Un pugno di mosche

«Comandante. Vi abbiamo portato della compagnia raffinata» sghignazzò Anzio, il grosso pomo d’adamo che saliva e scendeva lungo il collo tarchiato e tozzo. «L’abbiamo trovata in un granaio, da sola, vestita da nobildonna, tremante e in lacrime. Sostiene di essere figlia di non so che marchese, in viaggio per raggiungere il suo promesso sposo. Dice che un fulmine ha colpito la carrozza sulla quale viaggiava, uccidendo sul colpo i suoi tre fratelli e il cocchiere.»
«Non ci sono stati temporali, né fulmini, nelle ultime tre settimane» commentò Bain senza alzare gli occhi dalla cartina che segnava con precisione i confini che i suoi uomini e lui dovevano pattugliare e difendere. Le linee che tracciavano i sentieri, le strade, le colline e le foreste si spargevano sulla carta come il sangue che era stato versato per definire la frontiera con Alderan, il regno nemico. «Quella donna vi ha mentito.»
«Adesso viene il bello: lei sostiene che sia successo più di un anno fa» aggiunse Anzio, mentre un sorriso sgraziato gli si disegnava sul volto arrostito dal sole e sfigurato dalle cicatrici. Halm, la recluta che era entrata con lui nella tenda, sospirò come a sottolineare l’assurdità della situazione.
«E cosa sarebbe successo in quest’anno di così eccezionale da tenerla lontana dal suo promesso sposo, sentiamo.» Bain restò chinato sul tavolo con entrambe le mani allargate a sostenerlo e sollevò la testa in direzione del suo ufficiale.
«È stata al servizio dei proprietari della cascina che abbiamo appena depredato.»
«Vestita da nobildonna?» Bain non nascose la propria perplessità e abbandonò lo studio della cartina. Il piano per i nuovi turni di pattuglia avrebbe dovuto aspettare.
«No. Lei dice di aver solo aiutato quella brava gente nelle faccende domestiche. Quando è stato chiaro che stavamo arrivando, si sono tanto spaventati, poverini, e sono scappati. Lei stava riposando e non se n’è accorta. Si è risvegliata, non ha trovato nessuno, ha capito che era l’ora di andarsene, si è rimessa il suo vecchio abito – per non portare via qualcosa che non le appartenesse, dice lei – e si è nascosta nel granaio, nella speranza che, non trovando nessuno, ce ne saremmo andati.»
«Questa storia fa acqua da tutte le parti.»
«Mio signore, se posso permettermi un giudizio: la ragazza non è tanto… come dire… a posto…» si intromise Halm. «Le sono capitate disgrazie a non finire e non sembra rendersene conto. Gli abitanti di quel casolare erano predoni: violenti e crudeli. Non era un’ospite, bensì una prigioniera, una schiava. Un oggetto inutile, che è stato drogato e abbandonato appena hanno dovuto lasciare il loro nascondiglio. I vostri sospetti erano fondati: abbiamo trovato le prove che contrabbandassero merci e forse anche persone attraverso il confine.»
«Portatemi qui la donna.»
I due soldati si congedarono e Bain si versò un bicchiere d’acqua. Avevano cercato quei contrabbandieri in lungo e in largo. Finalmente ne avevano identificato il nascondiglio, ma quei criminali sembravano essere sempre un passo avanti a lui. Quando erano arrivati quella mattina, la cascina era deserta, se non per un gatto troppo grasso e un paio di galline. La definizione esatta di un pugno di mosche. Nel suo rapporto alla capitale avrebbe dovuto esibire tutta la sua creatività e il suo eloquio, se non voleva ritrovarsi nel mirino di un’ispezione. Il dubbio di avere una talpa tra i suoi lo stava tormentando da tempo, e l’esperienza di quel giorno gliene aveva fornito una conferma. Ora si trattava di identificare il traditore e di fargli pagare l’affronto in maniera esemplare, una punizione all’altezza della sua nomea. Nessuno doveva permettersi di pensare di poterlo ingannare e di farla franca. Si passò una mano sulla fronte sudata. Il sole di agosto bruciava la terra senza pietà e l’aria era stagnante come in un deserto di sale.
Halm tornò accompagnato da una dama. L’abito bianco con la gonna a balze scendeva casto fino a coprire i piedi. La testa era coperta da un cappellino di seta e cotone che la identificava come nobildonna. Il portamento regale, la compostezza dei modi, lo sguardo basso e le labbra serrate erano altri segnali di un’educazione raffinata. Ma lo sguardo di Bain non si fermò alle apparenze. La pelle liscia era abbronzata, segno che aveva passato molto tempo all’aria aperta. Le curve perfette del seno non riempivano del tutto l’abito e insieme alla clavicola leggermente sporgente e alla vita sottile raccontavano di duro lavoro e poco cibo. Il bianco candido dell’abito era ingiallito dalla polvere e dal tempo e le falde della gonna erano sporche di fango. Bain congedò Halm e la osservò in silenzio per un po’, girandole intorno come farebbe un felino con una preda ferita e bloccata a terra.
