Buongiorno, Augusto, grazie di esserti sottoposto (sì, la pistola è carica) a questa sfilza di domande. Rompiamo il ghiaccio con un classico: ti presenti ai lettori?

Nacqui che ero molto piccolo, nel 1970, in una notte quasi certamente buia (dato che era notte) e non tempestosa, ma all’insegna della nebbia (c’è un aneddoto che circola in famiglia a riguardo, ancora non mi occupavo di meteorologia). In seguito frequentai con successo dapprima le scuole elementari… Forse è meglio se la faccio un po’ più breve! 😛

Ehm… forse sì. Quella frase… Nacqui che ero molto piccolo… lo sai, vero, che ha il copyright Paperon de’ Paperoni? Comincia così la sua autobiografia.

Una frase rubata a zio Paperone? Citazione involontaria (in effetti lo leggevo molto, da ragazzino) o mi sta diventando il becco giallo? Immagino sia la prima (dato che le altre sono una sorta di cronologia e basta)? Sono curioso come una scimm… come un papero!

Nella mia vita ho cambiato numerosi lavori. Grafica, serigrafia, tipografia, editoria, traduzioni dall’inglese e, negli ultimi 15 anni, meteorologia e informazione aeronautica.

Uomo multitasking! E per quanto riguarda la scrittura?

Dal punto di vista della scrittura inizio a 14 anni, dedicandomi a racconti e numerosi scenari per giochi di ruolo (che apparvero su alcune fanzine, in quegli anni privi di internet erano un network importante). Bisogna però attendere il 1989 per vedere le mie opere apparire su riviste vere e proprie (esordii sulla rivista “Rune”, con un… ehm… pessimo articolo, visto oggi). Nel 1990, mentre frequentavo l’università in Scienze dell’informazione, cominciai a lavorare per la Stratelibri in qualità di traduttore dall’inglese. Fu così che ebbi l’onore di occuparmi di Michael Moorcock (con la collana dedicata a Stormbringer), al Cyberpunk (con “Gravità Zero”) ed altro.

Michael Moorcock… Elric di Melniboné è stato il mio primo amore. E occupa ancora oggi un posto di rilievo nel mio harem virtuale. Scusa l’interruzione.

Figurati. Harem virtuale, eh? Ne ho uno anche io. Chi c’è dentro? Beh, in parte le classiche eroine di molti nerd come me: personaggi tipo il Capitano Janeway e Settedinove da Star Trek, il tenente Kara Thrace e Numero Sei da Battlestar Galactica… Ma anche l’intero cast femminile di Sin City, lo ammetto. Dalla letteratura: Eowyn dal Signore degli Anelli, con la sua volontà di emanciparsi, Red Sonja e Valeria la piratessa di Conan, due guerriere sensuali, non a caso origine di molti stereotipi. O Deja Thoris da John Carter di Marte di Burroughs. E tante altre eroine di cinema e letteratura da cui ero (e sono) attratto, complici anche le illustrazioni di grandi artisti come Boris Vallejo e Frank Frazetta.

Nel 1992 un tuo racconto ha vinto un premio prestigioso, se ricordo bene.

Esatto. Sebbene abbia frequentato poco i premi letterari, “I manipolatori” fu premiato (se ricordo bene arrivò settimo sui dieci premi in palio) al V Premio Courmayeur di Letteratura Fantastica, in occasione del Fancon (poi apparso sulla rivista “The Unicorn”). Fu lì che mi convinsi che, se lavoravo sodo, forse potevo scrivere qualcosa di buono.

E ti sei sporcato le mani con l’editoria…

Sono stato socio di una casa editrice tra il 1993 e il 1997, sì. Ci si occupava soprattutto di giochi, ma anche di letteratura fantastica (spesso correlata ad essi) e di una rivista. Ebbi l’occasione di intervistare Brian Aldiss, per la nostra rivista, nel ’94. Fu un grande onore. Hai collegamenti con la CIA, per caso?

Mi appello al Quinto Emendamento. E poi?

Per molti anni a seguire l’attività letteraria viene limitata agli argomenti di studio (meteorologia aeronautica, l’ambito lavorativo che mi dà da mangiare a fine mese e mi permette scelte coraggiose) o ai giochi di ruolo (in qualità di redattore della rivista “The Unicorn”, ma miei lavori apparvero anche su “Sanguinaria”, “Rune” e altre riviste del settore, all’epoca molto attivo).

