Virginia Parisi ci presenta, oggi, il suo romanzo “Al Centro del Dipinto”, pubblicato nel 2009 con le Edizioni Domino (Collana Le Carte Veline) e nuovamente in self quest’anno (solo in e-book).

Una sera d’estate riapro un vecchio file, una cinquantina di pagine mai finite di una storia che non so nemmeno se è una storia. Il canovaccio è pronto. Da qualche parte. So che non dovrò fare ricerche storiche stavolta, che la voce dei personaggi se n’è rimasta in silenzio per parecchio tempo in attesa, e che la loro storia può evolversi nel giro di qualche pagina.

Un romanzo breve. Un romanzo che potrebbe essere un piacevole intermezzo fra una storia più corposa e l’altra. Una sosta nel mio lavoro creativo e allo stesso tempo una pausa piacevole per me stessa come lettrice. Un libro da borsetta. Un libro da spiaggia, da aprire per rilassarsi, da scrivere per rilassarsi. Un libro da compagnia. Una storia che sia in grado di divertire, esattamente come una commedia al cinema, che inizia e si conclude nel giro di due ore.

Senza rinunciare a una sintassi adeguata seppur fluida, alle introspezioni psicologiche, alle digressioni che forniscono una sosta nel dipanarsi della vicenda, alle descrizioni degli ambienti e del contesto. Il gusto per la narrazione non può fare a meno di questi elementi e sebbene il dono della sintesi non sia esattamente nelle mie corde è incredibilmente un duro lavoro di disciplina.

Necessito comunque di ricerche per l’ambientazione, per avere ben chiari usi e costumi del luogo, modi di dire e norme di comportamento. Per questo mi affido e ringrazio mio marito per le tradizioni culinarie della Cornovaglia, per alcuni aneddoti sul kilt, Monica Lombardi per l’uso corretto di alcuni vocaboli inglesi, la traduzione dei testi meno noti delle canzoni che aprono i capitoli, Solange Mela per le descrizioni precise sullo stile edoardiano.

I personaggi ci sono, sono già pronti dietro le quinte, con i loro volti, la loro parte da recitare. Si stiracchiano pigramente, mentre io mi ritrovo tra le mani una frase di Eliot che è come un occhio di bue puntato sul palcoscenico. Ed è sintomatico come questa frase sia diventata il fulcro centrale della vicenda, prima ancora che ne avessi coscienza.

Così compaiono i protagonisti principali.

Elisabeth – che ad un certo punto fa Lombardi di cognome – donna in carriera, cocciuta, incline alla menzogna seppure per necessità, poco avvezza ai compromessi ma pronta a venire a patti perfino con il suo peggior nemico pur di vincere una sfida che può determinare il suo futuro come giornalista.

Bartolomeo Sarca, che è stato ispirato da un personaggio che ho avuto la fortuna di conoscere anni addietro, con il suo passato straordinario di uomo e di artista, i suoi errori e le sue scelte e la sua solitudine.

Lawrence Bristol, nipote di Bartolomeo, affascinante, arguto, caparbio, poco incline alle romanticherie, incredibilmente raffinato, seccante quanto basta e davvero indimenticabile.

E la famiglia Tatcher con la sua gentilezza, la sua ospitalità, il calore e l’affetto incondizionato verso una perfetta sconosciuta. Mi sono ritrovata spesso nella cucina di Pandora Palace a sorseggiare un tè mentre li ascoltavo cianciare.

E poi il cerchio di pietre, con i suoi monoliti che si affacciano sul mare della Cornovaglia, le antiche leggende di vichinghi e amori immortali che rimangono sospesi nel tempo, alla ricerca forse di una seconda possibilità.

Al centro del dipinto è una commedia dal sapore antico, fatta di sentimenti autentici, di personaggi che credono ancora nel valore delle tradizioni, nelle più elementari norme di educazione, nel piacere di raccontare vecchie leggende davanti ad un camino acceso, di incontrarsi a metà strada fra un malinteso e una bugia e avere lo stesso il desiderio di chiarirsi e di ricercare oltre alla verità anche il senso più ampio del perdono e dell’ammissione dei propri errori.

Elisabeth e Lawrence sono forse destinati ad incontrarsi, a camminare insieme davanti ad un cerchio di pietre che è simbolo di onniscienza ma anche testimonianza di un legame indissolubile.

Elisabeth Lombardi è una donna concreta, indipendente. Ha lavorato anni, per conquistarsi il posto di redattrice della rivista inglese Theme che ora rappresenta un punto saldo nella sua vita. È corretta, capace. E non è una bugiarda.
Eppure si ritrova a mentire, a nascondere la sua identità e a mettere a repentaglio tutto ciò per cui ha così duramente lottato, pur di realizzare una spinosa e complicata intervista e guadagnarsi una promozione. Ed è così che cominciano i guai.
Guai che si trasformano in equivoci quando conosce il vecchio pittore Bartolomeo Sarca, che sembra vedere in lei qualità che non sospettava di avere.
Guai che diventano calamità naturali imbattendosi nel tono indisponente e inquisitore del suo arrogante e affascinante nipote, Lawrence Bristol.
E allora la terra di Cornovaglia, con i suoi paesaggi aspri e isolati, le scogliere a picco su un mare perennemente in tempesta, che dà e toglie con la stessa crudele e temeraria determinazione, produce la sua magia.
Le vecchie leggende di casa Thatcher, le storie di fantasmi che narrano la potenza di un amore immortale che ancora sopravvive dopo millenaria attesa, fanno il resto.
E in maniera imprevista, la stessa percezione che ha di se stessa cambia radicalmente, attraverso la mistica sacralità di un cerchio di pietre, il suo insegnamento di equilibrio e onniscienza che racchiude il senso del tempo, dell’infinito, dell’energia della terra, della memoria di popoli scomparsi e mai dimenticati.
Dalla sofisticata, business-oriented Londra alla selvaggia punta estrema della Cornovaglia, Izzie affronta un viaggio che parte come una sfida, e si trasforma in una scommessa.
Su se stessa. Sul suo futuro. Sulla sua vita. 

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