Come a provare la sua perfetta e rigida istruzione, la donna non sollevò mai lo sguardo e non parlò. Attese paziente, in silenzio, di essere interpellata.
«Lasciatevi guardare, mia signora,» iniziò Bain tra il beffardo e il divertito. Non gli succedeva spesso di avere una donna beneducata e pudica nella sua tenda. La ragazza sollevò su di lui grandi occhi verdi spalancati su un viso magro dall’ovale perfetto. Con il naso sottile e piccolo, le labbra carnose e un’espressione lievemente corrucciata a tradire la sua paura, la fanciulla incarnava alla perfezione l’ideale di donna a Valian, il paese che aveva giurato di servire e che era costantemente minacciato dagli Alderani.
«Mi hanno riferito di avervi trovata, sola, in un granaio. Siete ferita?» le chiese cercando di ammorbidire la sua voce abituata a impartire ordini. «Non dovete temere per la vostra incolumità» le assicurò.
«No, non sono ferita.» La voce cristallina e melodiosa della ragazza lo ripagò dell’attesa. Non c’erano asperità nel suo modo di parlare, solo la dolcezza e morbidezza che evocavano i territori collinari dell’est del paese. «I miei ospiti mi hanno sempre trattata con riguardo.»
«Mi sembrate deperita. Vi hanno nutrito?»
«Si sono sempre assicurati che stessi bene, ma non volevano che mi appesantissi, con il rischio poi di non piacere al mio futuro sposo.»
«Chi è il vostro promesso?»
«Il conte Diogu, di Tirnin.»
Bain non poté nascondere la propria sorpresa. «E come mai non vi hanno condotta da lui?»
«Avevano bisogno di aiuto con le faccende. Mi avevano salvata e mi sembrava giusto ripagarli della loro generosità.»
«In altre parole, vi tenevano prigioniera.»
«In fondo erano persone buone, solo non sapevano come mandare avanti una casa senza una donna.»
«Vi hanno toccata?» la domanda gli sfuggì dalle labbra prima che potesse inghiottirla. Cosa gli importasse di quella donna mezza matta proprio non lo sapeva.
«No!» si affrettò a esclamare la ragazza. «Sapevano che ero promessa al conte. Ve l’ho detto, erano brave persone, in fondo.»
«Molto in fondo. Oppure temevano le ripercussioni che l’ostilità del conte può significare. Cosa sapete del vostro promesso?»
«Nulla» ammise la donna. «Mio padre è morto e i miei fratelli hanno deciso di darmi in moglie, per proteggermi e non lasciarmi tutta sola. Sono sicura che sia un uomo buono. Solo… è passato un anno. Probabilmente avrà trovato un’altra moglie a quest’ora.»
Un uomo buono. Questa donna era veramente fuori di testa. I suoi fratelli volevano solo levarsela di torno e dividere l’eredità per tre invece che per quattro e avevano scelto per lei il peggior partito del regno. Dovevano proprio odiarla. Il conte Diogu era noto per la sua malvagità e per la crudeltà nei confronti di tutti i suoi sottoposti, mogli in primis.
«Se siete fortunata, non dovrete mai saggiare la bontà del conte. Sapete cucinare?» La ragazza annuì, gli occhi di nuovo fissi sul pavimento della tenda. «Resterete all’accampamento e ci servirete. Ho bisogno  di qualcuno che sappia cucinare qualcosa di meglio della sbobba che prepara John giornalmente. E che mi pulisca la tenda di tanto in tanto. Non abbiamo abbastanza donne con noi. Halm!»  chiamò alzando la voce. «Porta la nostra ospite da John, che lo aiuti in cucina. Datele un abbigliamento adeguato e una tenda vicino alla mia. La voglio tenere d’occhio.»
«Sissignore. Subito, signore.»
Halm prese la ragazza per un braccio e la condusse fuori dalla tenda. Solo allora Bain si rese conto di non averle nemmeno chiesto il suo nome.

Dalla padella nella brace

Isabel rabbrividì. Era cascata dalla padella nella brace. Era riuscita a sopravvivere a un attacco dell’esercito alla cascina solo per finire direttamente nella tenda del comandante delle truppe di frontiera, il temibile Bain di Arland. La sua fama lo precedeva, tanto che veniva chiamato il cavaliere nero. Tutti conoscevano le sue gesta, la sua rapida scalata al potere, da semplice soldato a comandante della più efficiente truppa del regno. Con un manipolo di uomini ben addestrati era in grado di fare qualunque cosa: dal cambiare le sorti di un assedio durato mesi allo sgominare bande di contrabbandieri nascoste nelle zone montuose lungo il confine occidentale. Era noto per la fedeltà al governo della capitale, la mano ferma con cui amministrava la giustizia nei territori di frontiera, la precisione delle sue frecce e la rapidità della sua spada.
