Appendice

Le Théatre  des  Vampires

Teatro e Vampiri nelle “Vampire Chronicles” di Anne Rice

“Una figura scura, ammantata, si mosse sul palcoscenico da un tronco all’altro, tanto rapidamente che, appena entrò nella luce, sembrò apparire come per incanto al centro, con un braccio che balenava fuori dal mantello a mostrare una falce d’argento, e l’altro che reggeva di fronte alla faccia invisibile una maschera in cima a un sottile bastone, una maschera che rappresentava il volto luccicante della Morte, un teschio dipinto.
Gridolini soffocati si levarono dalla folla. Era la Morte che librava la falce davanti al pubblico, la Morte al margine del bosco oscuro. E qualcosa in me reagì, come reagiva il pubblico, non con paura, ma in modo quasi umano, alla magia di quel fragile scenario dipinto, al mistero di quel mondo illuminato, quel mondo in cui quella figura si muoveva avanti e indietro nel suo mantello nero di fronte al pubblico, con l’eleganza di una grande pantera, strappando gridolini, sospiri e riverenti sussurri.”

Quando il vampiro Louis de Pointe du Lac assiste alla sua prima rappresentazione al Théatre des Vampires di Parigi, nel 1862, egli è già un vampiro da più di settant’anni, essendo ‘nato alla tenebra’ per mano di Lestat de Lioncourt  nel 1791, nella nativa New Orleans.
Il fatto di aver vissuto così a lungo non gli impedisce di provare una profonda meraviglia davanti alla scenografia suggestiva ed incantata rivelata dal sipario, e alle evoluzioni sulla scena degli attori-vampiri, impegnati in quella che vorrebbe essere una macabra allegoria della vita e della morte.
Naturalmente egli è il solo, tra i presenti, a rendersi conto dell’effettiva natura delle creature che si muovono sul palcoscenico, e dell’orrore reale che si cela dietro l’orrore fittizio della vicenda narrata. Solo lui conosce la beffa sublime che si sta consumando: vampiri che si esibiscono per i mortali, che si fanno pagare da quelle stesse persone che, forse, più tardi, saranno le loro vittime.