Per “Orologeria” hai scelto il self-publishing. Come mai?

“Orologeria” apre la serie “Le Ombre di Marte”. Mi sentivo già realizzato, così per me si trattava più che altro di mettere la spunta corrispondente nella lista “cose da fare nella vita”: scritto romanzo… sì… Così scelsi di non inviarlo a nessun editore, ma di optare per l’autopubblicazione, tramite il progetto di Amazon e del suo “Kindle Direct Publishing” (non avrei mai accettato di dover pagare qualcuno, conosco il mondo editoriale, so come funzionano le cose: consiglio l’autopubblicazione a tutti, ma se vi chiedono dei soldi NON FATELO: va sempre a finire male; sempre). Fu un successo, nonostante l’assenza di pubblicità e alcuni problemi tecnici iniziali.

Quali volumi compongono la serie?

I lettori mi chiedevano di continuare la vicenda, così ripresi a scrivere e completai la serie dedicata a “Le Ombre di Marte” con “L’Aeronave per Marte” e “Ombra Meccanica”, cui fece seguito un quarto volume, separato, “Vita Artificiale. Di quei lettori ne ricordo in particolare sette, i primissimi; può sembrare poco ma all’epoca ricevere sette lettere che mi chiedevano di proseguire fu emozionante e fu di sprone: il secondo romanzo fu pronto in pochi mesi, ed era molto migliore del precedente, più maturo e definito nello stile. Avevo imparato dai miei errori e capito quali erano i punti di forza su cui far leva.

Visto il tuo amore per Michael Moorcock, sei mai stato tentato dal fantasy?

Scrissi un corposissimo romanzo fantasy, spezzato per evidenti ragioni in tre volumi. “La Vendetta dell’immortale” doveva nascere in un volume unico ma arrivato a pagina 500 mi accorsi che la vicenda era ben lontana dall’essere a una svolta. Così tornai indietro di qualche pagina, feci una chiusura (cosicché se qualcuno avesse interrotto la lettura a quel punto non mi avrebbe odiato) e divenne “Il Signore dei Corvi”, il primo dei tre volumi della serie. L’anno dopo venne completato “il Sangue dell’Immortale”, il secondo volume, e, infine, “La Guerra di Storsen” giunse pochi mesi dopo. Potremmo definirlo uno “sword and sorcery” influenzato da Conan di Howard o da Kane l’Assassino, uniti al cinismo e alla crudezza dei mondi della new wave di Moorcock. Avventura e magia, ma non quella basata su “abracadabra” e superstizione. Il fantasy è una mia vecchia passione. E’ un po’ il libro che avrei voluto leggere da ragazzo, influenzato dalle mie passioni per fantasy, scienza e storia tanto quanto dall’avventura.

Arriva l’incontro con Alain Voudì e il ritorno allo Steampunk.

Un incontro fortunato. Nacque una collaborazione che portò alla stesura di due romanzi brevi del ciclo western-steampunk “Trainville” da lui creato, scrivendo a 4 mani con Alain. E’ stata una bella esperienza. E’ facile lavorare con Alain, la cui prolificità ed ecletticità non finiranno mai di stupirmi. Ho molta stima di lui.

E veniamo all’attualità.

Il 2015 ha visto anche un racconto (“Ombre nell’oscurità”, tra i vincitori del concorso per l’editore La Mela Avvelenata e un tempo apparso nell’antologia Evaporismi) apparire sul numero 75 della rivista Robot, e la partecipazione a numerosi altri progetti, tra cui il fumetto “Dark Steam Tales” (ricavato proprio dall’idea di “Ombre nell’Oscurità”).

A gennaio sono stato coautore del volume “Cronache Storsen”, supplemento per giochi di ruolo fantasy dedicato alla mia serie “La Vendetta dell’Immortale”. Qualcuno mi aveva fatto notare che la mole di appunti necessaria a costruire un modo fantasy coerente poteva meritare un volume a sé. Siccome non ho la pretesa di paragonarmi a Tolkien, un mio “Silmarillion” sarebbe stato del tutto inappropriato. Al contempo le mappe delle città, delle regioni, le note su religioni, popoli, culture e i luoghi descritti nei romanzi potevano fornire materiale di gioco. Ecco che nasce un corposo volume a colori, realizzato a 10 mani con vecchie conoscenze del mondo dei giochi di ruolo e artisti di valore. Contiene 86 pagine di miei appunti, disegni, stemmi, cartine, mappe e descrizioni, e 100 pagine di avventure e scenari che proseguono le vicende dei romanzi.