L’accampamento si estendeva a vista d’occhio nella radura che conduceva alla foresta del Limes, il largo fiume navigabile che segnava il confine geografico del regno ed era attraversato da un unico ponte, guardato a vista su entrambe le sponde dai rispettivi eserciti. Le ampie tende color sabbia erano allineate con precisione formando una griglia perfetta di corridoi larghi a sufficienza per far passare due uomini a cavallo. Il soldato di nome Halm era stato molto premuroso con lei, l’aveva guidata fino alla tenda del cuoco, John, e le aveva raccontato della vita all’accampamento, schermandola dai fischi dei soldati e dalle loro risa sguaiate. Prima, le aveva indicato i bagni, la tenda del medico e quella del fabbro e l’aveva accompagnata dal sarto. Avevano solo abiti da uomo ma le avrebbe cucito un vestito nei ritagli di tempo, le aveva promesso. Abbigliata come un uomo, con dei pantaloni troppo lunghi arrotolati attorno alle caviglie e una camicia larga di cotone bianco, proseguì con Halm fino alla cucina del campo. John era un omone con le braccia e le spalle larghe, i capelli biondi come la paglia e gli occhi chiari come il ghiaccio. Fu entusiasta di averla con sé e le confessò di non avere idea di come cucinare. Era un fabbro, lui, non un cuoco. Ma il loro ultimo cuoco era stato ucciso in un’imboscata e Bain gli aveva dato l’incarico di cucinare. Non riusciva a preparare un pasto decente, ma gli uomini gli volevano bene.
Isabel si rimboccò subito le maniche e lo aiutò a destreggiarsi nei preparativi per la cena. C’erano cinquanta uomini all’accampamento, gli altri erano sparsi in missioni varie per conto di Bain. Con l’aiuto di Halm, di John e di un paio di giovani reclute preparò uno stufato di patate, carote e carne che venne letteralmente divorato dai soldati. Non incontrò Bain, ma John le assicurò di averlo visto accennare un sorriso per la prima volta in un mese. Bastarono due giorni in cucina per renderla la beniamina delle truppe. Nessuno la prendeva più in giro e nessuno provava a toccarla. Per tutti era diventata l’angelo che preparava i loro pasti e si assicurava che non morissero di fame. A riprova di quanto fossero esasperati dalla cucina di John, mangiarono persino un’insalata mista che propose loro per cena in una serata molto calda e afosa.
«Posso farti una domanda?» si azzardò a chiedere una sera a John davanti al fuoco. Il gigante del nord la incoraggiò con un sorriso e lei si lanciò. «Come mai sei qui sul confine?»
John non si fece pregare e le raccontò della sua vita fino ad allora, di come fosse cresciuto nella fucina di un fabbro, di come si fosse arruolato poco più che ragazzo e come avesse incontrato Bain tre anni prima, agli inizi della sua carriera militare.
«Quell’uomo ha carisma da vendere» le assicurò con un tono reverenziale misto a stupore. «E non ha paura di nulla. È il primo a lanciarsi in battaglia, dalla prima linea. Gli uomini lo sanno e lo rispettano. Sa parlare con loro e come loro e, allo stesso tempo, è in grado di parlare con i politici della capitale.»
«Come si può non aver paura di nulla?» sussurrò Isabel.
«Basta non aver niente da perdere» rispose il fabbro con un’alzata di spalle. «Bain non ha nessuno. È questo che lo rende invincibile. Non so cosa sia successo per renderlo così. È apparso dal nulla tre anni fa e questo mi basta.»
«Non si sa niente del suo passato?»
«Non saprei.» Fece una pausa per bere un po’ di birra dal suo boccale e poi aggiunse: «Non farti ingannare, ragazza. Bain è una combinazione micidiale di arti belliche, organizzazione maniacale e disperazione. È una macchina da guerra che vive alla giornata. Non cerca mai nemmeno la compagnia di una donna. Non ha nulla di tangibile a cui aggrapparsi, è per questo che è così temuto. Prega di non trovarti mai dalla parte dei suoi nemici, o ti spazzerà via senza pensarci su due volte. E non sarà piacevole.»
E così Isabel fece. Cercò di tenersi il più possibile alla larga dal misterioso comandante. Lo osservava da lontano e lo studiava. Su suo ordine tutti la trattavano come un’ospite, ma era una prigioniera, ne era certa. Non le avrebbero permesso di andarsene dal campo.
Bain conduceva una vita dura, dalla disciplina esemplare. Era tra i primi ad alzarsi la mattina e tra gli ultimi ad andare a letto la sera, si allenava duramente con Anzio e altri soldati e poi si ritirava nella sua tenda a pianificare attacchi, analizzare missive, scrivere relazioni al governo centrale e amministrare la vita all’accampamento. Controllava personalmente gli allenamenti dei soldati senza fare distinzione tra ufficiali e reclute: premiava i migliori e incitava i peggiori a riprovare, a rialzarsi e a non perdersi d’animo. La sua fama era quella di un uomo crudele e senza cuore, ma con i suoi soldati era tutt’altro. Sapeva tutto di loro, dei loro interessi, delle loro debolezze. Era severissimo, ma comprensivo. Le era bastata una settimana con loro per capire perché lo seguissero con tale fiducia.
