Il termine “idioti” del titolo non è un insulto gratuito. È da intendersi nel senso etimologico di “circoscritti”, “localizzati”, “irretiti”, “prigionieri nel web”. È sempre più tardi di quanto si crede. Ora anche i periodici a grande tiratura (si veda “Newsweek” del 13 luglio 2012) i fini dicitori del giornalismo salottiero e i compunti maggiordomi del potere quale che sia, i vati dell’ovvio e gli specialisti dell’aria fritta se ne vanno accorgendo. Un’intera generazione – come da almeno trent’anni vado documentando – appare nello stesso tempo informatissima di tutto, comunica tutto a tutti in tempo reale, ma non capisce quasi nulla e non ha niente di significativo da comunicare. È una generazione al macero, appesa agli schermi opachi di TV, Internet, Facebook, Youtube, destinata all’obesità catatonica e alla lordosi sedentaria. La stessa molteplicità e eterogenea abbondanza delle informazioni la deforma, la fagocita, le impedisce di stabilire una propria tavola di priorità.
Titolo: Un popolo di frenetici informatissimi idioti.
Autore: Franco Ferrarotti.
Genere: Saggio.
Editore: Solfanelli.
Prezzo: euro 7,65 (copertina flessibile).
Questo agile saggio risale al 2012 (ho acquistato la sesta edizione, pubblicata nel 2016), ma è attualissimo. L’ho letto in un fiato, nemmeno fosse un thriller. C’è, comunque, di che spaventarsi…
Nella prefazione, Ferrarotti afferma “Nessun dubbio sulla velocità delle comunicazioni, sulla loro molteplicità e quantità, sui tipi di stimoli e di richiami, ma comunicare ‘a’, invece che ‘con’, cioè comunicare a tutti vuol già dire rischiare di non comunicare a nessuno… Il multitasking sembra arricchire l’individuo; in realtà, lo disgrega, crea una società di smemorati, distratti, stracchi morti senza aver fatto niente. Muoiono i ricordi. La vita stessa è intaccata nelle sue radici. Poiché non siamo nulla in senso assoluto. Siamo solo ciò che siamo stati. Più precisamente: ciò che ricordiamo di essere stati.”
Una premessa simile mi ha fatto borbottare “Ecco il solito umanista, nutrito a classici greci e latini!”. In realtà, la mia era una difesa d’ufficio, perché un po’ mi sono sentita nel mucchio di quegli idioti informatissimi… nonostante la mia formazione sia avvenuta sui classici greci e latini (faccina che ammicca). Pensandoci bene, mi sono resa conto di quanto mi affidi alla tecnologia che gira per casa. Non memorizzo più i numeri di telefono, a parte i miei (e per quello di casa devo fare mente locale). Compulso freneticamente Google, spesso senza esercitare la memoria, che pure non mi fa difetto, in merito a luoghi, date, avvenimenti. Henry Bergson mi consolerebbe, dicendomi che il nostro passato è sempre con noi, però… Essendo più che adulta (il prossimo traguardo -se mai ci arriverò- saranno gli 80, numero che mi spaventa e mi attrae allo stesso tempo), sono immune al fascino perverso del web, che attira giovani e giovanissimi, convinti di trovare milioni di amici elettronici e vittime spesso di impuniti carnefici (pensiamo a coloro che vengono presi di mira sul web e che non riescono a reagire se non con gesti disperati).
Senza condividere del tutto la definizione di Ferrarotti di Internet come la grande pattumiera planetaria, mi rendo conto dei pericoli che scaturiscono dall’immensa mole di informazioni prive di critica delle fonti. Immensa mole: dai discorsi di Papa Francesco alla pornografia, alla ferocia più sadica e alle scene di violenza gratuita ed efferata. Tutti hanno accesso a questo universo di informazioni; moltissimi non hanno una cultura sufficientemente solida per discernere il grano dal loglio, tanto più che Internet premia l’emotività più che la ragionevolezza. Lo vediamo tutti i giorni, se appena dedichiamo qualche minuto a Facebook, Twitter e YouTube, per indicare solo alcuni dei canali attraverso i quali veniamo bombardati di notizie o pseudo tali.
Alla fin fine, quello che Ferrarotti (e non solo lui, credo) teme è vedere i giovani, gli adolescenti, seduti come “patate assorte davanti allo schermo… invece di… vivere all’aria aperta”. Un nuovo homo sapiens che non legge, ma vede e ascolta. Non ragiona, ma intuisce. Sta bene e si realizza nel gruppo (Ferrarotti lo definisce “armento”), di cui segue la logica, con il sollievo di chi vede diluirsi la responsabilità personale.
Insomma, un breve saggio che consiglio a tutti, anche se il mondo che ci presenta è abbastanza spaventoso. E Ferrarotti sembra non avere molte speranze in un miglioramento della situazione attuale.
Franco Ferrarotti è professore emerito di sociologia all’Università “La Sapienza” di Roma. Ha fondato con Nicola Abbagnano i “Quaderni di sociologia”. Dal 1967 dirige “La critica sociologica”.
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