenza per il particolare supplizio da infliggere loro gli meritò il nome di Vlad Tepes ‘l’impalatore’), è ricordato come un eroe e un grande sovrano, terribile, nella sua crudeltà contro i nemici e i criminali, ma giusto e saggio, e i valacchi hanno sempre considerato con disprezzo Stoker, per aver tentato d’infangare una tale, leggendaria figura.

Bram Stoker non si recò mai in Romania, ma, come vuole la leggenda, s’imbatté nella figura del principe valacco quando già aveva iniziato la stesura del proprio romanzo. Così, decise di trasformare il suo anonimo vampiro nell’antico eroe rumeno, discendente di Attila, e famoso per la sua crudeltà. I libri ed i preziosi documenti custoditi al British Museum lo aiutarono non poco in questo compito.

Può sembrare superfluo riassumere la trama di Dracula, ma neanche poi tanto: le moderne versioni cinematografiche si sono divertite a modificare non poco la storie, capovolgendo rapporti di parentela, scambiando tra loro i nomi ai personaggi, ecc.

Il romanzo segue una struttura tipicamente vittoriana, essendo composto da stralci di diario, lettere e articoli di giornale, che, insieme, danno vita alla vicenda nel suo evolversi.

Un giovane notaio inglese, Jonathan Harker, è inviato dal suo studio in Transilvania, per occuparsi dell’acquisto di uno stabile in Inghilterra, da parte di un nobile del luogo, il conte Dracula. Dopo che, a Bistriza,  gli abitanti del luogo lo hanno messo in guardia contro i vampiri, intimandogli di non proseguire, egli giunge a Passo Borgo, dove ha appuntamento col cocchiere del conte.

Giunto al castello di quest’ultimo (che non corrisponde ad alcun castello del Dracula storico), Harker è accolto dal conte, che lo invita ad accettare la sua ospitalità.

Si è detto che la figura di Dracula venne ricalcata su quella di Henry Irving:

“Tutto il suo volto aveva un marcato – marcatissimo – aspetto aquilino, con un arco sporgente del naso sottile, dalle narici fortemente dilatate; il cranio era alto, e i capelli gli crescevano scarsi intorno alle tempie, ma abbondanti nelle altre parti. Le sopracciglia erano molto folte, e quasi s’incontravano al di sopra del naso, mentre il pelo arruffato sembrava attorcigliarsi, tanto era folto. La bocca, per quanto poteva vederla sotto i baffi spioventi, era dura, dall’aspetto quasi crudele, i denti erano singolarmente aguzzi e bianchi, e sporgevano dalle labbra, il cui accentuato rossore testimoniava una sorprendente vitalità, in un uomo della sua età. Per il resto, le orecchie erano pallide e molto appuntite nella parte superiore; il mento largo e sviluppato e le gote sode, benché infossate. L’effetto generale era quello di un pallore straordinario. Finora avevo notato di sfuggita le sue mani, mentre le appoggiava sulle ginocchia, nei riflessi del fuoco, ed esse mi erano sembrate piuttosto bianche e fini; ma, vedendole ora da vicino, non potei fare a meno di notare che erano piuttosto rudi – larghe -, dalle dita rattrappite. Strano a dirsi, vi erano peli sul palmo della mano.

Le unghie erano lunghe e strette, e tagliate a punta.” 72

Di rado il cinema è stato fedele a questa descrizione.

Harker non tarda a rendersi conto che il suo ospite è, quanto meno, strano. Il conte non mangia e non beve nulla, lo lascia solo tutto il giorno, nel vetusto castello in cui, come ha modo di accorgersi presto, egli è un prigioniero, e dimostra di apprezzare particolarmente l’ululato dei lupi. Una sera, mentre il giovane si sta radendo, il conte si materializza alle sue spalle: stupito dal non vedere la sua immagine riflettersi nello specchietto che usa, Harker si taglia, e perde un po’ di sangue. La reazione di Dracula è inquietante: ”I suoi occhi divamparono, con una specie di furia demoniaca, e, improvvisamente, mi afferrò la gola. Mi ritrassi, e la sua  mano toccò la catenella di perle con il crocifisso che portavo al collo. Ciò operò in lui un cambiamento istantaneo, poiché la furia cesso immediatamente, tanto da farmi dubitare che vi fosse mai stata.”73

In un’ altra occasione, mentre, contravvenendo agli ordini del conte, sta visitando una stanza del castello, Jonathan subisce l’assalto di tre bellissime donne-vampiro, che cercano di sedurlo, e dalle quali è salvato solo dall’arrivo di Dracula stesso.

