Genova è una città dal fascino particolare. Affacciata sul mare, arrampicata sul monte, regala paesaggi e persone indimenticabili. Antonio Mariani, il Commissario creato dalla fertile penna di Maria Masella (Fratelli Frilli Editori) ci fa da cicerone e guida. A modo suo.

L’ho aspettato sotto casa.
Mi dispiace molto, ma ho promesso di non rivelare via e numero civico, mi è consentito soltanto dire che è nella zona di Quarto-Quinto, quindi a levante rispetto al Centro città. Non è sul mare ma piuttosto vicina, diciamo a metà strada fra corso Europa e il lungomare. Non è sul mare, ma dal terrazzino di cucina il mare, di scorcio, si vede.
Lo sto scrivendo e lui arriva, jeans cinquetasche, camicia a quadretti piccoli. Occhieggia per controllare che non abbia rivelato quello che non devo. Toglie dalla tasca il pacchetto e me lo porge… Mentre accendo, mi fa: “Genova non la capisci, se non capisci ‘sta questione delle case e del mare. Se si vede il mare una casa costa di più.”
Lo so, ora direte che parliamo sempre di palanche (soldi), ma è vero. Se da casa vedi uno scorcio di mare ti si allarga il cuore…

Corso Firenze

“Dalla casa di Sampierdarena non si vedeva il mare perché era nella piana, ma da quella dei Corsi, dove abita ancora mia madre, si vede fino all’orizzonte.”
Nota: a Genova le zone pianeggianti sono poche, Sampierdarena è stata edificata in una piana, ma già negli anni ’50 si è dilatata a coprire le colline, arrivando fino a Belvedere e alla Castagna.
Nota: cosa sono i Corsi? Corso Armellini, Corso Solferino, Corso Magenta, Corso Firenze (L’uomo dei capperi) sono una fisarmonica che domina la città da piazza Manin (Sangue del mio sangue) a sopra stazione Principe, alberata, con traffico infame, vista stupenda. Fra Corso Magenta e Corso Firenze c’è Castelletto, una spianata che domina il Centro Storico con vista sui tetti e i giardini interni di via Garibaldi.
È rimasto per un po’ in silenzio.
“Sampierdarena la chiamano Sampierdelvento, ma anche i Corsi non scherzano. Ogni angolo ha il suo vento. Qui devi difenderti dalla tramontana e dopo due passi dal libeccio. Il vento l’abbiamo nel sangue, sarà che per secoli con il cattivo vento non si navigava. E siamo stretti dai monti: qualunque strada verso Genova è gallerie e viadotti. Il mare era libertà, lavoro e guadagno, ma per navigarlo ci voleva il vento giusto.”
Ha tolto il pacchetto dalla tasca e nonostante la tesa tramontana accende al primo colpo.
“Ora vado che ho un’indagine.”
Lo blocco. “È vero che giocavi a biliardo?”
“Sì, mi ha insegnato mio padre.” Una pausa. “Devo avertene parlato. Era stata quella maledetta indagine, quando poi sono stato ferito. Sì, temevo che fosse la mia Ultima Chiamata.”

Oggi è stato difficile placcarlo.
È un uomo sfuggente. Arrivo sotto casa sua e Fran mi dice che è già uscito, quando ha un caso non ha orari e quando non ne ha è irrequieto. Vado in Questura. È uscito a prendere un caffè. Lo aspetto, niente. Ha incontrato Torrazzi e sono andati a pranzo.
Non so quando lavori, eppure i casi li risolve. Facendo trottare la Petri!
Sono riuscita a beccarlo poco fa e gli ho chiesto dove è stato.
“A sentire uno.”
Non mollo la presa: “Dove?”
“Raibetta.” Mi guarda. “Sai dove è?”

Piazza della Raibetta

Nel Centro Storico a volte mi perdo, ma Raibetta so dove è. Sulla mappa la chiamano piazza Raibetta, soltanto a Genova quella specie di slargo alla fine di via Turati può essere chiamata piazza, mentre è solo un prendere fiato prima dell’infilata di Sottoripa che sarebbero i portici che costeggiano Caricamento.
“Cosa fai?” mi chiede.
“Cerco di scrivere due note per le amiche.”
Lancia un’occhiata ai miei appunti. “Caricamento… Sono di qui o sono foreste?”
“Foreste… quasi tutte.”
Si stringe nelle spalle. “Non sarà facile. Con Iachino e con la Petri ho faticato. I nomi hanno una storia, hanno un peso. Lo sai perché si chiama Caricamento?”
“Perché ci arrivava la ferrovia da Torino e caricavano le merci per il porto.”
“Devi dirlo che sulla mappa è piazza Caricamento.”
Cerco di riportarlo al caso di cui si sta occupando. “A Raibetta per cosa?”
“Perché mi piace. Arrivarci da De Ferrari, giù percorrendo San Lorenzo…” E parlando ha perso piazza e via, da genovese. Forse risparmiamo anche sulle parole. “Mi piace San Lorenzo, e Canneto…”
“Da San Lorenzo hai avuto un’indagine.”

Chiesa della Consolazione

“Sì. L’antiquario. Quei tre con i nomi che finivano in IO. E Roberto. E quella povera ragazzina.” Si passa una mano sul viso, poi accende una sigaretta, come se fosse una barriera contro certi brutti ricordi che si sono accumulati negli anni. “Il frate della Consolazione.”
E la Consolazione è la chiesa a metà di via Venti, che sarebbe via Venti Settembre… Grande lugubre e muffita.
“Poi l’hai ritrovato.”
“Sì, mi ha aiutato con quel morto sopra Cornigliano, a Coronata.” Mi guarda. “Ti ricordi come era Coronata?”
“Sono più vecchia di te e come te del ponente!”
“Orti e vigne. Uguale è rimasta la strada infame.”
Non si può parlare per dieci minuti senza tirare in ballo l’infamità delle nostre strade, quando glielo dico commenta che se uno resta tappato ogni giorno… “E se abiti a Marassi come Iachino, quando c’è partita non ti muovi.”
“Hai notizie di Iachino?”
Guarda l’orologio. “Ora devo andare.”
E sparisce.

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