Per chi non lo sapesse, io sono una gattara e sono orgogliosa di esserlo. Quando qualcuno me ne domanda il perché, non ho una risposta da dare. Posso solo dire che prendermi cura di mici indifesi, soli e bisognosi di tutto, è una cosa che mi fa sentire bene. Suppongo che sia un modo per guadagnarmi il biglietto di passaggio in questa vita.

Sono sempre stata innamorata dei gatti, ma la mia carriera di gattara è cominciata nel settembre del 2008, quando dei lavori per risistemare il parcheggio della scuola mi hanno costretta a posteggiare l’auto ai bordi di un prato, sul retro dell’istituto. Quando sono tornata alla macchina, alla fine delle lezioni, c’era un gattone rosso sdraiato sul cofano della mia Clio. Non lo sapevo, ma quello sarebbe stato l’inizio di un amore lungo otto anni, che solo la scomparsa del micio è riuscita a interrompere. Ho allungato una mano per fargli una carezza. Lui, non solo non è scappato, ma ha anche iniziato a ronfare. Siccome nella macchina ho sempre del cibo per gatti, gliene ho dato un po’. Così, mentre lui mangiava, da perfetta vigliacca me la sono squagliata. Non volevo dargli troppa confidenza. E poi, un gatto tanto domestico doveva per forza avere un padrone e forse avevo sbagliato a dargli del cibo.

La mattina successiva, però, al mio arrivo a scuola, lui era ad attendermi sul prato. Quando sono scesa dall’auto, mi si è fatto incontro. Voleva essere accarezzato. L’ho guardato. Era un gatto bellissimo, di un rosso tigrato così tenue, che la pelliccia sembrava quasi rosa. Non era magro e non potevo immaginare che fosse un randagio, ma quando mi ha guardato con gli occhi di un verde chiarissimo, ho capito che aveva fame e voleva mangiare. Gli ho lasciato un po’ di croccantini sul bordo del prato e me ne sono andata. Al mio ritorno, l’ho trovato ancora a dormire sul cofano della macchina. L’ho sollevato e l’ho depositato in terra. Poi sono partita. La storia si è ripetuta per ogni giorno della settimana. Il sabato, ho deciso che avrei trovato i suoi padroni.

Ma il Rosciolone, la gente lo chiamava così, non aveva padroni. Qualcuno lo aveva abbandonato, un anno prima, su quel prato. Da allora viveva girovagando tra le villette dei dintorni, alla ricerca di un pasto e di una carezza. Una storia da strappare il cuore.

Oggi Rosciolone non c’è più. L’ho visto l’ultima volta l’anno scorso, a ottobre. Ricordo ancora, quel giorno, il suo sguardo che mi seguiva mentre andavo via. Non sapevo che non l’avrei più rivisto. Ma lui sì. Ne sono certa.

La sua scomparsa mi ha spezzato il cuore. Ero preoccupata per la malattia di Taddeo e ho realizzato solo dopo una decina di giorni che lui non veniva più a mangiare e che avrei dovuto preoccuparmi. L’ho cercato per tutto il quartiere, ma non l’ho più trovato. Un operaio della vetreria vicina alla scuola mi ha detto che era dall’estate che si era accorto che il gatto aveva perso peso e mangiava meno. “Era invecchiato”, mi ha detto. Mi sono odiata per non averlo capito, ma ormai lui non c’era più e la colonia aveva un altro capo. E nelle colonie feline la vita va avanti in fretta. Ci sono sempre nuovi arrivi e gatti che hanno bisogno di te.

Storie di una Gattara, prima puntata.

Sono Macrina Mirti. Macrina è il diminutivo con cui mi chiamava mia madre quando ero piccola. Mirti è un nome d’arte. Lo uso perché mi guadagno da vivere insegnando. I genitori dei miei alunni non gradirebbero una prof che scrive romanzi erotici. Che dirvi di me? Infanzia complicata. Ma ormai è passato molto tempo. Ho cominciato a leggere e a scrivere perché ero una bambina sola e triste. I libri mi facevano volare lontano. La scrittura mi aiutava a sognare. Poi sono cresciuta, mi sono laureata, mi sono sposata e ho cominciato a lavorare. La vita vera ha preso il sopravvento. A una certa età c’è poco posto per i sogni. Li ho ritrovati più tardi, quando la sicurezza di una vita tranquilla mi ha permesso di tornare alle mie passioni. (Intervista a EWWA – European Writing Women Association).

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