La Morte improvvisa una danza sulla scena, sfuggendo con piroette e capriole aggraziate alle attenzioni di vecchi e storpi, creature troppo brutte per meritare la sua attenzione:
“Fu allora che mi accorsi che la languida mano bianca che faceva quei comici archi non era dipinta  di bianco. Era la mano di un vampiro che strappava le risate alla folla. Una mano di vampiro che, ora che il palcoscenico si era svuotato, si levava davanti al teschio ghignante come per reprimere uno sbadiglio.”.
E infine, ecco giungere in scena la vittima,  per gioco, certo, e nella finzione teatrale, solo che lei è la sola a non saperlo, la sola a non crederlo, la sola a rendersi conto che la sua vita è in pericolo:
“E un altro riflettore perforò il velo, per rivelare una giovane donna, sola in fondo al palcoscenico. Sentii lo sgomento del pubblico, quando lei cominciò a dibattersi nella luce del riflettore: sembrava perduta tra gli alberi. E difatti era perduta, non era un vampiro. Lo sporco sulla misera camicetta e sulla gonna non era trucco di scena, e nulla aveva toccato il suo viso perfetto, che ardeva ora nella luce, bello e finemente cesellato come il viso di una Vergine di marmo, nell’aureola dei capelli. Non riusciva a vedere, nella luce, mentre tutti potevano vedere lei.
[…] La figura della Morte si svegliò di soprassalto, nel pallido cerchio di luce, e si voltò a guardarla come la stava guardando il pubblico, alzando la mano libera in segno di tributo, di riverenza.
Il cinguettio delle risa morì prima di nascere. La ragazza era troppo bella, i suoi occhi grigi troppo angosciati. La rappresentazione troppo perfetta. E poi la maschera col teschio fu gettata dietro le quinte, e la Morte rivelò al pubblico un viso splendente, si lisciò con mani frettolose i bei capelli neri, si sistemò il panciotto, si scrollò polvere immaginaria dai risvolti della giacca. La Morte innamorata. Un applauso accolse il volto luminoso, gli zigomi luccicanti, gli occhi neri ammiccanti, come se tutto fosse un’illusione magistrale, quando in realtà era semplicemente e sicuramente il volto di un vampiro, crudamente illuminato dalla luce gialla del riflettore.”.
La rappresentazione va avanti: altri sette vampiri appaiono sullo sfondo, pallidi nelle vesti nere, sinuosi ed eleganti, nei loro movimenti, come neri serpenti.
La Morte Gentiluomo si accosta alla ragazza, invitandola a lasciarsi andare, a divenire la sua sposa.  Anche davanti alle proteste di lei, alle sue disperate richieste d’aiuto, alle preghiere ch’ella rivolge, ora al suo aguzzino, ora alla luce che l’acceca, il pubblico non comprende, non sa vedere al di là dalla finzione: la visione della fanciulla che viene spogliata, lasciata inerme davanti alla Morte, eccita gli animi, e fa scorrere negli astanti brividi di paura e piacere.
Louis osserva, comprende, partecipa, e nella sua profonda umanità, che tanti anni di vita di vampiro non sono riusciti a cancellare, prova pena per la fanciulla, che lotta per la propria sopravvivenza, costretta a portare argomentazioni logiche per dimostrare il suo più che legittimo diritto alla vita.
Alla fine un altro vampiro sopraggiunge, bello come un dipinto di Caravaggio, ieratico come un angelo di cattedrale: è Armand, la Morte che incanta, il seduttore, il demone ultraterreno tra le cui mani i mortali non sono che imbelli marionette.
Perduta nei suoi occhi, ipnotizzata dalla sua voce suadente, la fanciulla dimentica la sua paura, dimentica la sua nudità, e si lascia avvolgere dall’abbraccio tenebroso con il languore di un’amante:
“Il vampiro la girò lentamente di lato, in modo che tutti potessero vedere il suo volto sereno, e la sollevò; la schiena della ragazza s’inarcò e i seni nudi sfiorarono i bottoni della giacca di lui, le braccia gli circondarono il collo. ‘Niente dolore…niente dolore…’ le sussurrava, e lei gli si abbandonava. La ragazza s’irrigidì, gridò quando il vampiro affondò i denti, il suo viso era immobile nel teatro buio che riverberava di quella passione. E quando il vampiro bevve, la sollevò completamente dal pavimento, appoggiando la cerea guancia a quella gola luccicante.”.
Gli altri vampiri non tardano ad unirsi al banchetto, sotto gli occhi orripilati, ma anche affascinati del pubblico, che ancora ignora, o preferisce ignorare, l’orrore che si sta consumando sul palcoscenico.
Infine, la rappresentazione giunge al suo epilogo:
“Ad uno ad uno i vampiri si ritirarono. La ragazza mortale, delicata e bianchissima, giacque nuda in quella misteriosa foresta, sdraiata nella seta del nero catafalco; la musica aveva riattaccato, lugubre ed allarmante, crescendo col calare delle luci. Tutti i vampiri se ne erano andati, tranne il ‘gentiluomo’, che aveva raccolto dal buio la sua falce e la sua maschera. Si accucciò accanto alla ragazza addormentata, mentre le luci si affievolivano lentamente, e solo la musica aveva ancora forza e vigore nel buio che li racchiudeva. E poi anch’essa morì.”.

Vampiri che si fingono attori che si fingono vampiri, dunque, e un’atmosfera da incubo che rapisce gli astanti. Il Grand Guignol presenterà spettacoli di questo genere, circa quarant’anni dopo l’epoca in cui Anne Rice situa la sua vicenda, e con la dovuta differenza che, negli  spettacoli che vi verranno rappresentati, le vittime non verranno uccise realmente…
In realtà, le intemperanze cronologiche dell’autrice vanno ben oltre, ma possiamo considerarle come delle licenze poetiche, destinate comunque a sfuggire all’attenzione di chi non sia particolarmente esperto di storia del teatro.
Quello che ci affascina, è il ricorrere del motivo del teatro nelle Vampire Chronicles, anche alla luce di quanto abbiamo cercato di dimostrare nei capitoli precedenti, e cioè la straordinaria diffusione di spettacoli d’argomento vampirico dal 1820 a oggi.
I vampiri di Anne Rice vivono sempre in stretta relazione col loro tempo: quando uno di essi non è più in grado di adattarsi ai mutamenti, inizia la sua decadenza, e pochi sono quelli che riescono a sopravvivere nei secoli senza impazzire o cercare la morte volontaria.
Il teatro appare come elemento costante, nella vita dei protagonisti della saga, e ha sempre un ruolo decisivo nello svolgersi della vicenda.

