Miriam Formenti, Il destino in una stella

Trilogia “Cronache settecentesche”, Volume I

Romanzo autoconclusivo – SelfPublishing

Milano, 1751. Di ritorno da una missione diplomatica nello Stato Pontificio, il maggiore Riccardo Rubino Leoni è oggetto di uno scambio di persona e gli vengono rocambolescamente affidati una ragazza sotto l’effetto del laudano e un incarico molto insolito.

Lei è la principessa Stella Battaglia, sposa infelice di un uomo anziano che non la ama e che la disprezza, e durante quella notte, credendo di vivere in un sogno con l’uomo che ha da sempre desiderato, si offre allo sconosciuto che le sta accanto, concedendosi per la prima volta alla passione.
Solo all’alba, nuda su un pagliericcio e di nuovo in sé, Stella si rende conto che quello che credeva un sogno era invece la realtà. Delusa e spaventata, consapevole di essere stata rapita, riesce a darsi alla fuga tornando, così, alla sua solita vita. Ma nella Milano del XVIII secolo, pur fra mille intrighi e menzogne, il destino ha in serbo ben altri scenari per un amore che non poteva sapere di avere un futuro…

Torna Il destino in una stella * * * *

Con questo titolo, pubblicato per la prima volta da Mondadori cinque anni fa, la Formenti si rifà alla tradizione del grande romanzo d’appendice. La trama è, ovviamente, complessa: lo spunto iniziale fa pensare ad un’opera della Glyn di inizio novecento compreso un rapporto sessuale (meraviglioso, ovviamente) che, nelle intenzioni dei protagonisti, non avrebbe dovuto avvenire e poi numerose peripezie, una più complicata dell’altra.

Quindi nella seconda parte si fa entrare in azione una delle più memorabili cattive dell’autrice, una sorellastra perfida che fa per due (altro che Cenerentola) e che viene stroncata dall’ultima battuta di Stella: “Io non ho sorelle, signora”.

Non manca, come è tipico del genere, qualche reticenza di troppo.

Tenete a mente il personaggio di Calozzi perché sarà il protagonista maschile del seguito.

P.S. Una chicca: considerate il giudizio della protagonista sul nuovo governo austriaco: la Formenti è sempre stata un filino ‘austriacante’. Non per niente è stata l’unica autrice che nel volume celebrativo del Risorgimento “Amori sull’ali dorate” aveva ‘osato’ introdurre la storia d’amore fra un’italiana e un austriaco.

Simona Liubicich, Allo scadere della Mezzanotte

SelfPublishing

Agatha Sullivan, restauratrice di antiche ville, si ritrova in eredità una casa nei pressi di Folkestone, lungo le bianche scogliere di Dover.

“La vecchia signora” – come la chiama lei – era appartenuta allo zio Jonas, sir Manchester, apparentemente morto in Argentina dopo essere scomparso nel 1970 senza lasciare traccia.
La scoperta della villa è stupefacente: nonostante gli anni, essa ha conservato al suo interno i mobili originali e, quando Agatha scopre uno studiolo sito in soffitta, accade qualcosa d’inverosimile.

Nascosto dietro una libreria c’è un passaggio, ma non un passaggio comune: un varco temporale che la riporta indietro di centodiciassette anni, al 1899, nella stessa casa.

Qui Agatha scoprirà segreti, un mondo completamente diverso e… Lord Thomas Witten di Alkham, un nobile banchiere dal fascino irresistibile. Un uomo diverso, legato alle tradizioni dell’Inghilterra vittoriana, vedovo e padre di una bimba di cinque anni.

Scontri, incomprensioni e un’attrazione fatale immersa in nell’atmosfera natalizia di fine Ottocento che scadrà il ventisei dicembre a mezzanotte, quando il passaggio si chiuderà per dieci lunghi anni.

Quale sarà la scelta di Agatha? Tornare nel suo mondo o credere all’amore ancora una volta?

Una storia romantica avvolta dal profumo di Natale.

Un time travel di buon livello * * * *

Mi piacciono i time travel, sempre che si basino su una buona documentazione. Certo la polemica dell’autrice contro l’età vittoriana è forse un po’ troppo accesa e la contrapposizione fra Agatha e Thomas è davvero decisa. L’eroina non è per niente simpatica con la sua quasi totale libertà sessuale (fin dall’adolescenza) e un comportamento spesso più maleducato che schietto. Al punto che pure una donna moderna finisce per solidarizzare con Thomas che, poveraccio, fa del suo meglio e, per l’epoca, ha persino una mentalità aperta.

