L’amore… sempre l’amore. Strano, particolare, contrastato. E un’autrice, Valentina G. Bazzani, che molti di voi conoscono anche per il supporto all’attività del Blog (ricordo l’ultimo contributo con la serie di articoli su Scrivener).

“L’Ultimo Petalo”, che apre una rassegna di undici racconti inediti, presenta l’amore platonico. Un testo breve, pervaso da una dolcissima malinconia.

Valentina, di cui aspettiamo il prossimo romanzo che, ahimé, potremo leggere solo a gennaio 2019, regala emozioni alle affezionate lettrici e dice loro “Non dimenticatemi!”. Il progetto proseguirà grazie alla collaborazione di altri dieci blog e alla consulenza di Cristina Pace.

Vi consigliamo di leggere “L’Ultimo Petalo” ascoltando “La Regina del Celebrità” degli 883.

Bollicine. Il loro potere ipnotico era incredile. Facevano come da filtro fra lui e la realtà. Luca le osservava annoiato, immaginando di tanto in tanto di arrestarne con il pensiero una, ma quelle gli sfuggivano rapide per poi schizzare in fila verso la loro fine. Provò a sollevare il mento, ma la testa gli faceva troppo male. La sentiva pesante, benché i pensieri fossero sorprendentemente leggeri.

Lei non si era si era ancora presentata.
Molti uomini aspettavano da ore la sua apparizione, ma sarebbero rimasti delusi. Era la quarta sera in cui Luca si recava in quel night club. Ci era capitato per caso qualche tempo prima, trascinato dagli amici che non ne potevano più di ascoltare i suoi problemi: la fidanzata lo tradiva, il libro non voleva saperne di decollare, l’ispirazione mancava ormai da troppo tempo e l’editore gli stava con il fiato sul collo.
«Bevici su» gli ripetevano gli amici. Un modo carino per dire che se si fosse ubriacato non sarebbero stati costretti ad ascoltarlo. E in effetti era proprio così. Quella sera però era lucido, e guardava ansioso in direzione del palco.
La prima cosa che lo aveva colpito quando era entrato per la prima volta al Red rose era stata la luce cupa e fumosa. I corpi si muovevano come al rallentatore, gettando lunghe ombre sulle pareti rosse. Perfino gli sgabelli del bar erano stati dipinti di quel colore. Dei faretti proiettavano sul palco piccole rose che si incrociavano in continuazione.
Red Rose, il concetto era chiaro.

«Vedrai, ti piacerà» avevano detto gli amici. Luca non era convinto. Non apprezzava per niente quel genere di posti. L’aria era satura dell’odore dei petali messi in infusione. Si chiese chi fosse il proprietario. Chi poteva essere così ossessionato da un fiore? Non comprendeva come le persone potessero essere attratte da quel locale: a parte il richiamo ridondante al rosso, non aveva niente di particolare. Nulla che stuzzicasse la sua immaginazione da tempo atrofizzata.
La prima sera, quando la luce si era spenta e qualcuno aveva gridato «Ed ecco la nostra Rose!», una donna era comparsa sul palco coperta solo da petali. Luca non si era scomposto quanto gli altri. Aveva notato che era giovane: il chiarore della pelle, messo in evidenza dalle luci, creava un bel contrasto con i capelli rossi. Una maschera celava parte del volto, ma non gli occhi verdi che scrutavano gli uomini intorno a lei con una certa freddezza. La sua danza era stata lenta, seducente, persuasiva e molto intima. Tutte le volte in cui si era avvicinata ai bordi del palco e qualcuno le aveva allungato una banconota, lei aveva staccato un petalo dal costume. Man mano che la musica incalzava, gli uomini aprivano di più il portafoglio. Luca era rimasto immobile, chiuso in una pacata ammirazione. Lei gli era sembrata così fragile, indifesa, eppure doveva essere consapevole del potere che esercitava sul pubblico: i loro sguardi le scivolavano addosso senza lasciare traccia, mentre il suo non si soffermava su nessuno.
Dal fondo della sala Luca aveva osservato i petali cadere.
Si era chiesto quale storia si nascondesse dietro ciascuno di essi. Cosa sarebbe rimasto di lei quando anche l’ultimo fosse caduto? Non era stato sicuro di volerlo sapere.

L’aveva aspettata fuori dal locale fino all’alba, ma lei non si era fatta vedere.

Tornò la sera successiva e quella dopo ancora. Di giorno la sognava e scriveva di lei, di notte la osservava da lontano senza mai provare a sfiorarla. Quegli sguardi, attraverso la sala chiassosa e i commenti pesanti degli spettatori, erano una droga per Luca. Lei ballava e lui la guardava, niente di più. Eppure i cinque minuti in cui Rose dominava la scena erano diventati importanti, una conversazione privata fatta di piccoli gesti. A volte lei si chinava all’indietro e lo fissava a testa in giù. Qualche volta ammiccava, altre lasciava che fosse la sua immaginazione a creare quegli attimi di contatto. Luca non si avvicinava mai al palco, anche se avrebbe voluto. Temeva di spezzare la magia. L’aspettava ogni notte fino a tardi, ma lei non si presentava mai.
«Che ti importa, la vita è un giardino pieno di fiori» dicevano gli amici.
No, loro non potevano capire. Lei era preziosa, una rosa fuori dal comune. Luca immaginava come sarebbe stato il tono della sua voce se fosse riuscito a parlarle.

L’ultima sera, quando ormai aveva perso le speranze, trovò una ragazza ad attenderlo dietro l’angolo. Aveva i capelli nascosti da un berretto che teneva calato sulla fronte, indossava una giacca di pelle larga e una lunga gonna verde. Ogni centimentro del suo corpo era coperto, ma lui la riconobbe lo stesso. Gli porse una busta, in silenzio. Poi scappò via. Quando Luca la aprì, un petalo di rosa gli scivolò sulla mano.
Il biglietto diceva: «L’ultimo petalo di rosa è per te che mi hai guardata con rispetto».
Non la vide più al locale, ma da quel momento, tutte le volte che usciva con una donna, gli tornava in mente quel petalo di rosa.

Seguirà, il 22 agosto, “La Ragazza dall’Ombrello Rosso”, che tratterà il tema della diversità (Blog “Perché lo dice Krilli”, di Cristina Pace).

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