Quando Louis e Claudia s’imbattono nel Théatre des Vampires gestito da Armand, non possono sapere ciò che a noi viene rivelato nel secondo volume della serie, The Vampire Lestat, e cioè che in quello stesso teatro, quasi cent’anni prima, il giovane mortale Lestat, futuro padre di tenebra di entrambi, recitava ogni sera nel ruolo dell’amoroso, in una compagnia di comici dell’arte.
La vocazione teatrale di Lestat è fondamentale per comprendere il suo complesso personaggio. Egli è profondamente esibizionista, dotato di un fascino e di un’esuberanza contagiosa, che ammalia chi gli sta intorno o, nel caso di individui più deboli, li travolge. Non a caso egli debutta come Lelio, l’innamorato nella sua incarnazione più solare e vitale, proprio lui, che, appena ventenne, dovrà dire per sempre addio al sole.
Appena sedicenne, il ragazzo era fuggito con una compagnia di comici dell’arte, alle cui evoluzioni aveva assistito nel suo villaggio natio. L’entusiasmo suscitato in lui da quella visione, era stato tale da segnarlo per sempre:
“Io assistevo rapito. Non avevo mai visto nulla di simile: l’ingegnosità, la sveltezza, la vitalità. Ero entusiasta perfino quando le parole venivano pronunciate tanto in fretta che non riuscivo a seguirle.
[…]Provavo un amore inesprimibile per quegli uomini e quelle donne. Mi spiegarono che ogni attore aveva un suo ruolo per la vita, e che non imparavano a memoria le battute, ma improvvisavano tutto sul palcoscenico. Conoscevi il tuo nome e il tuo personaggio e lo facevi parlare ed agire come ritenevi che dovesse fare. Quella era la trovata geniale.
Si chiamava commedia dell’arte.”
Fuggito a Parigi dalla nativa Alvernia insieme all’amico del cuore Nicholas, Lestat approda alla Casa di Tespi di Monsieur Renaud, dove lavora prima come inserviente, poi come attore.
Nella Casa di Tespi si recita la commedia dell’arte, e in questo il teatro ci rimanda al Théatre des Italiens, anche se Anne Rice lo pone nel Boulevard du Temple, forse per rendere omaggio a quel Port-Saint-Martin che tanta parte avrà nella drammaturgia vampirica del secolo successivo.
Qui Lestat vive il suo ultimo sogno di mortale, recitando ogni sera con entusiasmo, seducendo con la sua bellezza e il suo carisma, e qui viene visto per la prima volta da Magnus, il vampiro che lo rapirà alla luce, per fare di lui il proprio erede.