Il giovane ormai non ha dubbi di trovarsi in una situazione  disperata, e tenta la fuga.

A questo punto, il romanzo ha un brusco cambio di scena.

Siamo in Inghilterra, dove Mina Murray, fidanzata di Jonathan, è ospite della bella e frivola amica Lucy Westenra, ragazza sognatrice e romantica, che si lascia corteggiare, senza dare speranza a nessuno, da tre giovani: il nobile Arthur Holmwood, il texano Quincey Morris ed il dottor John Seward.

Quest’ultimo dirige un manicomio, in cui è internato un certo R. N. Renfield, un tempo brillante avvocato nello stesso studio di Jonathan, e che ora si nutre di piccoli insetti, proclamando a gran voce l’immediato avvento di un misterioso Maestro.

Lucy e Mina si recano in vacanza a Whitby, dove, in una notte di tempesta, approda un brigantino proveniente da Varna, il Demeter. La nave è priva di equipaggio, fatta eccezione per il cadavere del capitano legato alla ruota del timone, ed il giornale di bordo rivela che tutti sono stati uccisi da un mostro.

Mina riceve notizie di Jonathan, ricoverato in un ospedale di Budapest, e parte, per andare a sposarlo.

Intanto Lucy, che ha deciso infine di fidanzarsi col giovane Arthur Holmwood, viene vampirizzata da Dracula, durante una crisi di sonnambulismo. Il vampiro ha portato con sé sul Demeter alcune casse di terra del suo paese, indispensabili per la sua sopravvivenza, e le distribuisce tra la sua nuova casa di Carfax e altri rifugi segreti a Londra.

Poiché Lucy deperisce sempre più rapidamente, a causa delle visite del vampiro, il dottor Seward convoca dall’Olanda il suo vecchio amico e mentore, il dottor Abraham Van Helsing, esperto, tra l’altro, di vampiri.Egli cerca di salvare la fanciulla con delle trasfusioni, ma non vi è nulla da fare. Lucy muore, e, dopo essere stata sepolta, torna come vampiro, e va a caccia di bambini intorno ad un cimitero di Londra.

Van Helsing convince i tre giovani ex-pretendenti a eliminare il mostro, ed è proprio Arthur a piantare nel petto della sua amata il fatidico paletto, per liberare la sua anima.

Mentre Dracula insidia Mina, che è tornata insieme a Jonathan, il gruppo di amici rintraccia e distrugge le casse di terra nascoste dal vampiro. Ciò non impedisce al mostro di vampirizzare la fanciulla, nonostante il tentativo di salvarla di Renfield, prima schiavo del vampiro, e da quest’ultimo ucciso, quando gli si ribella. Avendo bevuto il sangue di Dracula, Mina si sente contaminata, ma, grazie al legame telepatico che ha instaurato con lui, può avvertire i suoi amici dei suoi spostamenti verso Varna. Il gruppo si lancia all’inseguimento, con Mina che invoca la morte, se dovesse trasformarsi in vampiro, e Van Helsing che, preceduto Dracula nel suo castello, uccide decapitandole le tre spose-vampiro.

Intanto, in una bara scortata dai suoi fedeli zingari, il conte sta facendo ritorno al suo maniero. Sopraggiungono Jonathan, Arthur e Quincey Morris, che viene ferito mortalmente da una pugnalata, ma riesce ad aprire la bara del vampiro. Accoltellato alla gola e al cuore da Jonathan e dal morente Quincey, Dracula si riduce in polvere, mentre gli ultimi raggi del sole scompaiono all’orizzonte.

Le interpretazioni date, nel corso dei secoli, a questo romanzo, sono innumerevoli e difficilmente riassumibili, almeno in questa sede. Ai fini della nostra ricerca, c’interessa constatare la portata simbolica dei personaggi principali, a partire dallo stesso vampiro, e lo sviluppo che essi hanno avuto, nel tempo.

Dracula è, come abbiamo detto, il vampiro per eccellenza: lo è stato dal momento stesso  della sua creazione, figlio di Varney e Carmilla, e di tutti i suoi predecessori più o meno illustri; lo è ancora oggi, mentre i giovani Lestat e Louis cercano di detronizzarlo.

