Per molti versi, avrei preferito non dover pubblicare questo libro, che non esisterebbe se una delle mie scrittrici preferite – non posso nemmeno incominciare a spiegare l’importanza che ha avuto nella mia vita, professionale ma soprattutto personale, il suo Orto di un perdigiorno – non si trovasse in condizioni di salute che non lasciano campo alla speranza. Eppure. L’orto di un perdigiorno si chiudeva con una frase che mi è sempre sembrata un modello di vita, un obiettivo da raggiungere: «Ho la dispensa piena». Oggi questa dispensa, forse proprio grazie alla sua malattia, Pia ha trovato modo di aprircela, anzi di spalancarcela. E la scopriamo davvero piena di bellezza, di serenità, di quelle che James Herriot ha chiamato cose sagge e meravigliose, di un’altra speranza. È davvero un dono meraviglioso quello che in primo luogo Pia Pera ha fatto a se stessa e che poi, per nostra fortuna, dopo lunga riflessione ha deciso di condividere con i suoi lettori. Non posso aggiungere molto, se non raccomandare con tutto il mio cuore la lettura di un libro che, come pochi altri, ci aiuta a comprendere la straordinaria avventura di stare al mondo.
Luigi Spagnol
TITOLO: Al giardino ancora non l’ho detto.
AUTRICE: Pia Pera.
GENERE: Narrativa contemporanea.
EDITORE: Ponte alle Grazie.
PREZZO: euro 9,99 (eBook); euro 9,99 (audiolibro); euro 13,30 (cartaceo).
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La recensione di Roberta Ciuffi.
Mi sono innamorata. No, non di un uomo e neppure di una donna, o forse sì, salvo che questa non c’è più e tutto quello che resta di lei è l’eco di una voce…
Quanto tempo era che non amavo così appassionatamente un testo? La maggior parte sono ormai intrattenimento, passatempo, occupano lo spazio per un attimo e poi svaniscono. Ma questo… è pane. Lo stavo ascoltando su Audible, non ero neppure a un quarto quando ho dovuto comprarlo, fisico, cartaceo, perché questo è il genere di libro cui fare le orecchie, inserire foglietti, foglie, fiori secchi, tenere sul comodino e centellinarlo. Poi. Dopo, quando avrò finito di ascoltarlo, magari tra un po’ di tempo.
Dico subito che è un testo per cui ci vuole saldezza di cuore, perché parla di morte. Una lenta discesa, o forse impietosamente veloce (o pietosamente tale? Le opinioni posso divergere) verso la morte. E non è un romanzo. È il diario di Pia Pera, intellettuale, traduttrice, scrittrice delusa, conoscitrice delle parole e meravigliosa giardiniera.
Il titolo è ripreso da una poesia di Emily Dickinson: Al giardino ancora non l’ho detto.
Al giardino ancora non l’ho detto
Non ce la farei
Nemmeno ho la forza adesso
Di confessarlo all’ape.
Non ne farò parola per la strada,
perché i negozi mi fisserebbero
ché una così timida, così ignara
abbia l’audacia di morire.
Non devono saperlo le colline
Dove ho tanto vagabondato
Né va detto alle foreste amanti
Il giorno in cui me ne andrò
Né lo si sussurri a tavola
E neppure per caso
Si accenni che qualcuno, oggi,
Penetrerà dentro l’Ignoto
“Un giorno di giugno di qualche anno fa un uomo che diceva di amarmi osservò, con tono di rimprovero, che zoppicavo.”
È l’inizio del diario e l’inizio della discesa. Malattia del motoneurone. Sla. Quell’uomo che diceva di amarla non ricompare più nelle pagine, non si sa che ne sia stato. Mentre l’avventura di Pia è tutta descritta, con le sue impennate, le ribellioni, i ragionamenti, le passioni intellettuali, intrecciata a doppio filo con l’avventura del giardino che dovrà lasciare e che sarà inevitabilmente abbandonato. Come la sua Macchia, il suo cane. Ma non ora, non subito. E ogni momento della sua discesa è accompagnato dai momenti del giardino tanto amato, vissuto in modo quasi carnale, fatto carne che è stato necessario accudire, come adesso il corpo di Pia è diventato esso stesso giardino, e di esso bisognerà occuparsi. Non è un testo didattico, di quelli motivazionali. In modo quasi distaccato, con una punta di ironia, lei descrive i tentativi anche irrazionali di trovare una cura (e chi di fronte alla morte si arresterebbe sul limite dell’irrazionale?). Ciarlatani? Che importa, male non farà e perché non provare? Non vuole insegnare a morire bene, Pia. Né convincere che il suo viaggio sia un bel viaggio, ma almeno vivere, nel presente, al meglio che può, con il giardino che la circonda e che descrive con tanta passione che sembra voglia portarsene il ricordo… chissà dove.
Degli ultimi anni non si parla. Lasciamo Pia stanca, quasi inerme, consapevole che c’è più poco che possa fare. Lo sconforto, quando si rende conto che il dito mignolo non riesce a battere la lettera A sul computer, e il programma le chiede (come ha capito?) se vuole passare alla dettatura vocale.
E io la ringrazio per le parole che ci ha lasciato e plaudo alla lettrice, che per me sarà sempre la voce di Pia.
Pensando a questo accenno di recensione, mi sono trovata in difficoltà sulla possibilità di scegliere qualche frase perché ovunque sono disseminate parole su cui soffermarsi, rileggerle, saggiarle.
Alla fine ho scelto questa, che mi ha bloccato in mezzo alla strada, colpita da una sorta di rivelazione.
“Ringrazio, prima di addormentarmi, della vita che ho avuto, io che venivo dal nulla. Dal non essere, eppure ho potuto vedere e conoscere tutto questo.”
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