Roberta Marcaccio è nata a Rimini, ha 54 anni e vive in Romagna. Diplomata in ragioneria, ha lavorato in diverse aziende nel settore informatico come operatore di assistenza, responsabile e manager. Ha viaggiato molto, per lavoro, girando quasi tutta l’Italia. I luoghi in cui ha lasciato un pezzo di sé sono Milano e Ivrea.

Ha pubblicato “Tranne il colore degli occhi” per Tombolini e “Ti raggiungo in Pakistan” con StreetLib. Ha collaborato con la rivista Il Colophon e nel 2015 ha ricevuto il diploma di merito per il racconto “L’Hotel Rimini” al concorso Scintille in 100 parole. Appena uscito “Il cactus non ha colpa” (Triskell Edizioni).
Il suo sito web.

1.     Che genere scrive? Ce ne parla? Ci racconta come mai ha scelto questo genere per esprimersi?
Potrei definirlo a metà tra romance e narrativa contemporanea. Nei miei romanzi c’è sempre una storia d’amore, ma sono romance puri. Contengono storie di amicizia, rapporti genitori-figli, profondi legami d’affetto, storie contorte, difficili, misteri e mal di vita. Ho scelto questo genere perché mi consente di esprimere sentimenti ed emozioni in piena libertà.

2.     Come scrive? Penna e carta, Moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, iPad, iPhone?
Principalmente lavoro al computer, che mi consente di essere veloce e, allo stesso tempo, ho l’accesso agli strumenti che mi servono mentre scrivo, per la scelta delle parole e le verifiche dell’ultimo minuto. Lavoro al computer dalla fase di progettazione alla stesura alle revisioni.
Qualche volta mi capita di iniziare un progetto su carta, tracciarne le linee guida e fissare i capitoli, ma poi trasferisco tutto su file.
Spesso prendo appunti su un taccuino, di solito ne ho sempre uno in borsa per le “varie ed eventuali”, su cui annoto qualsiasi cosa, dalla lista della spesa a un dettaglio della storia che sto scrivendo.

3.     C’è un momento particolare nella giornata in cui predilige scrivere i suoi romanzi e racconti?
Mi piacerebbe dedicarmi alla scrittura al mattino e al pomeriggio con il tempo giusto e dopo il regolare riposo. In realtà considerando la mia vita piena e intensa, mi devo accontentare degli orari disponibili. Organizzo le mie giornate per ritagliare più spazio possibile, ma scrivo in qualunque momento.

4.     Quando scrive, si diverte oppure soffre?
Mi diverto e soffro a seconda dell’ironia della situazione o del dolore del personaggio. Quando mi avvicinai alla narrazione, tanti anni fa, mi convinsi che per scrivere libri intensi e coinvolgenti occorresse stare male. Poi con la maturità ho capito che per scrivere occorrono equilibrio emotivo e tranquillità dell’anima, anche se si tratta un genere noir o un romanzo violento. Contano l’esperienza letteraria e il vissuto da cui si trae spunto. Poi mi capita di ridere o piangere per davvero mentre scrivo, ma credo sia abbastanza frequente.

5.     Nello scrivere un romanzo, “naviga a vista” come insegna Roberto Cotroneo, oppure usa la “scrittura architettonica”, metodica consigliata da Davide Bregola?
Sono piuttosto metodica nella mia capacità di navigare a vista. Parto sempre dallo sviluppo di una idea su cui costruisco una scaletta, delineo una trama, invento i personaggi e decido più o meno cosa voglio scrivere e perché. Poi, come spesso accade (almeno a me), la storia e i protagonisti prendono il sopravvento, si impossessano della mia tastiera e mi conducono per sentieri che non avevo assolutamente considerato. Faccio un esempio: scrissi un romanzo partendo dalla storia di amicizia tra due donne, per arrivare alla fine ad accorgermi che avevo scritto un mystery. Un’altra volta, invece, mi accorsi a un certo punto che sulla scena era apparso un nuovo personaggio che non avevo minimamente previsto e che poi è divenne uno dei protagonisti.

6.     Quando scrive, lo fa con costanza, tutti i giorni, come faceva A. Trollope, oppure si lascia trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?
Quando inizio una stesura e ogni volta che lavoro a un testo (revisione, editing, ecc.) scrivo tutti i giorni per non perdere il filo della narrazione e dare continuità al mio lavoro. Può capitare che sia costretta a saltare un giorno, ma mi obbligo a essere costante.

7.     Ama quello che scrive, sempre, dopo che lo ha scritto? 
Sì, sempre. Ogni romanzo è perfetto nel momento in cui l’ho scritto. Poi… legga la risposta alla prossima domanda.

8.     Rilegge mai i suoi libri/racconti, dopo che sono stati pubblicati?
Se posso evitarlo, no, altrimenti mi verrebbe da riscriverli totalmente. A volte mi capita per necessità, ma in genere non lo faccio mai.

9.     C’è qualcosa di autobiografico nei suoi libri?
In tutti i libri c’è qualcosa di autobiografico, lo scrittore lascia sempre tracce di sé in ciò che scrive. Sarebbe strano il contrario. Detto questo, nei miei libri non c’è la mia vita, ma ci sono il vissuto, l’esperienza, le emozioni, la scia che lasciano le persone, l’impronta di un’amicizia, il gesto di una persona incontrata per caso, un luogo che ha marchiato la mia memoria. Ci sono le parole ascoltate, le immagini che mi hanno colpito, la luce e le ombre del mondo attorno a me.

