Ho appena concluso la serie Maritano Ardini. Si tratta di una trilogia: i romanzi sono autoconclusivi ma letti uno dopo l’altro spero che rispettino la regola secondo cui “Il Tutto è maggiore della Somma delle Parti”. Regola che avevo trovato in un testo d’Arte a proposito di un Polittico. Ogni dipinto aveva un senso compiuto ma guardando le varie parti una accanto all’altro si notavano richiami, “discorsi” fra i personaggi delle varie storie (Per questo motivo la divisione di un polittico è peccato mortale).
La scrittura del primo NESSUN RICORDO MUORE (nato con il titolo SNAKE) mi ha portato via molti anni, della primissima stesura è rimasta una modesta traccia: i fogli che Teresa trova nella neve, quelli con un frammento del romanzo rosa scritto dalla donna che vive sotto falso nome. Modesta traccia? Sì, ma è davvero l’innesco. Quello che spinge Tea a ricominciare a fare la poliziotta.
Numerose stesure e poi finalmente la pubblicazione (Carlo mi aveva chiesto qualcosa per la primavera, non avevo tempo di scrivere altro perché mio padre stava molto male e gli ho dato quello).
L’accoglienza è stata spiazzante: ad alcuni è piaciuto molto, altri si aspettavano la modalità Mariani e sono rimasti delusi. Perché si risolveva il caso (molto intricato) ma non si sapeva perché Ardini fosse così sgradevole. Si intuiva che doveva essergli accaduto qualcosa da bambino.
Ammetto che non lo sapevo.
Ho scritto VITTIME E DELITTI sperando di scoprirlo e per mettere in scena personaggi che potessero servirmi. Ma è capitata una cosa strana: se non scoprivo ancora cosa era accaduto a Marco, lanciavo funi fra un romanzo e l’altro.
Funi? sì, come gli sguardi che legano personaggi di parti diverse di un unico polittico o richiami di colore. L’essere padre e l’essere madre. Quanto il passato influenza il presente. Quanto il presente fa rileggere in modo diverso il passato. Il contrasto fra luce e buio. Fra costa ed entroterra.
Quando ho cominciato LE PORTE DELLA NOTTE (prendendo spunto da un discorso sentito in albergo) ho preso quegli sguardi e li ho cotti a fuoco lento fin quando i muscoli (quelli che voi foresti chiamate cozze) si sono aperti. E scoperto cosa era accaduto a Marco. Non potevo modificare i romanzi precedenti, quindi è stato uno sfruttare ogni spazio disponibile. Ma per noi genovesi è mestiere di sopravvivenza. Se siete passati da Genova avrete visto la sopraelevata, tirata su fra porto e case. Ma tutta la città vive così. sarà per questo motivo che nelle mie storie le vie, i percorsi, l’andare e il tornare, sono elementi essenziali?
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