La cosa più interessante è però naturalmente il cosiddetto ponte di Einstein-Rosen, cioè il passaggio temporale che, secondo un’ipotesi ancora non confermata, potrebbe rendere davvero possibili i viaggi nel tempo. I nostri protagonisti dovranno decidere se essere felici nel passato o nel presente oppure infelici entrambi ognuno nella sua epoca. Quale sarà la loro decisione si capisce abbastanza presto.

Linguaggio arcaicizzante.

Virginia Dellamore, Il diavolo e la rosa

SelfPublishing

Yorkshire, Inghilterra, 1836. La vita è stata generosa e allo stesso tempo avara con Rosalynn. Le ha donato la bellezza ma l’ha privata dell’affetto di una famiglia. Da ventun anni, infatti, vive nello stesso orfanotrofio nel quale è stata abbandonata quando era piccolissima, e la sua esistenza è tutto fuorché idilliaca. La perfida direttrice dell’istituto, che nutre verso di lei una particolare antipatia, l’ha relegata ai compiti più faticosi e miserabili. Rosalynn trascorre le sue giornate lavorando e coltivando sogni segreti alimentati dai libri che legge. Libri che si procura di nascosto: al calar della sera, mentre le ombre dilagano nella brughiera, sgattaiola dal convitto e raggiunge il castello di Harwood a poche miglia di distanza.

Il maniero è disabitato, ma lei ha scovato un’imposta rotta ed è riuscita a entrare. Ogni giorno, attraversando un dedalo di grandi sale ricoperte di polvere e detriti, raggiunge l’immensa biblioteca ancora piena di volumi. Non ha mai incontrato nessuno, muovendosi sempre indisturbata.
Una sera, tuttavia, la solitudine dei luoghi subisce una brusca interruzione. All’improvviso, Rosalynn ode dei passi umani e si scontra con un uomo che afferma d’essere Lord Beaumont Harwood, proprietario del castello e di tutto ciò che esso contiene.

Benché coraggiosa, non può fare a meno di esserne intimorita: il conte non è soltanto un uomo dai modi scortesi, ma è anche l’individuo più spaventoso sul quale abbia mai posato lo sguardo. Il suo volto è ricoperto di ustioni e cicatrici ed è privo di una gamba al posto della quale indossa un terrificante arto finto. In più, la accusa di essere una ladra e minaccia di condurla in prigione per averlo derubato.

Rosalynn si trova costretta ad andare a vivere al maniero, assunta come domestica, per ripagare il furto commesso.

La vita al castello è più dura del previsto. Se ciò non bastasse, Lord Harwood non è affatto un gentiluomo: la gente del villaggio lo ha soprannominato “la Bestia” a causa del suo aspetto e dei suoi modi.

Per forza di cose, vivendo sotto lo stesso tetto, Rosalynn comincia a conoscerlo meglio, scoprendo che dietro la sua apparenza intrattabile si cela un uomo ferito dalla vita, trafitto dal peso di tragiche colpe passate e ormai rassegnato a vivere nascosto.

Nel contempo, i segreti riguardanti le origini di Rosalynn e l’identità dei suoi genitori si rivelano non meno misteriosi e tragici, e tutto sembra precipitare verso un epilogo drammatico…

Sullo sfondo della cupa brughiera inglese, un romanzo liberamente ispirato alla favola della Bella e la Bestia. La storia di una passione tormentata e di un sentimento purissimo capace di guardare oltre l’apparenza, sgretolare i pregiudizi e dimostrare che la vera bellezza non ha a che fare con la perfezione del corpo ma con l’armonia dell’anima.

Ancora la Bella e la Bestia * * *

La vicenda si presenta chiaramente come un rifacimento della celebre fiaba: all’inizio approfondisce bene la psicologia dei protagonisti, ma presto si complica con varie peripezie da romanzo d’appendice ed è lunga e lenta, davvero troppo lenta, considerato anche il fatto che talvolta l’autrice moltiplica i punti di vista, raccontando due volte lo stesso avvenimento, cosa per me sempre sgradevole.

Quanto alla sinossi è lunga quanto un libro.

Le recensioni de L’Artiglio Rosa (Maria Teresa Siciliano-Matesi)