A distanza di qualche mese, torna con noi l’avvocato penalista Alessia Sorgato, che ha accettato di rispondere alle nostre domande su un argomento tristemente attuale: la violenza ai danni delle donne.
1. Gli episodi di violenza ai danni del mondo femminile crescono in modo esponenziale. Sembra che niente riesca a frenarli, a contenerli. Quante e quali sono le forme di abuso e di sopraffazione che una donna può subire?
Maltrattamenti fisici e psicologici, botte ed angherie, lividi e mortificazioni. Il binomio ricorrente altalena tra ciò che lascia il segno sulla pelle e quel che ferisce nel cuore. L’uomo violento può essere un professore universitario come un analfabeta, ma in genere si dimostra molto abile nello scovare dove colpire la sua donna per fare male, molto creativo nel diversificare le aggressioni – oggi una sberla, domani un insulto, dopodomani un calcio, tra una settimana una scena di gelosia insana e immotivata – senza tralasciare le altre due forme di prevaricazione, che formano con queste il quadro completo dei maltrattamenti: violenza sessuale ed economica.
2. Quali nuove armi legali ci sono contro i persecutori? E come possono essere usate?
Il panorama normativo italiano ormai può dirsi abbastanza soddisfacente, grazie all’introduzione di alcune nuove norme, derivanti dall’avvenuta ratifica di certe Convenzioni internazionali importantissime come Lanzarote ed Istanbul. Oggi lo stalking – ossia la campagna di atti persecutori – se messo in atto da un ex è punito più duramente grazie a una nuova aggravante; altrettanto dicasi per il cyberstalking, ossia la molestia assillante che sfrutta la rete internet. I maltrattamenti sono ravvisabili anche tra meri conviventi (non più solo tra coniugi) anche same sex. La polizia giudiziaria può applicare d’urgenza la misura dell’allontanamento dalla casa famigliare. Per innescare il complesso meccanismo difensivo di cui disponiamo è, tuttora, necessaria la denuncia/querela da parte della vittima. Io consiglio sempre un contatto immediato con l’avvocato penalista, perché questa figura professionale (che io – come altre/i – rappresento) è fondamentale soprattutto nella prima fase, quella delle indagini, in quanto funge da raccordo tra tutte quelle coinvolte, dal Magistrato alla Polizia Giudiziaria, dall’Ospedale all’ente che fornisce supporto psicologico.
3. Lei è penalista consulente di vari centri antiviolenza di Milano. In che cosa consiste il suo lavoro? Quali sono i casi più frequenti che si trova ad affrontare?
I C.A.V. (acronimo che sta per centro antiviolenza) sono nati in Italia negli anni ’90, sull’esempio anglosassone, come centri di ascolto e consulenza per donne vittime di violenza. Sono luoghi in cui trovare varie forme di aiuto, dall’ascolto empatico all’indicazione di percorsi di fuoriuscita, dalla consulenza psicologica all’aiuto nel reinserimento lavorativo e sociale. Dentro e attorno ad un C.A.V. collaborano varie figure professionali, dalle psicologhe alle counsellor. L’avvocato si inserisce in questo reticolato che si stringe attorno alla donna e la sostiene e conduce nel suo iter di presa di coscienza e messa in campo di iniziative. La figura dell’avvocato è cruciale in questo ambito perché le vittime hanno soprattutto bisogno di sapere cosa le attende se decidono di separarsi e/o di sporgere una denuncia. Io sono penalista, per cui intervengo laddove la violenza si manifesta attraverso maltrattamenti, atti persecutori, violenza sessuale ma anche reati informatici o sottrazione agli obblighi famigliari, che rappresentano la mia area di attività. Accompagno e assisto la donna dalla notizia di reato all’ultimo grado di giudizio, in Cassazione.
4. I casi di violenza fisica sono (non sempre, purtroppo) quelli più visibili. Ci sono statistiche relative a quelli di violenza psicologica? Più subdoli, ma non meno devastanti?
Secondo il rapporto Istat sulla violenza domestica, pubblicato il 5 giugno 2015, sono circa 4 milioni 400 mila le donne in Italia che dichiarano di subire o di avere subìto violenza psicologica dal partner attuale, il 26,4% della popolazione femminile in coppia. Se si considerano le donne che hanno subìto solo violenza psicologica, in cui cioè tale violenza non si accompagna a quella fisica o sessuale, la quota si attesta al 22,4%.