Forse il teatro rimane uno dei rimpianti maggiori per il vampiro Lestat. Grazie ai suoi nuovi poteri, egli possiede abilità che gli erano precluse, da mortale, talenti che richiederebbero anni e anni di studio. Ma questa è una magra consolazione per chi ha sempre lottato per ottenere ciò che desiderava, per chi ha affrontato la fame e gli stenti, per inseguire un sogno.
Lestat ritorna al suo vecchio teatro, una volta divenuto vampiro, spinto dalla nostalgia per le persone care che vi ha lasciato, e per la sua stessa umanità che , sulle tavole del palcoscenico, trovava la sua massima espressione.
Torna al teatro, ed esplode il suo dolore, quando si rende conto di non appartenere più a quel mondo, non più di quanto appartenga alla vita: vede i suoi vecchi compagni come potenziali vittime, e Nicholas, il suo Nicholas, come un agnello sacrificale da immolare alla sua sete di dio crudele.
Allora, per la prima volta, il vampiro prende coscienza della sua diversità, del suo essere tagliato fuori per sempre dalla compagine umana, e la sua reazione è rabbiosa e disperata: nulla più può portare agli uomini e alle donne che l’hanno applaudito, se non l’orrore:
“Ancor prima di rendermi conto di ciò che facevo, andai in scena.
Mi fermai al centro, e sentii il caldo delle lampade, il fumo che m’irritava gli occhi. Guardai la galleria affollata, i palchi con gli schermi, le file degli spettatori. Sentii la mia voce ringhiare all’acrobata l’ordine di andarsene.
‘Avanti con la rappresentazione!’, ’Sei abbastanza bello, datti da fare!’. Dalla galleria qualcuno lanciò una mela sbocconcellata, che rimbalzò davanti ai miei piedi.
Centinaia di facce untuose mi guardavano dalla semioscurità. Parrucche disordinate, gioielli falsi, abiti sporchi e pelle che pareva scorrere come acqua sulle ossa storte. Una folla di mendicanti laceri fischiava e gridava dalla galleria, gobbi e guerci, e grucce puzzolenti, e denti del colore dei denti dei teschi rimossi dalla terra di una tomba.
Tesi le braccia. Piegai il ginocchio, e cominciai a girare su me stesso, come gli acrobati e i danzatori, su un piede solo e sempre più svelto, fino a quando mi fermai e mi lanciai all’indietro in una successione di capriole e salti mortali, imitando tutto ciò che avevo visto fare dagli artisti delle fiere.
Poi guardai il soffitto, comandai al mio corpo di slanciarsi e piegai le ginocchia per saltare. In un istante toccai le travi e ridiscesi con eleganza, senza far rumore.”.
L’esibizione di Lestat continua, tra acrobazie e salti al di là delle possibilità umane. Il pubblico, se in un primo tempo è entusiasta, convinto che debba esserci un trucco dietro a tante prodezze, ben presto realizza che qualcosa di sovrannaturale sta avvenendo davanti ai suoi occhi.
Il panico dilaga, mentre la voce di Lestat, la sua voce da vampiro, capace di far impazzire i mortali con la sua potenza, si alza sempre più forte:
“Alzai lentamente le mani per attirare la loro attenzione e cantai a gran voce, con fermezza, la dichiarazione a Flaminia, la mia dolce Flaminia, e una sciocca strofa lasciò spazio all’altra, e la mia voce diventò sempre più forte, fino a che gli spettatori si alzarono urlando; ma io cantai ancora più forte, fino a cancellare ogni altro suono. E nel fragore intollerabile li vidi tutti, a centinaia, rovesciare le panche nell’alzarsi, con le mani premute sulle orecchie.”.
E’ forse questo l’unico passaggio nella saga in cui, salendo su un palcoscenico, un vampiro si rivela per quello che è: fa della propria mostruosità il solo elemento di ‘spettacolo’, invece di ingannare i mortali.

Non così i vampiri che, raccogliendosi intorno a Nicholas, daranno vita al primo Teatro dei Vampiri.
Lestat ha trasformato l’amico, dopo che la congrega di non-morti che aveva dimora sotto il Cimitero degli Innocenti l’aveva ridotto praticamente in fin di vita.
La trasformazione libera tutta l’oscurità da sempre repressa nel ragazzo, e lo porta alla follia. Mentre, nel vecchio teatro di Renaud, Lestat cerca di fargli ritrovare la ragione, facendogli suonare l’amato violino, sopraggiungono gli altri vampiri:
“Il violino parlava; non si limitava a cantare. Insisteva. Narrava una storia.
E sapevo, sapevo con immensa pienezza, che il violino narrava tutto ciò che era accaduto a Nicki. Era la tenebra esplosa, la tenebra disciolta, e la sua bellezza era come la luce delle braci: appena sufficiente per mostrare quanto era grande la tenebra.
[…]Un vampiro, all’improvviso, captò il ritmo della musica di Nicki: spostò la testa lateralmente e mosse gambe e braccia come se fosse una grande marionetta, controllata dall’alto per mezzo di quattro fili.
Gli altri lo videro. Conoscevano le marionette del Boulevard. E tutti assunsero atteggiamenti meccanici, si mossero sussultando mentre i loro volti apparivano lignei, impenetrabili.
[…]Una risata acuta e penetrante eruppe dalla bocca di Nicki, una risata che gli faceva tremare il petto e gli scuoteva braccia e gambe. Poi, con tutta la potenza della sua voce urlò:
’Ecco  il Teatro dei Vampiri! Il Teatro dei Vampiri! Il più grande spettacolo del Boulevard!’.”
Immagini che fanno pensare a certe espressioni delle avanguardie d’inizio secolo, come la super-marionetta di Craig 132, o a certe forme di danza orientali 133.