Dopo qualche giorno passato a studiarne le abitudini, prese coraggio e andò a rassettargli la tenda. Era ciò che le aveva chiesto, dopotutto. Il soldato di guardia era Halm, che entrò con lei e le tenne compagnia mentre puliva il tavolo e spazzava il pavimento. Il rumore di zoccoli di cavallo li avvertì che qualcuno stava arrivando. Halm le fece segno di restare al sicuro nella tenda e uscì a controllare. L’unica cosa che le mancava nella lista di cose da fare era rifare il letto e Isabel si affrettò nella speranza di poter tornare alla sua tenda prima del ritorno del comandante.
La punta fredda di una spada le sfiorò il collo e una voce bassa e tagliente le ordinò: «Mani in alto, ragazzo. Voltati lentamente e mostrami il tuo volto prima che ti trafigga.»

Sussulti e crudeltà gratuita

Il ragazzo sussultò. Sollevò le braccia in aria, in preda al panico, e si voltò molto lentamente, tremando di paura.
«Mio signore» disse con un fil di voce. «Stavo solo pulendovi la tenda.»
Bain scoppiò a ridere fragorosamente. Da quando era diventato così cieco da non distinguere una donna da un sicario?
«I capelli raccolti e gli abiti da uomo non vi donano, mia signora.» E così dicendo rinfoderò la spada, smise di badare a lei e iniziò a spogliarsi. Era stato tutto il giorno di pattuglia, sotto un sole impietoso e non vedeva l’ora di farsi una doccia ristoratrice.
La sentì sussultare nuovamente e non riuscì a trattenersi. Per una settimana si era ritrovato a guardarla da lontano, come un innamorato. L’aveva vista stringere amicizia con i suoi uomini e aveva assistito con piacere e sollievo al cambiamento radicale del menù. Si fidava di John e credeva che non lo avrebbe tradito facilmente. Per questo lo aveva messo in cucina. Non voleva che qualcuno gli avvelenasse la truppa. Ma il rancio servito da John era senza dubbio il peggiore che avesse mai mangiato. Era la cosa più vicina a un veleno tra tutto ciò che si poteva definire commestibile. I suoi uomini erano pronti alla rivolta, quando era arrivata quella ragazza dall’aria serena e gentile.
Era ora di studiarla da vicino. I lunghi capelli corvini erano costretti in una pettinatura severa e le belle forme erano nascoste dagli abiti di foggia maschile che indossava. Più tardi avrebbe scambiato due paroline con Hank, il sarto. La pelle luminosa del volto era colorata dall’imbarazzo.
«Non mi vorrai dire di non aver mai visto un uomo nudo?» la punzecchiò.
«Non è qualcosa che faccio di solito» ammise la ragazza fissando con ostinazione un punto imprecisato su un lato della tenda.
«Hmmm,» commentò divertito Bain. «Come ti chiami?»
«Isabel.» Il classico nome da figlia del marchese.
«Isabel» ripetè. «Guardami.»
La ragazza ubbidì. Gli occhi verdi spalancati per la paura e l’eccitazione di fare qualcosa che riteneva impudico e vietato si fissarono sul tatuaggio che gli ricopriva la spalla e parte del braccio sinistro. La vide rilassarsi quando si accorse che non era completamente nudo, solo senza casacca. Le sfiorò il viso con una mano e così facendo la spaventò. Isabel fece un passo indietro, cercando sicurezza nella distanza, inciampò in maniera goffa e cadde sul letto di schiena. Bain colse la palla al balzo, si mise a cavalcioni su di lei e le immobilizzò le braccia sopra la testa.
«Mio signore» ansimò lei: «Vi prego lasciatemi andare. Cosa penseranno i vostri uomini?»
«I miei uomini ti hanno risparmiato la vita perché speravano di portarmi un passatempo interessante,» rispose lui, crudele. «Anzio ci è rimasto male quando ti ho mandato in cucina da John. Per poi ricredersi dopo un paio di ore. Con quello stufato ti sei conquistata i cuori dei miei uomini.»
«Non sono un passatempo. Lasciatemi andare.»
Ridendo Bain si alzò dal letto e l’aiutò a rimettersi in piedi.
«Parliamo di questa tua attitudine ad arrossire.»
«Non è un’attitudine. Arrossireste anche voi se foste adirato. Lasciatemi andare, lo ripeto» ribatté lei con forza. Bain si stava divertendo. I costumi di Valian erano severamente restrittivi in quanto a libertà delle donne. Venivano cresciute con il solo scopo di servire il proprio marito, di renderlo felice e di garantire una discendenza al popolo valoroso di cui facevano parte. Dovevano ambire alla perfezione di un’indole pacifica e votata alla serenità familiare e rappresentare un esempio positivo per le altre donne. Non era loro concesso mostrarsi nervose o seccate, men che mai adirate. La nobildonna imbronciata che aveva di fronte era tutto fuorché una bella statuina, si disse. Doveva essere l’unica donna di Valian ad essere capace di arrabbiarsi con un uomo.
«Mia signora, in queste condizioni non posso proprio farvi uscire. Cosa penserebbero di voi i miei uomini?»
