Come nasce una storia. Procedete liberamente, seguendo l’ispirazione, senza nessuno schema? Oppure costruite la trama e le scene in modo dettagliato?
Questo sasso, buttato con astuzia nel Gruppo “Babette Brown Legge per Voi“, ha suscitato un sacco di risposte.
Come nascono le mie storie? Per me tutto è fonte di ispirazione: un brano musicale, la scena di un film, qualcosa che mi capita di osservare o che è impresso nei miei ricordi. E di solito non seguo schemi o scalette. Ho in mente l’inizio, la fine e i personaggi, ma poi sono loro a condurmi dove vogliono andare e io seguo attenta le loro indicazioni. Talvolta mi cambiano anche le carte in tavola! Oppure mi suggeriscono nuove storie. “La regina di ghiaccio”, per esempio, è nata così: avevo terminato di scrivere “Sexy girl”, ma avevo la sensazione di dover raccontare anche la storia di Stefano, fratello della protagonista. E così ho fatto.
L’8 marzo dell’anno scorso, la mia musa Miss Drag Queen Toscana Ivana Tram, che da uomo è Stripman, ha rischiato di far casino con i bagagli. Da lì, l’idea per il mio ultimo ebook. A braccio o scaletta dettagliata? Una via di mezzo, per non strutturare random, ma non troppo, per non togliere il ‘sentito.’ Quest’ultima storia ha avuto bisogno di una scaletta abbastanza dettagliata, visto che è strutturata in paragrafi dedicati “personaggio 1/presente; personaggio 2/presente; personaggio 1/passato; personaggio 2/passato”, in un arco di 15 anni, per scoprire a poco a poco cosa ha portato alla scena nel presente, che in definitiva è circoscritta al soggetto… giusto il tempo che lo spogliarellista si esibisca con il contenuto della borsa della drag e viceversa.
Nel mio caso non c’è una vera logica perché io sono così : criterio e sregolatezza. Talvolta parto con uno schema ben preciso in mente, che però viene sovvertito, stravolto e rivoluzionato quasi subito e quasi sempre. Nella maggior parte dei casi, invece, mi lascio guidare dall’istinto, con l’inevitabile inconveniente di dover poi fare ricorso a una riscrittura quasi totale, indispensabile per dare coerenza alla storia. Nella vita sono di una precisione quasi eccessiva, ma qui no, per me la scrittura è svago, è lasciare la mente libera di viaggiare e sperimentare, tanto che spesso le mie storie sono frutto di un sogno, a occhi aperti o chiusi non fa differenza. Ovviamente conduco le mie ricerche e mi documento, soprattutto quando tratto argomenti particolari che richiedono conoscenze specifiche, tuttavia, mentre lo faccio, ho come la sensazione di perdere tempo prezioso che potrei usare per creare qualcosa. Insomma, so che la scrittura richiede regole precise e cerco di rispettarle tutte, eppure ciò che amo di più di questa arte meravigliosa è la totale assenza di redini. Come dicevo, criterio e sregolatezza.
Pianifico tutto, riassumo in scalette, in scene, personaggi. Questo è il mio modo di arrivare alla fine e l’unico che funziona (con me). Le volte in cui mi sono fatta prendere dalla foga dell’idea non sono mai arrivata alla conclusione. Per esempio, ho fatto un esperimento con un genere che non avevo mai scritto prima: gli Zombie. Mi avevano chiesto un racconto breve a tema e non avevo la più pallida idea di cosa scrivere. Ho cercato un campo a me familiare: gli sfigati. Così è nato Carlo Fumagalli e mi sono chiesta: come può un imbranato sopravvivere all’apocalisse Zombie? Da lì è arrivata la famigerata scaletta, dall’inizio alla fine. Salvo alcune modifiche in corsa, è così che è nato “Quattro Regole di sopravvivenza agli Zombie”.