E’ Nicki ad avere per primo l’idea di usare il teatro come strumento per la diffusione del male:
“Come dicevi? ‘Il male nuovo, la putredine nel cuore della rosa, la morte in mezzo alla realtà’…. Non capisci l’ironia sublime, la genialità? Verranno ai nostri spettacoli, riempiranno d’oro le nostre casse, e non immagineranno mai che cosa fiorisce sotto gli occhi dei parigini. Ci nutriamo di loro nei vicoli, e loro ci applaudono davanti al palcoscenico illuminato…
[…]Bene, prenderemo il teatrino che hai dipinto d’oro e ornato di velluti, e servirà le forze del diavolo più splendidamente di quanto siano mai state servite dalla vecchia congrega’. Si voltò a guardare Eleni e gli altri.
‘Irrideremo tutte le cose sacre. Li guideremo alla volgarità e alla profanità. Sbalordiremo e incanteremo. Ma soprattutto prospereremo grazie al loro oro e al loro sangue, e diventeremo forti in mezzo a loro.’”.
Nicholas mantiene la sua promessa, ed il teatro prospera, mentre Lestat lascia Parigi per il mondo. Tuttavia, le lettere della vampira Eleni e del suo legale lo tengono informato su quanto avviene in Francia:
“’Si presentano come gigantesche marionette di legno. Dalle travi scendono cordicelle dorate, legate alle caviglie e ai polsi e alla sommità della testa, e sembra che siano questi fili a manovrarli, mentre eseguono le danze più affascinanti. Hanno le guance dipinte di rosso, e gli occhi sono grandi come bottoni di vetro. Non potete immaginare con quanta perfezione riescono a sembrare inanimati.
Ma l’orchestra è un’altra meraviglia. Con le facce dipinte nello stesso modo, i musicisti imitano i suonatori meccanici, quei pupazzi snodati che si caricano con una chiave e strimpellano sugli strumenti, o soffiano nelle trombe, e producono vera musica.”.
Ancora immagini d’avanguardia ante litteram, ma l’arte vampirica sfugge, giustamente, a qualsiasi categoria storica.
La lettera continua:
“In quanto ai testi, sarebbero assai sconvolgenti, se non fossero tanto ingegnosi e così ben rappresentati.
C’è un dramma molto popolare in cui un vampiro esce dalla tomba sul palcoscenico. E’ terrificante, con i capelli spioventi e le zanne. Ma s’innamora subito di una donna-marionetta, e non immagina che non è viva. E poiché non può bere il sangue dalla sua gola, presto il povero vampiro muore; in quel momento la marionetta rivela di essere viva, anche se do legno, e con un sorriso perfido esegue una danza trionfante sul corpo del mostro sconfitto.
Vi assicuro che è uno spettacolo da agghiacciare il sangue. Tuttavia il pubblico va in delirio.”.
Siamo ben lontani dalle messinscene d’argomento vampirico dei primi dell’Ottocento. Nodier e Planché non avrebbero mai osato mostrare simili spettacoli al loro pubblico, ed è difficile immaginare che, nel 1700, la platea fosse pronta per  rappresentazioni di questo tipo. Ma, come abbiamo detto, queste licenze non stonano nell’opera di Anne Rice. Mentre il secolo volge al termine, e le avvisaglie rivoluzionarie cominciano a farsi sentire, anche i testi del Teatro dei Vampiri si adeguano al mutare dei tempi. Scrive Eleni a Lestat:
“Gli spettatori vogliono vedere ridicolizzata l’aristocrazia. La nostra commediola che mostrava una goffa regina calpestata spietatamente da una schiera di soldati-pupazzi quando cercava di comandarli ha suscitato grandi risate.
Anche il clero è esposto alla derisione. Abbiamo un prete borioso che si presenta per rimproverare ad un gruppo di ballerine marionette il loro comportamento indecente. Purtroppo il maestro di ballo, che è un diavolo con le corna rosse, trasforma lo sfortunato prete in un lupo mannaro, e le ragazze, ridendo, lo chiudono in una gabbia dorata.”.
La situazione precipita. Parigi è sull’orlo della Rivolzione, e la mente di Nicholas, bruciata dalla follia, trascina i compagni vampiri in un carosello di orrore e morte che nulla risparmia:
“Il mese scorso ha scritto il suo dramma più grande. I danzatori marionette, che stavolta non hanno i fili, sono falciati nel fiore della giovinezza da una pestilenza e vengono sepolti sotto lapidi coperte di fiori. Il prete piange su di loro e se ne va. Ma un giovane violinista-mago viene nel cimitero e li resuscita con la sua musica. Escono dalle tombe come vampiri, tutti vestiti di gale di seta nera e nastri di raso nero, e ballano allegramente seguendo il violinista verso Parigi dipinta sul fondale. Il pubblico acclama. Ti assicuro che potremmo nutrirci di vittime umane sul palcoscenico e i parigini, credendola una nuova illusione, non farebbero altro che applaudire”….