Progetti in corso?

Al momento sono in lavorazione un romanzo fantasy (dal titolo temporaneo “I Servi di Tuonetar”, ho dato ieri le prime 120 pagine al mio editor di fiducia) e uno Steampunk (temporaneamente intitolato “Tunguska”, sospeso circa a metà per lavorare su quello fantasy e permettermi di rigenerare efficacemente Vapore, dato l’elevato numero di uscite Steam avvenute nell’ultimo anno per Trainville, Robot, Dark Steam Tales e un ulteriore progetto, Ucronic Age, in collaborazione con Stefano Marchetti).

Allo SteamFest di Roma, ho acquistato “Dario Tonani’s Mondo9 Tribute Soundtrack”, della band “The Wimshurt’s Machine”. Ti dichiari colpevole di essere anche un musicista? E, detto fra noi, trovi il tempo per mangiare-dormire? Sai, quelle attività che ti permettono di sopravvivere.

Hahahaa (*risata da signore del male*): mi dichiaro colpevole, sì! E non voglio nemmeno le attenuanti.

Siccome restava del tempo non occupato da lavoro, insegnamento (meteorologia per piloti) e scrittura, dal 2003 sono parte di un gruppo musicale nato per realizzare colonne sonore, i “The Wimshurst’s Machine”. Siamo nati per hobby ma con i TWM ho inciso diversi dischi (l’etichetta attuale è la britannica indipendente Astranova) e ottenuto ben sei nomination agli Hollywood Music in Media Awards (2010, 2011, 2012, 2013, 2014 e 2015), tra gli altri riconoscimenti. L’ultimo anno ha visto uscire anche le colonne sonore di “Trainville” (con un Extended Play di 4 brani), di “Mondo9” (in un album di 9 brani dedicato alla bella serie di Dario Tonani), di cui hai acquistato il CD, e di “Dark Steam Tales” (realizzando le colonne sonore di romanzi e fumetti, in un’affascinante esperienza interdisciplinare).

AUGUSTO CHIARLE

Ho ammirato il tuo abbigliamento, allo SteamFest. Ce lo vuoi descrivere?

Nel 2009, dopo sei anni di attività musicale sempre in crescita, spinti anche dal nostro discografico, decidemmo di dare una svolta alla band, realizzando dei “costumi di scena” in cui posare nelle foto. Scegliere un tema fu facile: la Macchina di Wimshurst da cui prendiamo il nome è un generatore elettrostatico del XIX secolo. Lo Steampunk era perfetto. Così saccheggiammo eBay e costruimmo i nostri 8 costumi. Il mio fu una scelta facile: era l’unico che mi andava bene. Si tratta di una giacca da poliziotto newyorchese degli anni ’20, indossata su pantaloni da lavoro dello stesso colore. La spilla col dirigibile con le ali è un gadget del fumetto “Girlgenius”, il sestante al collo un gioiello Alchemy. Negli anni è cambiato poco: ho tolto il cappello (efficace ma un po’ troppo aggressivo) poi rimpiazzato con una splendida maschera (aggiunta di quest’anno) realizzata da Ti Ottocento, di Torino e acquistata in fiera a VaporosaMente (la fiera di Torino, la mia città).

Mi hai spinto ad acquistare la classica bombetta con gli occhiali. L’ho sfoggiata con piacere e sono stata fotografata! In effetti, vestita da vecchia signora in libera uscita, mi sentivo come un pesce fuor d’acqua, in mezzo a tutti quei personaggi! Partecipi abitualmente a queste manifestazioni? Come scrittore, musicista, o personaggio?

Ho iniziato a partecipare a queste fiere nel 2012, grazie ai ragazzi di Steampunk Italia, la cui disponibilità mi ha permesso di frequentare molte manifestazioni, presentare i miei romanzi e conoscere molta gente splendida. Da quel momento ho cominciato a frequentarle, talvolta da ospite, altre volte da semplice appassionato, ogni volta che posso (compatibilmente con l’attività lavorativa).

Vorrei parlare delle cover dei tuoi libri. Sono un “parto” personale, oppure ti affidi ad altri? Qualche nome, nel secondo caso?