Nonostante anche io adori scrivere, mi sono sempre chiesta come nascano le storie nelle menti degli altri autori. E ora sto facendo un bel carico di risposte! Per quanto riguarda me, ciò che “creo” è legato a piccoli o grandi episodi della mia vita, della vita delle persone vicine o persino al viso di quelle che non conosco e incontro per strada, che sia triste o illuminato da un sorriso. Il mio ultimo libro nasce da una chiacchiera con un’amica alla quale raccontavo avvenimenti della mia infanzia. Mi si sono illuminati gli occhi e da un elemento per me importante quando ero piccola, è nata la storia. I personaggi si sono delineati subito, quasi mi cercassero, così come tutti gli alti e bassi che segnano il loro cammino. Non ero io a sedermi e scrivere, ma erano loro a guidarmi. Volevano essere raccontati, insomma. Credo che a ispirarci ci sia sempre una parte di noi, anche se non ce me accorgiamo. Ed è ciò che rende vera una storia anche se non è reale.
Sul mio pc ho un sacco di incipit: a volte viene un’idea, un flash e comincio a scrivere in attesa che scocchi una scintilla che faccia partire la trama. Se non arriva, accantono e mi dedico ad altro. Non ho mai pianificato nel dettaglio una storia, mi limito a segnarmi qualche idea, quello che voglio far succedere nel corso della storia anche se non so quando succederà. Tutto rimane imprevedibile fino alla fine ed è quello che mi piace dello scrivere: è come leggere un libro di cui non si sa nulla, con la differenza di poter cambiare un pezzo che non mi piace e far andare le cose nella direzione che decido io … ma poi la decido davvero io? A volte ho dei dubbi, sembra che i personaggi prendano in mano la situazione e creino la loro storia. Il risultato non sarà professionale, ma quanto mi diverto io nel frattempo! “Fidati di me” ha cambiato anche genere durante la stesura: doveva essere una storia romantica invece ne è uscito un giallo, pur mantenendo la storia d’amore. Sì, mi diverto, mi emoziono, mi commuovo. Mi fa star bene, a patto che non ci sia nessuno intorno. Se qualcuno mi disturba, divento una iena.
Come nascono le storie? Prendo in prestito le parole del Re, Stephen King: dai “ragazzi del magazzino”. Idee, spunti, suggestioni, musiche, immagini, tutto viene raccolto nel retrobottega del mio magazzino, o per dirla come Sherlock, nel mio “mind palace”. Capita che questi dati si fondano, si mescolino, o rimangano quiescenti per anni. Ecco qui che entrano in gioco i ragazzi del magazzino: i pensieri si spostano come casse in un deposito, si aggregano per poi ricomporsi in modo diverso in maniera del tutto inconsapevole. E alla fine nasce una storia. Nel caso di Florence, ad esempio, tutto nasce da una macchia di canneti sull’Arno, poco lontano dalla Pescaia di San Nicolò, dal Castello di Vicchiomaggio, da Benedict Cumberbatch, da una canzone (Due respiri, di Chiara) e dal vento caldo che in estate spazza i Lungarni. Questo è il punto di inizio. La sinossi, la storia nero su bianco mi aiuta a capire se la trama “tiene”, è solida. Il lavoro di approfondimento storico fa il resto.
Suoni, immagini, odori, ricordi. Non serve molto perchè la mia mente parta per la tangente e inizi a immaginare le storie più disparate. “Ombre” è nato dal ricordo di me che un sabato sera camminavo per via De’ Mercanti a Salerno, la strada con i ciottoli umida dalla pioggia, le saracinesche che si abbassavano, i lampioni che illuminavano con una luce giallina tutto intorno a me. “Pyrox”, invece, è nato da una chiacchierata con Federica D’Ascani, e che ci volete fare con i se e con i ma è nato un romanzo a puntate. “I guardiani di Yggdrasil”, il mio primo romanzo perennemente in ristrutturazione, è nato da un viaggio: stavo andando a Senigallia per la premiazione di un concorso letterario e vedevo questo cielo plumbeo e il mare grigio e ingrossato. Mentre la strada scorreva, ho avuto l’immagine di questa ragazza dai capelli rossi che fissava il mare. In seguito con i se è nata una storia intera. Ieri sera ho terminato l’ennesimo lavoro: da cosa è nato? Da due canzoni. Non esistono scalette, sebbene abbia provato a metterne giù una, alla fine non la seguo, il motivo? Semplice, i miei personaggi fanno quello che vogliono loro, quando scrivo lo faccio di getto, anche se ho una vocina dentro la testa che mi urla: “Attenta ai verbi!” “Elimina quegli avverbi” “Le azioni dopo i dialoghi” “Le d eufoniche”.
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