10.  Tutti dicono che per “scrivere” bisogna prima “leggere”: è una lettrice assidua? Legge tanto? Quanti libri all’anno? 
Sì, è uno dei primi insegnamenti importanti che ho ricevuto quando mi sono avvicinata alla scrittura e credo sia imprescindibile. Ho usato molto spesso la lettura come materasso per la scrittura. Ricordo di aver scritto un racconto molto particolare, anni fa, leggendo “Le confessioni di una maschera” di Yukio Mishima, uno dei libri più belli per me. Allo stesso modo ho passeggiato durante la scrittura de “Il cactus non ha colpa” con Felicia Kingsley e Chiara Parenti, due scrittrici molto diverse tra loro, ma che amo moltissimo e che ho “sfruttato” per il loro lato ironico.
Sì, leggo molto, sempre: tra carta o Kindle ho sempre un libro in corso. Difficile dire quanti all’anno perché leggo anche tanti manoscritti e libri tecnici o didattici legati alla scuola che frequento. Direi una cinquantina circa all’anno.

11.  Ha mai partecipato a un concorso? Se sì, ci racconta qualcosa della sua esperienza?
Ho partecipato solo una volta con un racconto, “L’Hotel Rimini” e ho ricevuto un diploma di merito. È stato piacevole ed emozionante.

12.  A cosa sta lavorando ultimamente?
Sto lavorando a un romanzo iniziato quindici anni fa e mai concluso che pensavo di abbandonare, ma poi la storia mi ha richiamato e l’ho riscritto completamente. Sto revisionando un romanzo, a cui tengo moltissimo, che ho tolto dal mercato qualche tempo fa e vorrei ripubblicare entro l’anno. In cantiere ho anche un’antologia di racconti che attende solo di vedere la luce.

Alla soglia dei quarantacinque anni Rebecca perde l’unico amore a cui ha dedicato vita, anima e cuore. Il suo lavoro. Una lettera, consegnatale personalmente dall’amministratore delegato dell’azienda per cui lavora, cancella ventiquattro anni di carriera e la mette di fronte alla scelta più difficile che abbia mai dovuto affrontare: rimanere fedele a se stessa e chiudere per sempre una porta alle sue spalle.
Ventiquattro anni di carriera fatti di rapporti umani, sedi di lavoro diverse, dalla Romagna al Piemonte, fino alla Valle d’Aosta, legami più o meno forti coi colleghi, amicizia e passione per un lavoro che a tratti diventa preponderante su tutto. La storia di Rebecca è brutalmente attuale. Lo ascoltiamo al telegiornale, lo leggiamo sui quotidiani ma quando capita diventa un duro rospo da ingoiare. Rebecca, Giuliano, Ilaria, Vittorio, non necessariamente in quest’ordine, sono i protagonisti di una vicenda in cui tante persone possono identificarsi. Il lavoro per molti è rifugio, consolazione, passione, si investono anni di vita e quando vengono a mancare certe condizioni ci si sente traditi, come se lo facesse l’amore della nostra vita.
Che strada sceglierà Rebecca? Riuscirà a dare una nuova direzione alla sua vita?
Il romanzo racconta con emozione, ma anche una punta di ironia, una storia come ne sono accadute tante e che non si augura a nessuno, anche se… non è forse vero che non tutti i cactus vengono per nuocere?

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Il quattro marzo Anna incontra Davide alla Feltrinelli di Rimini. L’uomo ha espresso il desiderio di conoscerla dopo avere letto “Guardati allo specchio”, il libro di Anna, una storia autobiografica il cui tema centrale è la depressione. L’incontro con Davide spezza il lungo periodo di assenza d’amore nella vita di Anna, dopo la fine del suo rapporto con Roberto, e cambia il senso dei giorni scanditi dalla discreta presenza del figlio Andrea, dall’affettuosa amicizia di Giorgia e dalla passione per la scrittura che Anna esprime collaborando con Dea, la rivista di cultura femminile di cui Giorgia è caporedattrice. Dall’incontro con Davide nascerà davvero un nuovo amore? L’esistenza di Anna seguirà il nuovo percorso, grazie all’ingresso dell’uomo nella sua vita, oppure devierà nuovamente con l’apparizione improvvisa di Francesco? Anna riuscirà a trovare serenità oppure dovrà ricorrere alla scrittura e alla presenza tranquilla del mare al quale si rivolge ogni volta che l’anima si spezza?

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Primavera 1950. A San Felice Maggiore, un piccolo paese nel cuore del Matese, nascono, a tre mesi di distanza l’una dall’altra, due bambine: Michela, orfana di madre, è riservata, taciturna, solitaria; Annamaria invece è il sole, amichevole con tutti e piena di vita. Michela ed Annamaria diventano grandi insieme, condividendo ogni momento importante dell’età dell’adolescenza, dai giochi ai rapporti con i ragazzi. Fino al giorno in cui Michela sparisce nel nulla. Cosa le è successo? Dov’è finita? È ancora viva? Anche Diana, la vecchia che vive nel bosco, si rifiuta di dirle la verità. In un paese in cui tutti sanno tutto, dove le case ascoltano e gli alberi osservano, com’è possibile che nessuno sappia nulla?

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