«I vostri uomini vi conoscono. Mi capiranno.» Touché. Bain esplose di nuovo in una risata. Da quanto non succedeva? Questa fanciulla lo aveva proprio messo di buon umore.
«Sarei curioso di vedere il colore del vostro volto se decidessi di levarmi anche i pantaloni.»
«Non osereste.»
«Sono un soldato. Vuoi mettermi alla prova?» Lo sdegno che le faceva brillare gli occhi quando le dava del tu lo spingeva ad alternare il voi e il tu, così da prolungare quella schermaglia di sguardi e di sentimenti offesi. Lei, invece, non sbagliava mai e non usciva dal personaggio della dama oltraggiata.
«Smettetela di schernirmi.»
«Stai avvampando anche adesso. Solo al pensiero.»
«Mi hanno cresciuta così. Non arrossivo quando vedevo i miei fratelli.»
«Prima di incolpare la società delle proprie reazioni, bisognerebbe considerare che non è la stessa cosa guardare il proprio fratello o un altro uomo.»
Isabel non rispose e non lo guardò. Bain si avvicinò di un passo: «Ti ho sentita tremare quando ti ho tenuta sotto di me, poco fa.»
«Era sdegno.»
«Era emozione.»
«Non siete capace di leggere le donne.»
«Eccitazione. Attrazione.»
«Chimica» sbuffò lei guardandolo beffarda negli occhi. «Niente di più.»
«Hmmm.» L’aveva nuovamente spinta verso il letto. «Suggerisco di esplorare questa situazione e scoprire se sia davvero solo chimica o se ci sia qualcosa di più dietro. Dimmi, hai mai spogliato un uomo?»
Isabel scosse la testa in segno di diniego: «Lo sapete anche voi. Ogni rapporto prima del matrimonio è vietato per legge.»
«Alcune donne aggirano questo divieto.»
«Alcune donne sono costrette ad aggirare questo divieto, volete dire. Se non ci fosse, sarebbe meglio per tutti.»
«Sei contraria a questa legge? È fatta per proteggere la tua virtù, o così mi è stato detto.»
«Intendete difendere la mia virtù?» chiese con un tono che avrebbe voluto essere sprezzante. Anche quando era arrabbiata la sua voce restava melodiosa e dolce.
«Intendo fare di meglio. Intendo dimostrarti che hai ragione nel credere che la virtù non sia qualcosa da preservare. Sarà una lezione che ti piacerà, credimi. Allora, cosa ne dici?»
«Sono vergine, non cretina.»
Bain esplose in una risata sonora, la fece cadere sul letto e le bloccò nuovamente le mani sopra la testa.
«Forse la tua virtù deve effettivamente essere protetta, cara la mia fanciulla dalla lingua tagliente.» Le si avvicinò al viso, la bocca a pochi centimetri dall’orecchio e le sussurrò: «Sarebbe un peccato privare vostro marito del piacere di vedervi sussultare al primo bacio, alle prime carezze, vedere la sorpresa nei vostri occhi quando vi insegnerà a conoscere le reazioni fi un tocco sapiente… » La vide serrare gli occhi e contorcersi sotto di sé. E poi affondò: «Ah, dimenticavo. Siete promessa al conte Diogu. Be’, vuol dire che non imparerete nulla di tutto ciò. A quanto dicono, preferisce la frusta con le proprie mogli.»
Isabel sbarrò gli occhi e cercò di divincolarsi. «Siete crudele e meschino. Lasciatemi andare.»
Bain la fissò per un momento prima di lasciarla scappare fuori dalla sua tenda.
I suoi sospetti erano fondati. La ragazza sapeva perfettamente a cosa andava incontro. Ed era tutto fuorché una bella statuina.

Sorpresa

Le ci volle tutto il suo autocontrollo per non mostrarsi terrorizzata quando lasciò la tenda di Bain. Camminò con calma, cercando di regolarizzare il proprio respiro e si diresse verso il bagno. Una doccia calda l’avrebbe aiutata a recuperare il suo contegno.
Quando al suo arrivo si era stupita per la presenza di acqua corrente, Halm aveva riso.
«Siamo soldati, non barbari!» aveva esclamato. «Questo è il nostro quartiere generale. È quasi una città.»
E così era. Una città-accampamento, a immagine e somiglianza del suo comandante: un uomo che non usciva mai dal ruolo di soldato.
Quella sera sul tardi, Isabel andò a bere una birra davanti al fuoco con John e gli addetti alla cucina, vicino al limite ovest dell’accampamento. Bain li raggiunse e, tra gli sguardi compiaciuti dei soldati, la invitò a seguirlo per una passeggiata.
Bain camminò con lei fino al limitare della foresta, dove tenevano i cavalli di riserva. Non c’erano guardie a proteggerli quella sera e Isabel si stupì.
«Dobbiamo parlare di quanto è successo oggi» le disse, invitandola a entrare in una tenda. Era vuota, ad eccezione di due sedie spaiate, un tavolo di legno che aveva visto tempi migliori, una brocca d’acqua e due spade abbandonate su di esso.
