Con una certa supponenza vedo che è diffusa l’opinione che il racconto avventuroso d’azione sarebbe inferiore all’intrigo psicologico. Credo che sia un finto problema. Anche al di là del romanzo puramente “psicologico”, pure il noir d’atmosfera, basato più sui caratteri e sulla tensione che sull’azione pura, richiede ritmo. I risvolti personali e caratteriali della vicenda dovrebbero emergere da quello che i personaggi fanno e dicono piuttosto che da presunti approfondimenti. Dopotutto “show don’t tell” ha una sua ragione di essere, soprattutto oggi in un momento in cui la narrazione è sempre più influenzata dalla visionarietà.

In realtà il punto è il ritmo, non l’azione in sé. Posso scrivere una vicenda d’azione anche senza sparatorie, inseguimenti e scazzottate. L’azione è il modo in cui le vicende si inanellano, nel taglio mai troppo esteso che do ai dialoghi, al cambio di scena e al modo in cui le vicende si inseriscono una nell’altra. Una sparatoria di venti pagine risulta ferma quanto e più di una riunione (situazione difficile da rendere movimentata ma, a volte, necessaria al racconto). Sento poi dire da supposti maestri di scrittura “alla decima sparatoria non ne posso più”, o “meglio un colpo di pistola al momento giusto che una continua serie di scene d’azione”.

A questi pantofolai della scrittura rispondo prima di tutto di non usare sempre le stesse espressioni perché cadono nella frase fatta. E poi la scena d’azione è una sfida per il narratore. Certo devono essere sequenze diverse, ben tagliate e giustificate. Ma volete mettere la soddisfazione di riuscire a ricreare le emozioni con la parola senza suoni, riprese ed effetti speciali?

La ragione per cui molti denigrano le scene d’azione è… che non sanno scriverle. Sono invece occasioni per cimentarsi con situazioni inusuali e stimolanti. Come sempre, però, un po’ il ritmo e l’azione devono piacerci… un po’ come per le scene di sesso. Ma questa è un’altra storia.

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