Velma J. Starling, all’anagrafe Valentina Semprini, nasce a Roma nel 1971. Laureata in Filosofia sotto la guida di Umberto Eco, con una tesi in Semiotica del Testo dedicata ai fumetti americani d’avventura, ha lavorato a lungo come giornalista, organizzatrice di eventi e adattatrice nei settori del Fumetto e del Cinema d’Animazione. Ha pubblicato con Tunué il saggio Bam! Sock! Lo scontro a fumetti, rielaborazione della tesi di laurea, con cui nel 2007 ha vinto il Premio “Franco Fossati” come miglior volume italiano di saggistica sul Fumetto. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati online o su antologie, e nel maggio 2020 è uscito il suo romanzo Outside per Emma Books. Vive a Rimini con marito, figlia e un tot di creature pelose.
In rete, la trovate QUI.

Che genere scrive? Ce ne parla? Ci racconta come mai ha scelto questo genere per esprimersi?
Intanto, grazie infinite per l’ospitalità sul blog. Generi che scrivo? Direi tutti, tranne il giallo deduttivo classico, quello alla Sherlock Holmes, per cui davvero non mi sento portata, e il romance altrettanto classico, quello super romantico e passionale, per la stessa ragione: se ci provo, scado nella parodia con una facilità imbarazzante. Guardacaso, volendo cimentarmi con una storia lunga, ho optato per il chick-lit in modo da sdrammatizzare e sentirmi a mio agio. Il problema, se vogliamo chiamarlo problema, è che nove volte su dieci quello che scrivo lo tengo per me; anche perché spesso si tratta di racconti, che per loro definizione non hanno tantissimi sbocchi editoriali (sebbene le cose stiano un po’ cambiando). La ragione per cui, di volta in volta, cambio genere è che a certe trame e certi personaggi mi pare si adatti meglio un genere di un altro. Per esempio, sto dando una sistemata a un racconto che parla di un uomo profondamente turbato, succube di vecchie esperienze in apparenza non terribili, in pratica traumatizzanti se si sposano con una psiche vulnerabile: l’ho declinato in versione thriller, pensando che far sbroccare il personaggio avrebbe funzionato meglio, rispetto ad altre possibilità. Ovviamente tutta questa autoanalisi avviene quasi sempre a posteriori: sul momento, c’è solo “oh adesso c’è questo tizio che fa questa cosa per il tale motivo e poi però invece che finire così va a finire cosà e in questo modo viene fuori il tale argomento”.

Come scrive? Penna e carta, Moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, iPad, iPhone?
Assolutamente computer, ormai è troppa l’abitudine. Carta e penna solo se devo prendere un appunto al volo oppure se immagino di dover passare dei tempi morti in qualche posto dove starei scomoda con il portatile (che so, la sala d’aspetto del dentista).

C’è un momento particolare nella giornata in cui predilige scrivere i suoi romanzi e racconti?
La mattina perché sono più sveglia e riposata (almeno in teoria, considerato che ultimamente soffro un po’ di insonnia). Oppure notte fonda, se mi prende il trip che mi fa superare la soglia del sonno ed essere improvvisamente produttiva.

Quando scrive, si diverte oppure soffre?
Tendo a divertirmi, nel senso in cui ci si diverte a svolgere un’attività gradevole seppur faticosa. Io mi diverto anche a riordinare la libreria, per dire. Basta che sia qualcosa che mi assorbe. Soffro quando ritengo che la mia scrittura non renda giustizia a quello che volevo comunicare: in quel caso, più che di sofferenza parlerei di frustrazione.

Nello scrivere un romanzo, “naviga a vista” come insegna Roberto Cotroneo, oppure usa la “scrittura architettonica”, metodica consigliata da Davide Bregola?
Progetto architettonico per le fondamenta, i muri e i punti luce. Navigazione a vista per l’arredamento e la tinteggiatura delle pareti. Ma c’è anche la volta in cui voglio mettere un certo mobile contro quel muro, dove però non ci sta, e il mobile mi piace tanto da buttare giù il muro e ricostruirlo un po’ diverso.

Quando scrive, lo fa con costanza, tutti i giorni, come faceva A. Trollope, oppure si lascia trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
Non posso permettermi la costanza che vorrei, ho troppe faccende in famiglia a cui badare. Quando sarà passata la pandemia e mia figlia sarà un po’ più indipendente, mi piacerebbe riprendere l’abitudine di passare del tempo in biblioteca, dove trovo la calma e la concentrazione che spesso a casa mi sfuggono.

Ama quello che scrive, sempre, dopo che lo ha scritto? 
Non sempre. Però nemmeno lo odio. È già qualcosa, no?