Il sogno del Teatro dei Vampiri muore con Nicholas che, incapace di sostenere il peso della propria tenebra, si uccide gettandosi nelle fiamme. Gli altri vampiri si disperdono, mentre la Rivoluzione infuria, e solo verso la metà del secolo successivo lo sparuto gruppo di non-morti raccolto intorno ad Armand darà nuovamente vita all’orrore e all’incanto sul piccolo palcoscenico del Boulevard.
Quando la congrega distrugge la piccola Claudia, la bimba vampiro amata da Louis, quest’ultimo brucia il teatro e tutti i suoi occupanti
Da questo momento non esiste più il Teatro dei Vampiri, se non nelle carte custodite negli archivi del Talamasca, l’associazione dedita al soprannaturale, che da secoli cerca di dimostrare l’esistenza dei figli della notte.
Lestat, perduto nella sua vita immortale, deve dimenticare il tempo in cui era stato l’affascinante Lelio, che faceva innamorare le signore delle prime file. Ma la sua indole esibizionista e istrionica non trova pace neppure in questo secolo: per questo decide di diventare una rock star…
“Ma c’era un’altra ragione per quell’avventura…una ragione ancor più pericolosa e deliziosa e folle.
Volevo che i mortali sapessero di noi.
E non avrebbe avuto importanza se non mi avessero creduto. Non avrebbe avuto importanza che la giudicassero una finzione artistica. Il fatto era che, dopo essermi nascosto per due secoli, sarei apparso visibile ai mortali! Avevo detto il mio nome a voce alta, avevo rivelato la mia natura. Ero là!
Sarei apparso sotto le luci solari davanti alle telecamere, avrei toccato con le dita gelide mille mani protese e calde. Avrei spaventato tutti a morte se fosse stato possibile, e se fosse stato possibile li avrei affascinati e condotti alla verità
E supponiamo…supponiamo che quando i più vicini  a me avessero cominciato a prendere sul serio i sospetti inevitabili…supponiamo che l’arte cessasse di essere arte e diventasse realtà!
Voglio dire, se avessero creduto davvero, se avessero compreso che esisteva ancora il demone del Vecchio Mondo, il vampiro….oh, allora avremmo avuto una guerra grandiosa, splendida!
Ci avrebbero conosciuto e ci avrebbero dato la caccia in quella scintillante giungla urbana come nessun mostro mitico è mai stato finora combattuto dall’uomo.
Come potevo fare a meno di amare l’idea? Come poteva non valere la pena di rischiare il pericolo più grande, la sconfitta più tremenda?
Persino nel momento dell’annientamento, sarei stato vivo come non lo ero mai stato….”.
Il palcoscenico come rivendicazione di una vita irrimediabilmente perduta, la beffa suprema di chi non ha più nulla da perdere. Il vampiro Lestat non ha mai smesso di rimpiangere la propria mortalità, ed impiegherà ancora molto tempo per acquistare una piena consapevolezza del suo essere vampiro.
D’altra parte, è proprio la sua profonda umanità, la sua affinità spirituale con noi, che lo rende un personaggio per il quale è inevitabile provare simpatia.

OoO

132 Von Kleist, Heinrich, Uber das Marionettentheatre, (1810 ca); tr. it., di Leone Traverso, Sul teatro di marionette, Opere, vol.III, Firenze, 1959; Craig, Gordon, Il mio Teatro. L’Arte del Teatro. Per un nuovo Teatro, Milano  :  Feltrinelli, 1981
133 Savarese, Nicola, Teatro e Spettacolo tra Oriente e Occidente, Roma  :  Laterza, 1992