Isabel sospirò rassegnata, abbassò lo sguardo e attaccò con la tiritera che sapeva di essere tenuta a ripetere come una brava scolaretta. Ci aveva riflettuto tutto il giorno e sapeva di non avere scampo, tanto valeva togliersi il pensiero senza ulteriori indugi: «Mio signore, vi domando perdono per il mio comportamento fuori luogo. Non era mia intenzione offendervi. Vi prometto che terrò il mio carattere a bada la prossima volta. Se il mio signore desidera usarmi come un passatempo, il mio signore è liberissimo di farlo.»
Una mano grande, calda e asciutta le si posò sulla spalla e la strinse con dolcezza: «Non voglio nemmeno pensare a quanto sforzo ti sia costato ora chiedermi scusa per un mio errore.»
Isabel non riuscì a dominarsi e gli occhi le schizzarono in alto a fissare quell’uomo che aveva appena infranto tutte le consuetudini di Valian con una sola frase.
«Hai ragione. Sono stato crudele e meschino. Non è mia abitudine ferire le donne come ho fatto con te oggi.»
Isabel era senza parole e lo fissava incapace di reagire.
«Quell’uomo che tu consideri il tuo promesso, il conte Diogu» proseguì Bain imperterrito, «è un essere viscido e malvagio. Devi credermi quando ti dico che devi fare di tutto per non finire nelle sue grinfie. Ma ho il sospetto che tu già lo sappia» sospirò.  «So che ti hanno cresciuta insegnandoti ad accettare tutto ciò che ti veniva imposto, ma in questo caso si tratta della differenza tra la vita e la morte. Ti ho preparato una bisaccia con dell’acqua e del cibo a sufficienza per tre giorni di viaggio e ti ho sellato un cavallo. Il tuo abito bianco è piegato nella borsa accanto alla sella. Monta e scappa il più lontano possibile. Vai a nord, dove la gente è più comprensiva.»
«E le guardie?»
«Hanno bevuto un bicchiere di troppo. Si risveglieranno domani mattina con un forte mal di testa e una strigliata da parte mia. Non verranno puniti severamente e tu non dovrai preoccuparti di averli sulla coscienza» sorrise indulgente.
«Perché mi state aiutando?» chiese incredula.
«Perché sei diversa dalle altre donne. Perché ti sei curata dei miei uomini, i tuoi carcerieri, come se fossero la tua famiglia. Perché non appartieni a questo mondo e perché spero che tu riesca a trovare la felicità da qualche parte.»
Isabel lo guardò per un istante prima di annuire. Bain si voltò e fece per precederla fuori dalla tenda, quando venne colpito sulla nuca dall’elsa di una spada.
Lo risvegliò rovesciandogli addosso l’acqua contenuta nella brocca, dopo avergli legato le mani davanti a sé e averlo imbavagliato con cura con dei brandelli di tenda. Non poteva perdere un secondo di più.
Lui la guardò con gli occhi velati e un’espressione confusa.
«Non sono una donna tutta fremiti e svenimenti. Sono cresciuta in campagna, con tre fratelli grandi e so badare a me stessa. So tirare con l’arco e so maneggiare una spada. Non passerò il resto della mia vita in trappola, rinchiusa in una gabbia dorata a giocare alla donzella indifesa e sfortunata che ha bisogno di un cavaliere per farsi salvare di continuo. Lascerò questo regno, e tu sei il mio lasciapassare oltre il confine» disse, puntandogli la spada alla gola. «Forza, comandante. In piedi e in marcia!»
Lo fece montare sul cavallo e si sedette dietro di lui, afferrando le redini. Bain non si divincolò, non cercò di fuggire, né di allertare i soldati.
Isabel lanciò il cavallo al galoppo e lo fece rallentare solo dopo essersi assicurata di essere nel folto della foresta. Bain, che era stato in silenzio fino a quel momento, fece un mugugno e lei gli sciolse il bavaglio.
«Ahia, certo che le hai strette per bene queste corde! Dove vuoi andare esattamente?» le domandò senza dare l’impressione di essere preoccupato per la propria incolumità.
«Voglio oltrepassare il confine. Ho visto sulla cartina nella tua tenda che Alderan si trova al di là della foresta.»
Bain annuì. «In quella direzione» disse, indicando un sentiero sulla loro destra, la cui presenza era tradita solo dal tenue bagliore della luna.
«Come faccio a sapere che non mi stai ingannando?» chiese lei in preda alla disperazione. Aveva agito d’impulso, cogliendo un’occasione inaspettata e non aveva un piano vero e proprio. Sapeva solo che doveva attraversare il confine e sperare di passare inosservata, o di ricevere asilo.
«Isabel» iniziò lui: «Poco fa ti ho invitato a fuggire dal mio accampamento. Non voglio ingannarti, voglio che tu ti metta al sicuro. Oggi mi hanno informato che dopodomani arriverà il messo governativo in compagnia del tuo promesso sposo.»
