Benvenuta,
Cecilia. Oggi non ascoltiamo una scrittrice, bensì una donna che lavora come
interprete. Un lavoro che trovo affascinante, ma che temo sia anche molto
faticoso. Per la tensione continua e per la responsabilità. Confermi quanto ho
detto?
Confermo! E’ un lavoro molto
interessante, perché spazia da un argomento all’altro. Naturalmente c’è quello
che ti appassiona e quello che detesti, ma impari sempre cose nuove. Richiede
parecchio studio per la ricerca dei termini esatti. L’arrivo di internet è
stata una vera benedizione: prima andavamo in biblioteca, e a volte non sapevamo
bene neanche che cosa cercare… Inoltre, come dici tu, comporta anche una
grande responsabilità:  una traduzione sbagliata potrebbe fare cadere un
governo.
E’ mentalmente faticoso: devi essere
sempre attenta, anche quando traduce la collega. In cabina siamo sempre in due
e ci alterniamo ogni 30-40 minuti. E’ molto importante avere un buon rapporto
con la “concabina” (tra noi ci chiamiamo scherzosamente così, e siamo molte più
donne che uomini). Io sono fortunata perché le colleghe con cui lavoro di solito
sono molto carine, con certe ci frequentiamo anche fuori dal lavoro. La
collaborazione è fondamentale: suggerire un termine che magari all’altra
persona sfugge, scrivere cifre e sigle, essere pronti a sostituire la compagna
se ha un attacco di tosse… Comunque sono convinta che i lavori veramente
faticosi siano altri: quando mi lamento, subito dopo penso “ragazzi, non siamo
in miniera”.
Infine, è un lavoro affascinante perché
ti permette di incontrare persone interessanti e carismatiche: ho tradotto il
re di Spagna, Felipe VI, quando era ancora principe ereditario, scrittori come
Arturo Pérez Reverte, calciatori come Luis Figo e Samuel Eto’o. Un nome su
tutti? José Mourinho, fascino allo stato puro. “Se ancora non si fosse capito,
sono un’accanita tifosa dell’Inter. Nella buona e nella cattiva sorte, l’ho
sostenuta ai tempi del triplete e la sostengo adesso che non va molto bene. A
San Siro mi trasformo, quando canto l’inno riesco anche a commuovermi”.
 

Nel
tuo curriculum leggo che lavori come interprete di conferenza e che le tue
lingue di lavoro sono, cito “italiano e spagnolo attivi – inglese passivo”. Ho
una mezza idea del significato di questa espressione, però ti chiederei di
spiegarla ai nostri lettori.
Significa che traduco dall’italiano in
spagnolo e dallo spagnolo in italiano; traduco invece dall’inglese verso queste
due lingue, ma non viceversa.
Duemila
giornate di congresso in convegni internazionali corrispondono a una mole di
lavoro notevole. Come si svolge una di questa giornate?
Giornata tipo: arrivo alla sala congressi
almeno mezz’ora prima dell’inizio, prova dell’impianto di traduzione, se c’è
tempo un caffè con i colleghi. I convegni che iniziano puntuali non sono molti,
a parte quelli medici. Poi si comincia a tradurre, fino all’anelata pausa
caffè. Si continua fino all’ora di pranzo, e il pomeriggio segue più o meno lo
stesso cammino. In genere sfruttiamo le pause per leggere le presentazioni dei
relatori che, quasi sempre, ci vengono date all’ultimo momento.
Dal
1987 collabori con Harlequin Mondadori, per i quali hai tradotto cento romanzi.
Potresti indicarci qualche serie e qualche titolo? Personalmente, vado sempre a
vedere chi ha tradotto il libro che sto leggendo, pronta a lodare il
traduttore, o a riempirlo di improperi.
Ho iniziato come lettrice, poi ho fatto
la prova di traduzione. Ho tradotto soprattutto romanzi della serie
“Collezione”, qualcuno della serie “Bianca” (tra cui la miniserie “Maitland
Maternity”, in collaborazione con un’altra traduttrice), qualche “Tempation”. Mi
è piaciuto molto tradurre “La dama dell’harem”, uno dei pochissimi storici che
ho tradotto, perché era scritto in spagnolo. Vorrei sottolineare una cosa molto
importante: l’attività di traduttrice per Harlequin mi ha fatto conoscere
Alessandra Bazardi, che è  diventata la mia più cara amica. Con lei
condivido la passionaccia per l’Inter.
Una
curiosità pruriginosa. Hai mai tradotto un romanzo erotico? E se sì, quali
difficoltà hai incontrato?
Ho tradotto un paio di erotici. Le
difficoltà che ho incontrato riguardavano, com’è logico, le scene di sesso: non
essere mai volgare, usare termini non troppo espliciti, ma neanche eufemismi
troppo poetici che rischiano di essere ridicoli; oppure a volte dovere
interpretare “posizioni” degne del campionato del mondo di contorsionismo.
Lavori
solo in Italia, o sei abituata a spostarti in altre parti del mondo per il
lavoro di interprete?
Lavoro soprattutto in Italia, ma non solo
a Milano, quindi valigie, aerei, treni, auto…  A volte lavoro anche
all’estero, anche se purtroppo nella maggior parte dei casi non mi resta molto
tempo per fare turismo. Comunque questo lavoro mi ha permesso di vedere posti
in cui non sarei mai andata di mia iniziativa, come Dallas, Dubai o Umea, una
cittadina vicino al Circolo Polare Artico, in pieno inverno!
Per
le giovani affascinate dal tuo lavoro, spiega quali studi hai seguito per
raggiungere i tuoi traguardi lavorativi.

 

Dopo il liceo classico mi sono scritta
alla Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori. Per anni ho passato tutte le
vacanze estive in Spagna o in Inghilterra, per perfezionare la lingua. Non solo
studio, però: una volta, dopo due mesi in Spagna, sono tornata con un inglese
decisamente migliore perché avevo trovato un fidanzato americano, negato per
qualsiasi lingua che non fosse l’inglese. Ho anche una laurea in lingue e
letterature straniere conseguita all’Università Statale di Milano, con tesi in
letteratura spagnola.