Sempre QUEL mercoledì. E l’argomento -se ricordate- era… Quale reazione mostra il vostro compagno quando scrivete un romance erotico?
Questa volta tocca a Federica D’Ascani.
Metti che na vorta quarcuno ce casca…
«Ok, ho deciso. Non me ne frega niente se pensi che non è etico, tesò: questo è quello che vole la gente, questo è quello che vojo scrive!» je dico, e lo fisso in cagnesco, assottigliando lo sguardo, pronta allo scontro con i Volturi. Te la tajo davero la testa, sa? Mica so Alice Cullen, io…
«Non ho capito de che stai a parlà» me dice lui, alzando lo sguardo dal libro di Agassi. Da quando l’ho portato sulla riva opposta della tv, immerso nel lago oscuro della lettura, non mi si fila manco per cenare… Non lo so se ho fatto bene.
«Faccio erotico, tesò. Vojo scrive erotico» spiego, inspirando a fondo per trattenere la calma. Voglio rimanere calma.
«Eh, vabbe’, fa come te pare» replica, e torna sulle pagine del libro.
«Ah… Cioè, ma m’hai sentito, amò? Scrivo erotico!»
«Eh, ho capito. Che voi da me? Mica li devo scrive io. Se c’hai l’ispirazione e te la senti, scrivili.»
«E non… Non te ne frega niente? Non c’hai da obbiettà niente?» je chiedo, guardinga, spiazzata, all’erta. Ao, tutti, e dico tutti i mariti delle mie colleghe c’hanno quarcosa da di’, e lui niente? Proprio manco na virgoletta? Sì, lo so, me sto andà a cercà i problemi dove non ce stanno, però ce vojo vedé chiaro, dentro a sta faccenda, perché me inquieta sto esse statico…
«Che te devo di? Se te viene bene e pensi che la gente se lo leggerebbe…» ribatte, e fa spallucce, il naso sempre tra le pagine.
Eccolo, eccolo, l’infingardo che sparge il seme del dubbio. Ma mo lo frego io, lo frego.
«Certo che la gente se lo leggerebbe. Ce stanno certe che stanno a fa i sordoni, proprio. Anzi, più so zozzi e più tirano. Pare che la gente non tromba manco tramite cellulare, a sta vedé le vendite…»
«Uhm…» valuta lui, mettendo finalmente il segnalibro alla pagina a cui è arrivato. Tenero… Sta col cartaceo, lui, novellino della lettura. Me fa na tenerezza…
«Che è?» gli chiedo, arcuando il sopracciglio. Se mo me dice che secondo lui dovrei scrive tutt’altro me lo magno.
«Scusa, eh?» me fa «Ma se tira così tanto perché c’hai messo 10 anni pe decidete? So mesi che me fracassi coi gay, co la robba de narrativa, i tizi der 1800… Cioè, se già lo sapevi prima che a scrive de gente che tromba vendevi, perché te sei messa a fa artro? Cioè, addirittura l’horror che non se lo fila nessuno manco de sguincio…»
«No, aspetta n’attimo» metto le mani avanti. Qua me sta a andà a sindacà su quello che faccio e non me sta bene. «Io scrivo quello che me pare e quello che me sento…»
«E allora perché me lo stai a di’?»
Eh… infatti, perché je lo sto a di’? Perché me dovrebbe fregà quarcosa de quello che pensa lui del lavoro mio? Mica so la Pozzi che me ne vado in televisione a fa robba co tre omini a botta (che, vojo di’, ogni tanto un pensierino…). Che io vado a sindacà sulle mattonelle che vende? Sui sacchetti de kc1 che carica sui cassoni dei clienti? Che je vado a di’ come se guida un muletto? No. Perché allora me importa così tanto de sapé er giudizio suo su quello che scrivo io? Che se poi me dice che non je sta bene, me ce incazzo pure?
«Boh, volevo parlà» rispondo, sovrappensiero.
«Allora, tanto pe parlà» me fa lui, le mani avanti come un regista «ma non lo trovi il modo de fa le sceneggiature pe i porno? Ho visto un documentario, l’altra sera, che parlava dei milioni che stanno dietro a st’industria. Cioè, sai che svorta?» me fa.
Io lo guardo, lui guarda me. Io lo riguardo, lui riguarda me. Il gatto miagola, il piccolo Attila fa la body painting con i pennarelli superlavabili e i SuperWings se ne vanno in giro per il mondo a portare pacchi dalla tv sintonizzata su Cartoonito.
«Ma non stavi a legge la storia de Agassi?» gli chiedo, aggrottando la fronte.
«Sì! Na cifra figo, lo sai?»
«Ecco, ricomincia a legge, va…»
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