«Grace, mi chiamo Grace. Ti ho mentito, non sono figlia di un marchese. Mio padre è stato ucciso dai sicari del conte Diogu e i miei fratelli sono stati obbligati a scegliere tra la diserzione o il servire sotto la sua egida. Sono scappati e spero che siano riusciti ad attraversare il confine. Pensavo di non poterli raggiungere e volevo solo vendicarmi del conte, o morire provando. Poi tu, stasera, mi hai dato una possibilità insperata.»
E così dicendo guidò il cavallo sulla strada che conduceva al regno confinante e alla libertà. Bain tacque per tutto il tragitto.
Era notte inoltrata quando giunsero nei pressi del fiume che marcava il confine tra i due regni. Il ponte sul Limes era davanti a loro, illuminato da due file di torce accese, e Bain le fece cenno di fermarsi.
«La frontiera è protetta dalla cittadella fortificata che vedi al di là del ponte. Non si aspettano visite perché sanno che noi blocchiamo ogni accesso alla foresta, ma non ci sarà modo di passare inosservati. Dobbiamo solo sperare che ci lascino parlare e che non ci uccidano prima. Ti do la mia parola che non cercherò di fuggire, né che ti attaccherò. Ma sarebbe meglio se tu mi slegassi le mani, in caso ci fosse da combattere.»
Grace era stupita dalla sua calma. Lo stava portando nella tana del leone, dai suoi più acerrimi nemici, e lui non faceva una piega.
«Non devi venire con me» si decise, smontando da cavallo, seguita dal soldato. «Puoi prendere il cavallo e tornare all’accampamento. Con un po’ di fortuna arriverai prima dell’alba.» Con la spada recise le corde che gli legavano le mani e lo ringraziò. Nella foga del momento, si era persino dimenticata di disarmarlo, notò con disappunto vedendo la lama che pendeva dal suo fianco.
«Altolà!» Ordinò una voce severa. «Chi siete? Deponete le armi e mostratevi.»

Un incontro inaspettato

Degli uomini erano sbucati da una bassa costruzione in legno su un lato del ponte ed esibivano armi in quantità. Uno di loro al centro del gruppo ripetè l’ordine con un tono che non ammetteva repliche.
Con grande sorpresa di Grace, Bain scoppiò a ridere e rispose: «Vedo che non sei cambiato affatto in questi tre anni, Francis. Io, invece, sono cambiato molto. Riuscirei persino a disarmarti, oggi. Vuoi provare l’ebrezza di una sconfitta per mia mano?»
La voce dell’ufficiale si tinse di toni più urgenti, la mano corse all’elsa della spada e la fronte si corrucciò: «Deponete le armi e fate un passo in avanti. Vi voglio vedere in volto.»
«Il vostro principe sarà orgoglioso di voi e del vostro zelo, immagino» osservò beffardo Bain. «Non c’è motivo di allarmarsi, signori» aggiunse rivolto ai soldati che si stavano visibilmente innervosendo a quello scambio. «Sto per deporre la spada.»
E così dicendo, sfoderò l’arma, si abbassò lentamente e la fece scivolare a terra. Dopodiché si sollevò, lanciò un sorriso sghembo a Grace e con passo rilassato e le mani alzate entrò nel cono di luce della torcia dei soldati.
Il silenzio carico di attesa degli uomini immobili e pronti all’attacco venne rotto da un subitaneo vociare sommesso, dal rumore delle armature e dal suono di esclamazioni incredule.
Nel giro di pochi istanti il viso dell’ufficiale venne attraversato da una tempesta di emozioni: confusione, incredulità, sorpresa, commozione, gioia.
«Altezza. Ci siete mancato» disse infine dopo essersi ricomposto. E si inginocchiò di fronte a Bain, seguito nell’esempio da tutti i suoi uomini.
«Alzati, amico mio, e abbracciami. Sono finalmente a casa» la voce di Bain era cambiata, era pacata, serena e aveva perso quella nota aspra che spesso la caratterizzava quando si rivolgeva ai soldati.
Francis si sollevò da terra e lo abbracciò di getto, come si abbraccia un fratello o un caro amico dopo tanto tempo, dopo averlo pianto morto e averlo ritrovato inaspettatamente. Grace non riusciva a capacitarsi della scena a cui stava assistendo. Il temutissimo cavaliere nero, crudele e impassibile, famoso per la sua inflessibilità nella difesa dei confini, abbracciava l’ufficiale preposto a difendere i confini del regno nemico.
«Francis, fai scortare la nostra ospite in una tenda con tutte le comodità possibili. Falle preparare un bagno e degli abiti adeguati» ordinò Bain con la naturalezza del comandante. «Noi due abbiamo molto da dirci.»
Francis ripetè l’ordine a un soldato di nome Dale, un ragazzo giovane, dall’aria sollevata e le guance arrossate dalla tensione che l’accompagnò nel cuore della cittadella. Sembrava che la scenetta si ripetesse identica a quella già vissuta dall’altra parte del confine.

Rivelazioni

«Chi sei veramente?» Grace non gli diede nemmeno il tempo di entrare nella sua tenda prima di aggredirlo con una raffica di domande. «Perché conosci quel soldato?»