La letteratura internazionale la chiama verbal oppure emotional abuse e vi ricomprende una panorama vastissimo di prevaricazioni, limitazioni ed impedimenti. Si pensi all’imposizione da parte dell’uomo – padre o compagno che sia – di come vestirsi, al divieto di truccarsi, alle reazioni di rabbia se parla con altri uomini. Si pensi ancora ai comportamenti che portano la donna ad isolarsi dalla famiglia di origine, a perdere le amiche, a non crearsi nuovi rapporti sociali perchè, in maniera più o meno subdola, viene dissuasa dal continuare a lavorare o studiare.
Si immagini ancora quanto un uomo possa svalorizzare la sua partner, umiliarla per il suo aspetto estetico, per come si occupa della casa e dei bambini, denigrarla per il lavoro che svolge e si ponga come l’unico componente della famiglia in grado di contribuire fattivamente al ménage, indirettamente ritardando o impedendo il momento in cui lei si ribellerà proprio sulla scorta del bisogno economico.
E poi si scenda un po’ più in giù, nell’inferno delle minacce, delle intimidazioni, dei ricatti – dove i più ricorrenti sono “Ti porto via i bambini, ti faccio perdere il permesso di soggiorno”- ma anche quello di distruggere gli oggetti o fare del male alle persone care o agli animali domestici. , nonché quello di suicidarsi.
5. Dentro alcune famiglie, i bambini sono vittime della cosiddetta “violenza assistita”. Può parlarcene e indicarci come possiamo proteggere quei bambini?
Con questa espressione si intende la situazione in cui, pur non essendone vittima diretta, il minore assiste a scene di aggressività verbale o di violenza fisica e/o sessuale tra persone che a lui sono care affettivamente e punti di riferimento vitali. Si è appreso dalla psicologia dell’età evolutiva che possono esistere correlazioni con l’insorgenza di esiti clinici ma, quand’anche questo non avvenga, le conseguenze dell’esposizione al maltrattamento sono inevitabili. Certi bambini sviluppano un senso di impotenza, un’incapacità di reagire in maniera funzionale a livello sociale e varie manifestazioni di disagio, dalla depressione alle difficoltà scolastiche, dalla bassa autostima alla riduzione delle capacità empatiche. Bisogna assolutamente evitare che i minori assistano alla violenza perché la ripetizione degli episodi è direttamente proporzionale al rischio di riproducibilità, ossia alla tendenza a ritenere la violenza uno strumento relazionale legittimo da adottare nella propria vita sentimentale adulta.
A mio parere, oggi, lo strumento più efficace è l’allontanamento dalla casa famigliare, si badi però, non del bambino ma dell’adulto maltrattante.
6. Denunciare un uomo violento. Ci vuole coraggio. A chi ci si può rivolgere per prima cosa?
Oggi la messa in campo di risorse per aiutare le vittime ha registrato ottimi risultati, certamente ancora non definitivi ma da enfatizzare. In pressoché tutte le regioni italiane sono state istituite le reti anti violenza che hanno allacciato tra loro organi ed enti vari, dalla Polizia al Tribunale, dal Comune alle associazioni, dai sindacati ai consultori. Personalmente io prediligo i centri antiviolenza ospedalieri perché collaborandoci ne ho visto i risultati: riescono a prendere velocemente in carico la vittima, a certificare le lesioni con documenti poi incontrovertibili al processo e poi ad indirizzarla verso le varie ramificazioni della rete utili al caso specifico, dal legale penalista a quello della separazione, dalla casa rifugio allo spazio neutro.
7. Come si muovono gli addetti per proteggere la donna che ha sporto denuncia?
Anzitutto la mettono in sicurezza, ossia verificano se nella sua cerchia famigliare o dei conoscenti disponga di adeguato supporto logistico immediato, tanto per fare un esempio se abbia qualcuno che può andare a prendere i bambini a scuola mentre lei si trova al Pronto Soccorso a farsi medicare le lesioni appena provocatele dal compagno. Dopo di che se la situazione è particolarmente grave può rendersi necessario trovarle un luogo dove abitare temporaneamente e in questo caso si fa riferimento alle Comunità casa-bambino, al co-housing sociale o alle case rifugio. Purtroppo questi centri – che rappresentano spesso la salvezza per le donne – hanno dei costi e non sempre l’Ente se li riesce a sobbarcare, per cui chiudono. Personalmente ho seguito casi in cui – in via emergenziale – la donna (coi suoi figli) veniva ricoverata in ospedale oppure portata in albergo e lì ospitata a spese dell’Ente.