Ho lavorato come grafico per quasi dieci anni. Per l’editoria, per la pubblicità, per tipografie e serigrafie, talvolta con partita IVA, altre come dipendente. L’esperienza mi ha fornito sia le abilità necessarie per realizzare illustrazioni da solo (la serie “Le Ombre di Marte” mi vede anche come copertissima per tutti i volumi) sia le conoscenze negli ambienti giusti, come il grande Daniele Scerra, amico, socio ai tempi in cui facevo il grafico e illustratore di grande talento, riconosciuto internazionalmente (peraltro suona basso e chitarra con me nei TWM), che ha realizzato due meravigliose copertine per i miei romanzi fantasy, nonostante sia sempre impegnatissimo.

Quale cover ti è piaciuta di più? E perché?

La mia cover preferita è quella che Daniele ha fatto per “Il Sangue dell’Immortale”, il secondo volume della mia serie fantasy. Aine, raffigurata con un piccolo drago sulla spalla, è così viva che alcuni non credono sia stata disegnata. Mi piacque al punto che da modificare la descrizione stessa del personaggio nel romanzo (veste in modo più discinto di quanto avessi inizialmente pianificato, ma è un capolavoro e come tale non avrei osato chiedere variazioni).

Mai pensato alla produzione di un’opera “completa”? Racconto, disegni e musica? Un graphic novel con la colonna sonora?

Adoro lavorare in modo interdisciplinare e adoro ogni forma d’arte. Tutti i dischi dei TWM sono “concept” che raccontano una storia, a volte dedicata a un quadro (“Secret Gardens” del 2009, la cui copertina è un bellissimo quadro di Monica Jsler), altre volte racconti, libri o arte visuale. Nei primi era mio fratello Duilio (chitarre acustiche per i TWM e autore con due “Città di Torino” e un “Cesare Pavese” tra i numerosi premi letterari ricevuti) a scrivere le storie (“The Alchemist”, del 2005, e “Time Traveller”, del 2007, sono tutt’ora i nostri CD più venduti). Nel 2010, in “Thunder and Lightning”, parte della storia venne anche recitata su fondo musicale (dall’amica attrice Evita Bonino) in 4 tracce del CD. Negli ultimi album sono stati Alain Voudì, Dario Tonani e il fumetto Dark Steam Tales le storie che abbiamo “suonato”. Io penso per immagini e la musica è colonna sonora. Ogni nostra incisione viene integrata in un progetto sonoro di questo tipo. Abbiamo anche realizzato una risonorizzazione di alcuni corti di George Méliès girati tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Vorrei realizzare un corto con danza, narrazione, recitazione e musica. Come mettere in scena la storia dell’alchimista di “The Alchemist”. Ma è un progetto ambizioso e i fondi non sono mai sufficienti.

Ricordi qual è la prima storia che hai letto e come ti ha influenzato?

“La Spada di Rhiannon” di Leigh Brackett fu tra i primissimi. Mi trascinò verso Marte in uno space fantasy le cui influenze si trovano ancora nei miei scritti. Ricordo un romanzo in particolare che mi ha influenzato allo stesso modo: “Lo Hobbit” di Tolkien. Lo lessi quando avevo 11 anni e l’ho riletto innumerevoli volte in seguito (una decina, forse più, ma sono diversi anni che non lo rileggo e non ho tenuto un conto preciso). Mi trascinò nel mondo del fantasy epico, cui mi dedicai per tutta l’adolescenza anche col gioco di ruolo. Ma anche il ciclo di Ambra di Zelazny o la Space Opera di Jack Vance. Oggi leggo di tutto (anche se non più i 50 libri l’anno dell’adolescenza), cambiando anche genere, ma spesso a tema fantastico o di divulgazione scientifica.

Dove sei cresciuto e come ha influenzato la tua scrittura questo fatto?

Dove viviamo, cosa facciamo e come viviamo ha grande influenza su cosa scriviamo, ma non so definire esattamente in che modo. Sono figlio di operai e vivo in una casa in campagna (o quasi) costruita originariamente tutta da mio nonno, che era agricoltore, a venti chilometri da Torino, alla base delle Alpi. Non ho sempre vissuto lì (ad esempio ho vissuto a Roma per sei mesi, e mi sono spostato per mesi alla volta per lavoro, negli anni; ho anche vissuto in Olanda, per un poco, quando stavo per sposarmi… ma questa è un’altra storia), ma ci sono sempre tornato, prima o poi. Quando mio nonno passò a miglior vita era una cascina, con poche stanze complete e una stalla. Oggi, dopo mezzo secolo, è una casa ristrutturata in cui c’è abbastanza spazio per l’appartamento di mio fratello, per il mio e per quello dei miei genitori: ogni generazione ha aggiunto qualcosa alla casa, come ai vecchi tempi, e mi piace abitare lontano dai rumori della città, sebbene sia inevitabile ruotare attorno ad essa per qualsiasi cosa (a partire da cinema e teatri).

