Scrivere è faticoso, almeno per quelle di noi che lo fanno seriamente. Scrivere un romanzo, ma anche solo un racconto, è un’impresa lunga e paziente che richiede le doti certosine di chi fa un lavoro artigianale. Vogliamo fare il sunto della situazione? L’ideazione non è che il primo passo. Poi, bisogna passare all’attuazione delle proprie idee ed ecco che iniziano le ore interminabili di lavoro al computer, tempo sottratto a noi stesse, alla nostra famiglia e ai nostri amici. Una volta che, dopo mesi, la storia è stata messa su carta (o su supporto informatico, fate voi), comincia il lento e massacrante lavoro della revisione. Quando anche questo è finito e il romanzo viene finalmente pubblicato, o da una CE o come self, si pensa che il compito dell’autore sia terminato. E invece no. Se si escludono i pochi eletti (quelli che Grazia Maria Francese piazza in fascia D, per intenderci), ha inizio il vero psicodramma. Perché il libro va pubblicizzato. Infatti, come osserva Mari Thorn: “se non siamo noi a ricordare al mondo che esistiamo, il mondo non si ricorderà mai di noi”.

Ecco, quindi, che le strategie di marketing diventano essenziali.

Se ne è parlato nel Gruppo Facebook “Babette legge per voi” durante il rituale compito del mercoledì. Ad aprire le danze è stata Paola Garbarino che ha posto la seguente questione: “… durante queste due settimane non ho fatto alcun tipo di spam per i miei libri e mi sembra di aver venduto e non venduto come al solito, come quando mi pubblicizzo tutti i giorni su vari gruppi, con teaser, estratti e quant’altro. Io il marketing lo trovo pesante, vorrei soltanto rintanarmi a scrivere, quindi forse sto cercando un pretesto per accantonarlo un po’ o almeno farne molto meno. Io per prima ho acquistato libri perché incuriosita da un estratto letto su un gruppo, ma inizio a pensare che non sia così determinante questa pubblicità, perlomeno quando si hanno all’attivo un po’ di libri e si ha una piccola cerchia di lettori. Cosa ne pensano le altre autrici presenti?”

Allora, il problema è il solito che da un po’ di tempo affligge tutte le autrici che non hanno alle spalle una solida CE e che può essere così riassunto:

a)     Come pubblicizzare i propri libri?

b)    Lo spam, serve oppure no?

c)     Quali sono le strategie di marketing che voi ritenete più utili?

Ho cercato di condensare in breve le vostre risposte. Scusatemi se non vi cito tutte, ma molte risposte sono simili e non ho potuto.

Per pubblicizzare i propri libri, esistono vari mezzi.

A Rossella Gallotti, per esempio, piace “creare card in cui inserire le citazioni del libro, cercare l’estratto che può incuriosire, ma che non contiene spoiler; farlo non è facile e richiede tempo… alcune volte parecchio.”

Per Raffaella Velo Nero: “… per farsi conoscere bisogna farsi leggere e per farsi leggere il solo modo efficace è quello di diffondere il più possibile racconti e ciò che si è scritto, anche gratuitamente. Insomma: l’assaggio.”

Valentina G. Bazzani cerca di diversificare i post e di seguire le “giornate a tema”, mentre per Lavinia Brilli il problema è il seguente: “i gruppi sono composti soprattutto da scrittori e non da lettori”.

Antonella Sacco pensa che abbiano una certa utilità le “promozioni gratuite” e cerca di spingere i libri che le sono piaciuti pubblicando recensioni sul proprio blog.

Partecipare alla vita dei gruppi, poi, non è facile. Secondo Mariella Mogni, spesso, nei gruppi, una piccola élite guarda con sufficienza chi non ne fa parte e ci si può sentire come “un cane in chiesa”.

Clara Cerri rafforza tale concetto dicendo che “Ẻ un po’ come nella vita: il gruppo ti annusa (e qui mi fermo per non aggiungere: il sedere) e decide se sei amico o nemico.”

Rosanna Fontana osserva che “se scrivo e non mi pubblicizzo, il risultato è pari a zero. Per questo realizzo card, booktrailer, interagisco con i gruppi e cerco di farmi conoscere. Il problema, però, è che questo lavoro di “marketing” richiede tempo e le giornate non sono di quarantotto ore. Bisogna fare delle scelte. Ad esempio sono fruttuose le interviste serali sui gruppi, ma significa che per una sera intera non posso dar retta alla mia famiglia. Per questo spesso prediligo lo spam, rispettando i giorni e i regolamenti. Perché dà visibilità ai miei libri senza portare via troppo tempo al resto”.

Ilaria Carioti, dal canto suo, ci fa notare che “giveway, blog tour, pubblicità a pagamento su Facebook…, ho imparato che i modi per fare propoganda sono molti e la gran parte ancora non l’ho sperimentata.”

Federica Soprani ci dice che lei e Vittoria Corella si sono “sempre arrangiate, utilizzando soprattutto i social, scrivendo a blog e portali, chiedendo di poter inviare i nostri romanzi, cercando luogo e occasione per presentarli dal vivo, quando possibile.” Inoltre, si sono sempre affidate al “passaparola” tra le lettrici, evitando lo spam che entrambe trovano fastidioso.

Ed eccoci giunte al secondo punto della scaletta: lo SPAM, croce e delizia di molte di noi.