Mi faccia aggiungere una cosa a cui tengo moltissimo: quanto finora ho spiegato viene messo in atto nella primissima fase, se e laddove sia indispensabile estirpare la vittima dal contesto maltrattante (si pensi a vicende, ricorrenti soprattutto in certe etnie, dove coabita una cerchia famigliare allargata a zie, nipoti, fratelli e rispettivi nuclei e questi siano congiunti e quindi solidali all’uomo). Ma l’obiettivo del legale è certamente riportare donna e bambini in casa, visto che la decontestualizzazione fa male ai piccoli, li disorienta e spaesa, per cui il mio lavoro in quella fase consiste nel fornire prove al magistrato perché applichi una misura cautelare a carico dell’uomo violento.
8. E quali sono i tipi conosciuti di “offenders”?
Il termine è ovviamente generico e serve solo ad identificare un lato della barricata, quello da cui arrivano gli spari per intenderci. Offenders è un termine più criminologico che legale e ci indica la categoria degli uomini violenti, la quale spazia dai maltrattanti ai persecutori, dagli stupratori ai pedopornografi e così via. E’ meramente indicativa e in nulla influenza il processo penale o la decisione del giudice, salvo nella dosimetria della pena, ossia nella quantificazione dei mesi o degli anni di reclusione da irrogare perché il codice stabilisce solo il minimo ed il massimo per ciascun reato.
La distinzione più nota attiene alle cinque classificazioni di stalker: bisognoso di affetto, corteggiatore goffo, risentito, respinto e predatore, a cui corrispondono diversi livelli di pericolosità.
9. Donne maltrattate che si ribellano, donne coraggiose che le difendono. Quanti sono i penalisti, nel nostro Paese, che si occupano di questo problema? Lei può fornirci dei dati?
Dubito che esistano stime, anche perché il Regolamento sulle specializzazioni degli avvocati italiani è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale da pochi mesi. Alcuni Ordini si stanno certamente organizzando e indicono bandi per la frequentazione di corsi di formazione specifica, a seguito dei quali (e previo superamento delle prove finali) si dispone di un bagaglio nozionistico aggiuntivo. Io stessa sono iscritta a questo Albo, che è pubblicato nel Bollettino della Regione Lombardia, ma devo riconoscere che è l’esperienza sul campo il valore che rappresenta la differenza, consente di muoversi velocemente ed in modo mirato ed aspirare concretamente al risultato. La verità è che dovrebbero istituire corsi di formazione anche per i Giudici …
10. Ho letto che in molti Paesi i Governi stanziano somme importanti per combattere questo problema e per dare assistenza alle persone colpite e garantirne la sicurezza. Che cosa si fa, in Italia? Quanto si stanzia e come si spende?
Il 15 settembre 2015 la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha pubblicato il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere finalizzato a “disegnare un sistema integrato di politiche pubbliche orientate in chiave preventiva alla salvaguardia e alla promozione dei diritti umani delle donne”.
Il Piano si ripromette – tra l’altro – di potenziare le forme di ausilio e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza con un approccio definito “olistico e multilivello”. Lo stanziamento per il 2016 ammonta a 10 milioni di euro, ripartiti in sede di Conferenza Stato- Regioni.
Di questa valida dichiarazione di intenti, però, al momento stentano ad arrivare realizzazioni concrete, forse anche a causa della vacanza della poltrona del Delegato alle Pari Opportunità.
11. Mi viene in mente una domanda che farei all’avvocato, ma non so se essendo l’8 marzo sia in linea.
Essendo l’uomo sempre considerato il carnefice e mai la vittima, è previsto un percorso psicologico specialmente in ambito di violenza psicologica?
La domanda è posta molto bene e la risposta è affermativa. Prima dell’avvio di questi programmi, se un uomo decideva di intervenire sui suoi atteggiamenti prevaricatori e violenti, doveva rivolgersi ad uno psicologo o uno psichiatra, a pagamento, oppure si risolveva per chiedere consiglio al medico di base, che normalmente gli dava qualcosa per dormire e lo rimandava a casa. Una legge dell’ottobre 2013 ha espressamente previsto che gli uomini, autori di comportamenti maltrattanti, si sottopongano a trattamenti di recupero. Vengono inseriti in un programma che prevede colloqui individuali e di gruppo e il percorso – che di solito ha durata biennale -coinvolge anche la compagna pur restando coperto da reciproca privacy quanto i due, in separate sedi, comunicano all’operatrice.