Alla fine non sono né campagnolo né cittadino, e nemmeno un montanaro, ma sento convivere tutte queste realtà dentro di me, con le esperienze accumulate. E sono proprio le esperienze passate, le persone che ho incrociato durante la mia vita, l’osservazione delle persone incontrate casualmente, che si possono leggere nei miei romanzi. La vita fornisce materiale su cui scrivere molto più facilmente di qualsiasi altra cosa. Ed è materiale vero, interessante. Così nascono i miei personaggi, sebbene nessuno di loro sia una singola persona specifica bensì l’unione di diverse persone che posso aver conosciuto, e diversi eventi di cui scrivo fanno riferimento a cose che ho vissuto o cui ho assistito o che sono state vissute in prima persona da persone che ho incrociato durante la mia vita (trasposti e adattati al contesto del romanzo in cui vengono inseriti, ovviamente).

Molti autori mettono se stessi nei romanzi, o creano eroi che loro stessi vorrebbero essere. E’ così, per te?

No. So che molti lo pensano e cercano di identificare chi sia l’autore, o a quale personaggio sia più affezionato. Ma i protagonisti dei miei romanzi non sono mai me: li creo come personaggi di un gioco di ruolo, basandomi sulle moltissime persone che ho incontrato. Due cucchiaini del mio medico, una spruzzata di quel signore visto sulla metro, un pizzico della ragazza che era in coda davanti a me alla cassa… Ed ecco che spunta un personaggio. Un esempio pratico: Gunnar Thorsten, da Orologeria, è ispirato a un uomo della spedizione di Amundsen (e inizialmente doveva chiamarsi diversamente, Janssen, ma “Gunnar Janssen” non mi piaceva e lo cambiai). No, io sarei superfluo, fuori luogo, dentro quelle vicende. A volte mi sono inserito per gioco come “cameo” (il Sergente Guthorm ne “Vita Artificiale”, presente poche righe, o Karl, lo speziale, ne “il Signore dei Corvi”, quasi appena menzionato), ma solo poche righe. Se avevate teorie in merito, beh, mi spiace dovervi disilludere.

Sei tu l’autore dei due siti dedicati alla tua attività di scrittore e al gruppo musicale? Se no, chi sono gli autori?

Li faccio e li seguo io, anche se curare siti internet non è mai stata la mia attività preferita (né quella in cui sono più versato), ma sono abbastanza gradevoli e privi di pubblicità. Faccio di tutto per mantenerli leggeri e con tanti contenuti gratuiti da leggere e ascoltare.

I rapporti con i lettori. Usi i social media?

I social media sono la versione moderna del “bar sport”, con la differenza che puoi tenere fuori gli urlatori, le persone sgradite, i maneschi, e comunicare con quelle che vivono in altre città (o all’estero), quelli che fuori dai social non vedresti quasi mai. Mantengo uno stretto controllo sui social: non amo i flame, non vado a caccia di click ma mi piace il rapporto che si viene a creare con alcuni lettori e non c’è modo migliore dei Social per stare in contatto con loro. Inoltre i social permettono di mantenere facilmente i contatti con altri artisti e persone che hanno i tuoi stessi interessi, che siano scrittura, storia, scienza, steampunk o arte. So che può sembrare strano per chi mi conosce ma sono piuttosto timido e introverso, specialmente quando sono immerso in un ambiente nuovo. Alcuni amici mi dicono che sono un “estroverso difensivo”, qualsiasi cosa voglia dire. Quando però mi apro, comunque, mi piace conversare e gli artisti sono sempre gente interessante, indipendentemente dal loro ramo preferito.

Vuoi aggiungere qualcosa?

Intanto grazie per avermi offerto questo spazio e questa occasione. Spero di non avervi annoiato! Spero di potervi incontrare tutti, in fiera, prima o poi.

su internet la mia musica si trova qui:

http://www.thewimshurstsmachine.com

mentre come scrittore mi si trova qui:

http://www.augustochiarle.com

OoO

Su Amazon, Augusto Chiarle lo trovate qui.

http://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_noss_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=augusto+chiarle