C’era una volta, tanti anni fa, una notte buia e tempestosa.

No, in realtà era una mattinata piena di sole tipica di un’ottobrata romana quando due persone profondamente diverse, nell’aspetto e nel modo di essere, varcarono il portone dell’antico palazzo romano che ospitava il Centre Culturel Français. Fu l’inizio di un’amicizia e di una collaborazione creativa che durano da allora.

Ma questa storia l’abbiamo già raccontata molte volte.

Quello che non abbiamo raccontato sono le delusioni e le disillusioni, le porte in faccia e i “no”, che non sempre aiutano a crescere, e tutto quello che ci ha messe alla prova, che ci ha spinte ad andare avanti, a sperimentare nuove strade, a rimetterci in gioco e a non mollare.  È di questo che vogliamo parlare qui oggi. Grazie a Babette perché ce ne offre la possibilità!

Fine Anni Ottanta. Torniamo gasatissime ed entusiaste dal Teleconfronto, prima mostra internazionale del telefilm e vetrina annuale delle produzioni europee che si teneva in quel di Chianciano Terme. Dopo aver incontrato e frequentato “alla pari” intellettuali come Beniamino Placido, sceneggiatori come Arlorio e Felisatti, registi come Piero Vivarelli, e conosciuto scrittrici come Lidia Ravera, siamo convinte  di avere il mondo a portata di mano, o almeno il mondo che interessava a noi: quello della scrittura e della televisione. E quando addirittura Fellini – dico Fellini, non so se mi spiego – durante un provino (ma questa è un’altra storia) si mostra incuriosito e interessato al fatto che scriviamo romanzi rosa, scommetto che chiunque avrebbe pensato “è fatta!”.

Ci sembra che il nostro primo romance sia nato sotto i migliori auspici, quindi la caduta dal pero è ancora più rovinosa. Mentre dalle case editrici che consultiamo ci arriva, immancabile, sempre la stessa risposta – “Se non avete pubblicato nulla non siamo interessati” – ci rendiamo conto che, nei salotti intellettuali dove abbiamo messo piede fiduciose e speranzose, siamo considerate come una sorta di divertissement  e  niente di più.

Ingoiamo il rospo, prendiamo atto e, orgogliose, rifiutiamo il ruolo di scimmiette ammaestrate. Fine della frequentazione dei salotti.

Colpo di scena: la Cino del Duca compra “Tramonto sul Bosforo” (diventato “Un sogno di cristallo”). Non ci sembra vero, ce l’abbiamo fatta! Scriviamo  libri rosa e adattamenti e la Lancio, che prima ci aveva snobbate, pubblica alcuni nostri romanzi e ci accetta nella sua scuderia di autori di fotoromanzi. Tanta fatica, tanto stress, ma tanta soddisfazione. I fotoromanzi Lancio vengono letti in tutto il mondo!

Poi però arrivano le telenovelas. Il mercato dei fotoromanzi va a picco, i rosa vengono tradotti perché costano meno e noi ci ritroviamo praticamente senza lavoro.

Una volta metabolizzato il colpo, ci guardiamo intorno per vedere cosa vende di più sul mercato. I giornali per ragazzi: Cioè e tutta la miriade di riviste collegate, di proprietà dello stesso editore. Troviamo un aggancio, proponiamo un’intervista al nostro amico Cecchi Paone e da lì ripartiamo. Nel giro di un po’ di mesi, perdiamo il conto del numero di articoli, rubriche, test, fumetti, fotoromanzi che sforniamo come una catena di montaggio.

Ma la crisi della carta stampata è in agguato. Le testate chiudono, le tirature di quelle che sopravvivono si riducono drasticamente e così i nostri guadagni. È di nuovo tempo di cambiare, per fortuna adesso assorbiamo meglio la botta.

Ci spostiamo sulla pubblicità. Allenate a scrivere un po’ di tutto, dimostriamo di cavarcela come copy writer e cominciamo la collaborazione con la sede romana di un’importante agenzia milanese. Tutto sembra andare a gonfie vele. La pubblicità paga bene, il lavoro è stimolante, il capo ci dà fiducia. Troppa, forse, dato che ci propone di assumerci in pianta stabile (leggi contratto a tempo determinato, allora esistevano ancora). Altri avrebbero esultato, noi – otto ore chiuse in un ufficio?! – veniamo prese dal panico. Però decidiamo di provare: non si può rifiutare un’offerta del genere.

Non ce la facciamo. Inutile spiegare che siamo nate free lance: il capo non la prende bene. O così o niente, è categorico. E ci ritroviamo di nuovo a spasso.

Passiamo alle guide Mondadori, scritte con entusiasmo e voglia di divertirsi fino a quando cambia il responsabile: addio sintonia e addio collaborazione. Ormai cominciamo ad abituarci.

Ma è in arrivo una delle delusioni più cocenti: chiamate da Sclavi nel periodo d’oro di Dylan Dog, perché gli sono piaciute alcune nostre proposte, iniziamo euforiche a lavorare alla sceneggiatura fino a quando la Bonelli decide che dobbiamo fare palestra su un’altra serie. Qui ci scontriamo con l’editor capo, convinto che le donne non siano adatte a scrivere gialli e tantomeno thriller (e la Christie e tutte le altre allora?) e, ciliegina sulla torta, in grossa difficoltà con le  femmine alte. Inutile dirlo, l’1,78 di Giacometti ci penalizza definitivamente. Prima dello scontro fisico la chiudiamo lì.

Siccome la fortuna aiuta gli audaci (e noi lo siamo sempre state, ai limiti dell’incoscienza), abbiamo l’occasione di cominciare a lavorare per le serie tv. Come sempre ci buttiamo piene di entusiasmo. È il periodo d’oro delle fiction. Puoi scegliere quali proposte accettare, lavori in contemporanea su più progetti. E finisce che, costrette a scegliere, perdiamo la fiducia di un produttore amico che ci accusa di alto tradimento. Si chiudono le porte di una serie che ci ha portato fortuna. Se ne aprono altre, ma nell’aria ci sono già i primi sentori della crisi.  Proprio in questo momento un altro importante produttore ci propone di entrare a far parte della catena di montaggio di una storica soap. Di nuovo ci si pone il dilemma: otto o più ore chiuse dentro un ufficio? Il desiderio di libertà e l’incoscienza hanno il sopravvento: rifiutiamo. Il produttore se la lega al dito.

Poi arriva la crisi vera. Le ore di fiction prodotte calano inesorabilmente. In modo inversamente proporzionale aumentano gli sceneggiatori disoccupati.

Abituate a farlo, fiutiamo l’aria: è tempo di rimboccarsi le maniche e ripartire da  zero.

Un saggio sul romance è l’occasione per riaffacciarsi al mondo del nostro primo amore, per  lanciarci a capofitto in una nuova avventura.

 Il resto è storia.

Forse avremmo potuto rimanere a coltivare il nostro orticello godendo i frutti del nostro chilometrico curriculum e invece siamo di nuovo in trincea, a combattere e a sperimentare altre strade, a cercare nuove soluzioni.

Siamo diventate autrici internazionali, abbiamo testato il self-publishing, adesso ci stiamo cimentando in  un altro genere con una serie a più mani e dopo chissà.

La sapete una cosa?

Dicono che tenere il cervello impegnato nella risoluzione dei problemi sia un ottimo esercizio contro l’Alzheimer…

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