In un altro mio lavoro ho avuto occasione di incontrare i responsabili di molti progetti ed ho pubblicato le loro brochures e le loro interviste, che ho trovato sempre molto interessanti: va segnalato come nella prima fase del percorso la percentuale di abbandono del progetto è molto alta, sul 50-60%, sia perché il trattamento è lungo, sia in quanto molti arrivano già dal fallimento di terapie di coppia o mediazione famigliare o anche di terapie individuali.
12. I centri antiviolenza accettano richieste da parte di familiari? Quanti sono quelli che si rivolgono a voi perché preoccupati per situazioni vissute da parenti?
Con la riforma del 2013, messa in moto dalla ratifica di quella pietra miliare nella materia rappresentata dalla Convenzione di Istanbul (Convenzione d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica), sono ammesse anche le segnalazioni da terze persone. Questa possibilità si è resa indispensabile dalla constatazione, emersa già dall’indagine Istat del 2006 e confermata da quella più recente, uscita a giugno dello scorso anno, che il c.d. numero oscuro (ossia quello dei casi di violenza domestica o di genere non denunciati) si assesti in Italia ancora attorno al 90%.
In verità sto parlando di segnalazioni e richieste di ammonimento – che è una sorta di “avvertimento” impartito allo stalker (ed ora allargato al maltrattante) a cambiare comportamento e/o a non avvicinarsi alla sua vittima – rivolte direttamente alle Forze dell’Ordine.
Il centro antiviolenza lavora in modo differente e su base volontaria: è la donna che vi si deve rivolgere a chiedere supporto, diversamente non è possibile la presa in carico, ma basta davvero un colpo di telefono. I parenti e le amiche suggerirle di rivolgersi alla rete antiviolenza, possono accompagnarla, magari anche trascinarcela se necessario, ma poi i colloqui si svolgono esclusivamente con la diretta interessata.
13.Da avvocato, quanto è difficile intervenire in una famiglia in cui le convinzioni proprie della violenza psicologica sono state perpetrate anche nei figli? E quali sono le misure prese?
Gli avvocati non “entrano nelle case e nelle cose altrui” se non espressamente richiesti da una donna, che si rivolge a noi con un’esigenza legale che può essere quella di assisterla in una separazione oppure in un processo scaturito dalla sua denuncia. Noi non abbiamo alcun potere di iniziativa né – e qui fatemi aggiungere “purtroppo” – è prevista la nomina del legale d’ufficio della vittima, che invece la legge garantisce all’accusato sin dall’esordio dell’indagine a suo carico. Fortunatamente ora i centri antiviolenza, gli ospedali che li ospitano e in genere tutto l’associazionismo femminile si sta munendo di avvocati di fiducia, a cui inviare la signora quando inizia il suo percorso. Ecco, bisogna ammettere che ho incontrato donne riottose, che dopo un primo momento in cui hanno denunciato, cercano di fare marcia indietro, vuoi perché convinte che lui possa ancora cambiare, vuoi perché iniziano i problemi economici, vuoi perché la famiglia del maltrattante le vessa e le ostracizza.
Il mio metodo è molto semplice, in questi casi: spiego loro con tono fermo se la vicenda di cui sono vittime integra un delitto procedibile d’ufficio (i maltrattamenti lo sono) o se la querela sporta è irrevocabile (come nella violenza sessuale) da cui discende l’inevitabilità del processo, aggiungo che in tali casi non è possibile ritirare la denuncia ed anzi questo potrebbe creare sospetto nella magistratura proprio nei confronti della donna. Concludo garantendole che in ogni fase che la aspetta le saremo accanto, sia come supporto psicologico (di cui si incarica il c.a.v.) sia e soprattutto in aula col Giudice.
14.Le molestie sessuali sul lavoro, quando è possibile rivolgersi alle autorità? Esiste un modo per tutelare la donna precludendo eventuali ripercussioni da parte dei colleghi?
Grazie per questa domanda che mi dà l’occasione per segnalare che ho scritto un articolo per Ewwa proprio su questo argomento (http://ewwa.org/molestie-sessuali-al-lavoro-come-ribellarsi/), a cui rinvio perché sul punto ci sono davvero tantissime cose da dire. La materia è estremamente delicata, perché si colloca sulla linea di confine concettuale tra illecito civile e delitto, tra semplice diritto al risarcimento del danno (ed alla rimozione della situazione molestante) e possibilità di denuncia e processo penale. Mi permetto di rinviarvi a quell’articolo, dove ho avuto più spazio per illustrare, almeno per sommi capi, questa odiosa e ricorrente fattispecie. Magari ne riparleremo più avanti.