Personaggio complesso, sfugge, nelle pagine del romanzo, ad un’analisi esauriente, forse anche perché, come sempre accade, la storia è scritta dai vincitori: accanto alle lettere di Jonathan Harker, agli stralci di diario di Mina, alle registrazioni al fonografo del dottor Seward, non vi è luogo in cui a Dracula sia dato di parlare in prima persona.

Autori contemporanei, come Fred Saberhagen 74, sceneggiatore, tra l’altro, dell’ultimo Dracula cinematografico, quello di Coppola, hanno cercato di ovviare all’inconveniente, riscrivendo la storia da un’ottica diversa, creando quasi un’autobiografia ed un’apologia del vampiro.

Dracula non ha bisogno di scusarsi per quello che è, né è tenuto a giustificare la propria natura. Il manipolo di prodi che gli dà la caccia, dimostra sovente una crudeltà ed un’ipocrisia ben maggiore, di quanto non faccia lui, essendo semplicemente coerente con se stesso.

Per molti aspetti Dracula è un romanzo vittoriano, nel suo dimostrare la superiorità della congregazione umana, unita contro l’ignoto e guidata dal lume della scienza, ma non si può negare la forte componente eversiva in esso contenuta. Anche se il vampiro, alla fine, viene distrutto, e anche se Lucy, la ragazza troppo sognatrice, forse un po’ fatua, che non sa resistere alla seduzione del male, viene punita come merita, per noi moderni rimangono soprattutto queste le figure più affascinanti del libro. Jonathan Harker, che si avventa verso l’ignoto, spinto solo dall’ottica del guadagno, e che cadrebbe facilmente preda della seduzione delle tre spose, che libera in lui tutte le pulsioni più inconfessabili; Mina, la sua casta e virtuosa sposa, che, ‘stuprata’ dal vampiro, preferisce la morte, e, per la salvezza della propria anima, non vuole nemmeno prendere in considerazione la nuova dimensione che le viene offerta; Van Helsing, piccolo uomo disperatamente aggrappato alle poche certezze che la sua misera scienza gli fornisce, così scioccamente bisognoso di regole fisse, da prendere come dogmi anche le leggende popolari sui vampiri, e sadico e crudele, non meno del suo nemico giurato, quando deve perseguire le donne sedotte dal fascino del vampiro…

Non ci è dato sapere quale fosse l’idea effettiva che Stoker voleva comunicare, col suo libro. Egli stesso, nella sua impenetrabile riservatezza, resta un enigma ancora oggi, anche  se c’è chi 75 ha  tentato  di mettere  in  dubbio  la  sua  impeccabile moralità vittoriana, attribuendogli amori mercenari con prostitute londinesi, o, addirittura, una relazione omosessuale con Irving stesso. Quel che è certo, è che Dracula gli diede modo di presentare scene d’intenso erotismo, altrimenti inconcepibili per la sua epoca, nonché di dar vita ad una delle storie che rimane tra le più lette e imitate di tutti i tempi.

62 Goethe, Wolfgang, Die Braut  von Korinth, Werke, Leipzig, 1779 tr. it.: La fidanzata di Corinto, di Benedetto Croce, I vampiri tra noi, cit., pp.77-84
63 The Vampyre, cit.
64 Il vampiro, o il sentimento della modernità, cit., pp.38-39
65 The Vampyre, cit., p.85..
66 Hoffmann, E.T.A., Vampyrismus, in Serapionsbruder(1828 ca.); tr. it. Giuseppina Calzecchi Onesti, E.T.A.Hoffmann, Racconti,  Milano  :  Bompiani, 1946, pp.270-273
67 La morte amoureuse, cit.
68 Gogol’, Nikolai, Il Vij, tr. it. Leone Pacini Savoj, ibid., pp. 139-183
69 La famiglia del vurdalak, cit.
69 bis Varney the Vampire: or, The Feast of Blood, Londra  :  E. Lloyd, 1847, reprint: New York  :  Arno press, 1970; New York  :  Dover Publications, 1972
70 Carmilla, cit.
71 Bram, Stoker, Dracula, Westminster  :  Archibald Constable and Company, 1897; tr. it. Dracula il vampiro, Milano  :  Longanesi, 1966
72 ibid., p. 20
73 ibid., p. 27
74 Saberhagen, Fred, Vampiro, Roma  :  Fanucci, 1992
75  Farson, Daniel, The man who wrote Dracula. A biography of Bram Stoker,  New York  :  St. Martin’s press, 1976.