«Sono Julian, l’erede al trono di Alderan. Tre anni fa stavo pattugliando i confini in compagnia di quello che ritenevo un amico, mio cugino Abran.»
Julian attraversò la tenda con due falcate e si sedette sul letto prima di continuare il racconto. «Invece tramava contro di me e contro la mia famiglia. Mi fece catturare da un gruppo di contrabbandieri e portare oltre il confine. Venni salvato da un soldato in licenza, un fabbro che stava tornando a casa per un paio di settimane. Mi portò con sé dalla sua famiglia, curò le mie ferite e mi diede riparo. Ero nel cuore del territorio nemico, se si fosse saputo che ero il principe di Alderan… be’, non credo di doverlo dire» sollevò le spalle. «Ma non potei ingannare il fabbro. Aveva sentito i miei carcerieri parlare di me e li aveva seguiti, fino a cogliere il momento favorevole per liberarmi. Non mi denunciò. Mi aiutò a crearmi una personalità e una vita nuova. Mi fece arruolare nel corpo dell’esercito che lavorava lungo i confini. Se non potevo tornare a casa, disse, l’avrei almeno difesa dall’esterno. E così nacque Bain, il cavaliere nero.»
«Non avresti potuto, che so, seguire un percorso fatto dai contrabbandieri e tornare a Alderan?»
«Non avevo notizie della situazione politica, non sapevo se Abran fosse riuscito nel suo intento di occupare il trono. La mia posizione sarebbe stata a rischio in entrambi i paesi, se fossi stato scoperto. No» scosse il capo, trasognato. «Mi decisi a vivere la mia vita a Valian. Feci carriera, salii uno a uno i gradi dell’esercito, fino a divenire il comandante delle truppe del confine. Fino al nostro incontro.»
«Il colpo di stato?»
«Mio padre aveva dei sospetti e aveva incaricato Francis di seguirci. Purtroppo per me non arrivò in tempo. Colse però Abran in fallo, lo arrestò e lo fece confessare, smascherando così una rete di congiurati. La mia famiglia è al sicuro, nella capitale, e tra poco riceverà notizie del mio ritorno.»
«Cosa succederà ai soldati che hai lasciato al di là del confine?» Si era quasi affezionata a un paio di loro.
«John sistemerà tutto e prenderà il comando.»
«John? Pensavo fosse un…» e si interruppe di colpo.
«Un fabbro, vuoi dire?» Le sorrise furbescamente Julian. «Sì, è un fabbro. E uno spadaccino abilissimo. È sempre stato al mio fianco e mi ha allenato personalmente. Non ero male prima di conoscerlo: ora sono quasi imbattibile. Non vedo l’ora di dimostrarlo a Francis. Ho un paio di conti in sospeso con lui.» Fece una pausa e proseguì facendosi pensieroso: «A proposito di conti in sospeso, John avrà che fare con una talpa all’accampamento. C’è qualcuno che spiffera le nostre mosse ai contrabbandieri, ma non ho idea di chi sia.»
Fu la volta di Grace di scoppiare a ridere.
«Davvero non lo sai?» chiese allegra. Julian la guardò confuso e lei disse semplicemente: «Halm.»
«Stai scherzando!» esclamò lui tra l’oltraggiato e il divertito.
«Halm» ripetè. «È un amico d’infanzia di mio fratello minore. È lui che li ha aiutati ad attraversare il confine e che mi ha aiutata a scappare dai miei aguzzini lasciando false tracce e indirizzando il tuo esercito verso la cascina dove mi tenevano prigioniera.»
Julian scosse la testa incredulo. «D’accordo, Grace. Da domani iniziamo a cercare i tuoi fratelli.»
«Credevo di essermi spiegata: non sono una fanciulla in cerca di un principe che la salvi. Me la posso cavare da sola.»
«E io non sono un soldato rude dal passato oscuro e con problemi relazionali. Ho un paio di tatuaggi e un paio di cicatrici guadagnate in battaglia. Tutto qui. Ma amo leggere, ho avuto un’infanzia felice, ho molti amici e una vita sociale. E ti voglio con me. Sempre.»
Grace lo fissò senza parole e lui continuò imperterrito. «Chiariamo subito le cose: sei una donna libera. Sono di Alderan e non ho intenzione di impormi su di te in nessun modo. Anzi…» Un sorriso beffardo gli illuminò il volto. «Ci sono un paio di modi in cui mi imporrò su di te. Ti porterò a letto con me il prima possibile, Grace. Puoi scegliere tu in quale veste. Come mia moglie, se vuoi aspettare fino a domani. Poco importa, basta che tu sia al mio fianco. Ti amo e voglio che tu mi sia accanto. Puoi amarmi? Anche se non ho un’aura di mistero attorno a me e un dubbio passato?»
Grace si lanciò tra le sue braccia e lo baciò. Lui non era il pericoloso soldato che aveva conosciuto e lei non era l’ingenua e sciocca ragazzina che aveva finto di essere.  Tutta quella storia di confini difesi e violati, di prigionia e di disperazione era finalmente giunta al termine ed era rimasto solo il loro amore di contrabbando. Meglio di così non poteva andare.