Rilegge mai i suoi libri/racconti, dopo che sono stati pubblicati?
Uhm… raramente. A meno che non ne abbia bisogno per scovare estratti da usare in giro come materiale promozionale, ma lì più che rileggere mi sembra di fare il cane da tartufi.

C’è qualcosa di autobiografico nel suoi libri?
Quasi sempre. A volte è uno spunto importante da cui discende l’intera storia; altre volte è un dettaglio, che però in quel certo momento della storia per me ha un valore. Per esempio: nel romanzo uscito qualche tempo fa, OUTSIDE, la sottotrama di Tabby (la gatta ammalata che compare negli ultimi capitoli) è in parte ripresa da quello che davvero accadde molti anni fa con una mia gatta tigrata che si chiamava Ginevra. Tengo moltissimo al tema del “lasciar andare”, fisicamente o metaforicamente, e mi piace mescolare i registri: ad esempio comico e drammatico.

Tutti dicono che per “scrivere” bisogna prima “leggere”: è una lettrice assidua? Legge tanto? Quanti libri all’anno? 
Al momento leggo una cinquantina di libri all’anno e mi sto sforzando di variare più possibile, dalla più bieca narrativa di consumo ai grandi capolavori della letteratura mondiale. Cerco soprattutto di colmare le mie lacune in ambito internazionale: al mondo c’è gente che vince i Nobel, i Pulitzer, i Man Booker, gli Andersen, i Nebula ecc… e la metà delle volte io l’ho a malapena sentita nominare, ‘sta gente. Non va bene, mi bacchetto le mani da sola.

Ha mai partecipato a un concorso? Se sì, ci racconta qualcosa della sua esperienza?
Ho partecipato a un sacco di concorsi! A volte sono finita sul podio, altre volte ho ottenuto segnalazioni di merito o sono entrata in finale, altre volte mi hanno silurata senza nemmeno passare dal via. Va da sé che occorre scremare i concorsi seri da quelli organizzati alla carlona, e può succedere di incappare in qualche fregatura. Detto questo, per me si tratta sempre di un’esperienza utile: serve intanto come stimolo a produrre roba nuova, magari quel raccontino che hai sempre in testa ma non ti decidi a buttare giù; a valutare tempi e lunghezze non come càpita, ma adattandosi a esigenze esterne (come succederebbe, che so, se mi chiedessero un racconto per un giornale o una rivista); a imparare dai racconti altrui che ottengono la vittoria quando  c’è modo di leggerli, ad esempio pubblicati online o su antologie. A volte sono piccoli gioielli.

A cosa sta lavorando ultimamente?
Intanto mi coccolo il mio chick-lit OUTSIDE, uscito in maggio per Emma Books, che avrebbe un sacco di backstage, riferimenti e aneddoti da raccontare un po’ alla volta sul mio sito oppure sui social. In quel romanzo, oltre a una gran voglia di sorridere ho riversato un paio dei miei temi preferiti: gli animali domestici e il cameratismo al femminile. Ovvio che in entrambi i casi io abbia attinto a piene mani dal mio vissuto o da testimonianze dirette di altre persone, e qualcosa mi piacerebbe approfondire, quindi sto girando intorno a varie idee e pensando a come gestirle. Detto questo, ho un romanzo pronto a cui tengo parecchio (un women’s fiction che vorrei perfezionare per poi trovargli casa) e un romanzo storico-steampunk circa a metà stesura. E tanti tanti racconti, fra cui il thriller a cui accennavo prima e un gruppetto a tema animali, che vorrei pubblicare in forma di raccolta (anche per impratichirmi con le nozioni tecniche necessarie al self-publishing). Paradossalmente, conta di più ciò su cui NON sto lavorando ultimamente, cioè il mio obiettivo ultimo, quello a cui tutto il resto tende: l’amata trilogia fantasy a cui ho accennato tante volte in passato. Tutte le storie, brevi o lunghe, dico tutte, hanno per me un valore profondo, ci metto l’anima e le rifinisco a sfinimento; questa, però, è un altro pianeta. E mi sono resa conto che è un progetto talmente ambizioso (a un livello squisitamente personale e qualitativo) da non poterlo affrontare con le mie capacità attuali. Ci sono temi difficili, miriadi di personaggi, una trama incasinatissima che funziona solo con tutti quei temi e tutti quei personaggi. Non sono ancora abbastanza brava e non voglio rovinare LA storia della mia vita, l’unica così viscerale, solo per l’impazienza di scriverla. Uno non si mette a scalare l’Everest se gli viene il fiatone dopo aver camminato per cinquecento metri, giusto? Ecco, io ne ho da camminare.

Grazie per questa bella chiacchierata, Velma. Alla prossima!
Grazie a voi, ragazze.