C’è un gruppo di scrittrici (Velo Nero, Angela Serra Giulianini, Rosanna Fontana, Elle Eloise, Yali ou Ametistha)  che pensa che, più che spammare, sia necessario interagire con il pubblico di riferimento, partecipare alla vita dei gruppi e farsi conoscere sia come persona che come autore. Per fare conoscere i propri libri, insomma, è sempre meglio far conoscere prima se stesse. Soluzione non facile, però, perché c’è chi, come Fernanda Romani e Lia Weston, dice di essere bloccata dalla timidezza, qualcun altro fa presente di non avere tempo, mentre Linda Lercari aggiunge che, secondo lei, uno scrittore dovrebbe soltanto scrivere.

Sveva Morelli teme che lo spam sia fondamentale per farsi conoscere, perché il mercato è saturo, inghiotte anche le novità in pochissimi giorni. Però, va fatto con criterio, per ispirare un minimo di curiosità.

La nostra Viviana Giorgi è dubbiosa: “Se è di post su Facebook o Twitter che si parla, allora faccio una moderata pubblicità, cercando di interagire con i gruppi anche quando non è ‘spam day’, ma oramai ci sono talmente tanti gruppi dedicati al romance che mi chiedo se ne valga la pena. Anche perché gli utenti sono sempre gli stessi. Non so quanto funzioni, onestamente, spammare a raffica. Quando, dopo uno spam, le vendite crescono è davvero perché ho spammato o è così che doveva andare?” Alexandra Maio la pensa in maniera diversa. Lei crede che lo spam funzioni, anche se le dispiace che il suo spam nei gruppi diventi una notifica nel diario dei suoi contatti. Anche Elle Eloise è della medesima opinione. Infatti, secondo lei, “Lo spam nella fase iniziale va fatto, per far sapere che è uscito il tuo libro. Dopo un breve periodo di pressing (un mese circa) se anche gli altri ingredienti funzionano e sono ben calibrati, ho visto che il libro comincia a viaggiare da solo.”

Insomma: SPAM sì o SPAM no?

Lascerei rispondere Mala Spina che, secondo me, di marketing un po’ se ne intende.  A suo giudizio, “Per fare il famoso e inviso ‘SPAMi ci vuole costanza e anche un po’ di inventiva per non ridursi a condividere sempre le solite immagini o link”.

Su questo credo che siamo tutti d’accordo. Ma come fare? Mala Spina ci dà la sua possibile soluzione:

a)     scrivete e pubblicate articoli che ‘richiamino’ i vostri libri;

b)    spaziate tra generi diversi;

c)     dirottate i lettori sul vostro sito.

Se mi spiegasse come mettere in pratica il punto c, le sarei incredibilmente grata. Anche io ho una specie di blog, ma non ci viene quasi mai nessuno.

La strategia di Marco Canella è semplice e ispirata al buon senso: “Cerco di utilizzare le potenzialità di un social come Facebook, sfruttando, prima di tutto, il prezioso aiuto delle blogger (presentazioni e/o recensioni) con le quali si è instaurato un ottimo rapporto.”

Inoltre, anche lui posta estratti e cover, cercando di non esagerare, per non infastidire il potenziale pubblico dei lettori.

La mia amica Lidia Calvano ha anche lei la sua ricetta: “Se potessi sintetizzare comunque quello che ho imparato negli ultimi sei mesi è questo: se vuoi vendere pensa a quello che piace al cliente e non soltanto a quello di cui ti innamori tu; meno spam, più interazioni.”

Giusto, credo che la soluzione sia piuttosto ovvia. Ma non per tutti è possibile metterla in pratica. Da masochista imperterrita, la penso un po’ come Fernanda Romani: “È inutile lamentarsi delle scarse vendite se non si vogliono seguire il mercato e il gusto del lettore medio. Io scrivo quello che ho voglia di scrivere. Punto. L’alternativa non esiste. Non mi sono messa a scrivere a cinquant’anni per rincorrere i gusti altrui. Scrivo le storie che ho in testa, non potrei fare niente di diverso.”

E allora per me, per Fernanda, per tutte quelle che vogliono scrivere solo quello che hanno in testa, non esiste proprio una via d’uscita?

Chiuderei con la metafora dei vini di Grazia Maria Francese. Non solo mi è piaciuta molto ma, come lei e come quasi tutte noi, io spero di essere nel gruppo C. Pronta al grande salto. E voi? Ve la riporto.

“Il mondo dei vini è grande e misterioso, ma si possono distinguere quattro categorie di prodotti. Partendo dal basso:

a) le schifezze. Qui bisogna investire una cifra in pubblicità ed essere martellanti, allo scopo di convincere la gente che un vino fatto con le polverine ha delle qualità;

b) i vini fatti con l’uva, ma costruiti in cantina in modo da adattarsi ai gusti del pubblico. Qui non serve martellare, bisogna costruire con intelligenza i contatti giusti;

c) i vini fatti bene, con passione e valorizzando le caratteristiche del territorio. Questi hanno poco mercato, perché cominciano ad avere necessariamente prezzi un po’ più alti (non se ne possono sfornare decine di migliaia di bottiglie): bisogna rivolgersi a un pubblico di intenditori, ossia a un mercato di nicchia. Questi però sono i vini che, con un pizzico di fortuna e di bravura, hanno la possibilità di passare nella categoria d);

d) vini famosi. Qui la pubblicità non serve più, per vendere basta il nome. Vorrai mica dire che quella bottiglia di Dom Perignon pagata 300 euro non è buona? Lo è sicuramente! A ciascuno scegliere in che fascia vuole stare. Io sono per la C, ovviamente. Non meningite C. Speriamo.