Ora voglio rispondere alla provocazione del titolo: certo che ho voglia di festeggiare l’8 marzo! Vedete, per chi come me si batte ogni giorno nelle questure, nei commissariati, al pronto soccorso e poi, soprattutto, nelle aule giudiziarie perché la violenza domestica e, più in genere, la prevaricazione maschile sulle donne cessi di essere un problema di quella signora e si ammetta che è questione che ci coinvolge tutti – ogni occasione per parlarne è un passo avanti, è un mattoncino ulteriore per costruire una maggiore consapevolezza. La chance che mi avete offerto con questa intervista è una splendida opportunità per spartire con voi alcune delle informazioni di cui dispongo e che dovrebbero essere alla portata di tutte noi, perché nessuna – giovane o anziana, single o sposata, operaia o dirigente d’azienda – debba avere più paura.
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L’avvocato Alessia Sorgato parteciperà al seminario organizzato da EWWA:
Giù le mani dalle donne – Eroine protagoniste e non vittime
Come la legge entra nei nostri libri
Sabato 2 aprile 2016 dalle 10.00 alle 17.00
Frida, via Pollaiuolo 3 – Milano
(zona Isola, Stazione Garibaldi)
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Dalle 10:00 alle 13:00
La figura femminile tra finzione e realtà. Competenze e risorse per la vita e la scrittura. Spazio dedicato alle domande personalizzate. Intervengono:
Alessia Sorgato: avvocato penalista, consulente di Soccorso Rosa, autrice del libro Giù le mani dalle donne (Mondadori Electa).
Nadia Muscialini, psicoanalista, autrice di Di pari passo (Settenove).
Monica Cavassa, vice procuratore onorario Tribunale di Milano.
Giuseppe Caiazza e Francesca Bersanetti del Commissariato Bonola di Milano.
Valeria Bombino, assistente sociale del Comune di Pieve Emanuele.
Ore 13:00 Pranzo Libero.
Dalle 14.30 alle 17:00
La giustizia in Italia come funziona, differenze e similitudini con la finzione cinematografica – Simulazione di un processo penale con un caso reale, interpretato dalle partecipanti e diretto dall’avvocato Alessia Sorgato.
Chi avesse domande specifiche da rivolgere ai relatori è pregato di inviarle all’indirizzo ewwa.milanoeventi@gmail.com entro il 20 marzo indicando nell’oggetto: domande WS 2 aprile.
Prenotazione obbligatoria su ewwa.milanoeventi@gmail.com.
Mattinata gratuita per tutti i partecipanti. Pomeriggio a pagamento per i non tesserati EWWA (15 euro da pagare in loco).
Durante l’incontro sarà possibile iscriversi a EWWA.
Un articolo che ho letto con rabbia, nessuna tristezza, solo rabbia. Perché siamo nel 2016 e ancora la donna è vittima, anche nei Paesi più sviluppati, di soprusi di ogni genere, dalle mura domestiche sino ai luoghi di lavoro. A chi non è capitato almeno una volta? Bastano anche casi “leggeri”, ma che ti fanno sentire indifesa. Tanta solidarietà, quindi, questo è per me l’8 marzo. E alzare la testa dicendo BASTA, avere il coraggio di mettere le mani avanti, urlare NO, perché un “no” forse non farà la differenza, ma se i “no” diventano cento, mille, centomila, l’urlo riecheggerà sino alle orecchie di chi si ostina a non voler sentire. Simo@
Donna competente e combattiva. Complimenti signora Alessia Borgato. La rete tra i servizi è l’unica cosa che può arginare in modo completo il fenomeno che spesso sfugge proprio dalle maglie deboli. Interventi di primo e secondo livello dovrebbero cooperare. Spesso non accade.
Grazie Alessia, anche per l’articolo Ewwa, perché fornisci sempre non solo spunti di riflessione, ma armi valide, considerando donne e uomini al pari, ma due generi distinti. E sono contenta che qualcuno, come me, pensi sia importante festeggiare.
Intervista lucida, coraggiosa e con un raggio di speranza dietro i nuvoloni. Grazie!
Brava Alessia, porti avanti una battaglia purtroppo sempre attuale.
A mia figlia ho insegnato ad avere coraggio e a farsi una posizione economica che la rendesse libera di ribellarsi del suo uomo se se ne presentasse la necessità