“Da quando ho smesso di bere e di drogarmi, ho ripreso a scrivere canzoni: molte, spesso all’altezza delle mie migliori” (David Crosby)

Nel 1971 usciva “If I could remember my name”, primo album solista del cantautore statunitense.

“If I Could Only Remember My Name è il testamento musicale di un’epoca, spazzata via da un vento portatore di nuovi ideali che soppiantano quelli preesistenti, al punto da farli apparire già vetusti nonostante siano passati solo pochi anni dalla loro gioiosa ondata rivoluzionaria. Dal primo all’ultimo solco di questo disco si respira un’atmosfera complice, un’atmosfera che sa di club privato, ad uso e consumo di pochi intimi, quando la festa è finita e a spegnere le luci per ultimi rimangano solo gli amici più fedeli, ignari che quel tramonto premonitore fotografato in copertina possa segnare la fine di un’epoca.” (Stefano Pretelli, Ondarock)

La cultura del folk
Si è sempre detto che le due più importanti forme di cultura espresse dagli Stati Uniti siano il jazz e il western. Spesso si dimenticano altre due grandi forme d’arte che hanno avuto origine negli States: il blues e il patrimonio del folk, espressioni intime e profonde del dolore e la rabbia dei neri costretti alla schiavitù e ideali di libertà rappresentati dai ‘grandi spazi’ di questo giovane Paese. Musicisti come Hank Williams, Bill Monroe (il padre del bluegrass), Woody Gothrie, Johnny Cash, Bob Dylan e Joan Baez hanno dato dignità a questa meravigliosa forma d’arte, una descrizione poetica e crepuscolare del ‘cuore pulsante’ degli Stati Uniti.
David Crosby, classe 1941, prima con i Byrds negli anni ’60, poi con il leggendario quartetto composto da Stills, Nash & Young ed infine con una straordinaria carriera solista, ha proseguito questa grande tradizione musicale che ha accompagnato le grande battaglie civili e di libertà degli ultimi cinquant’anni.
Questo anziano e baffuto signore di 74 anni è il simbolo vivente di una stagione irripetibile quando il significato della sua musica era amore, libertà e speranza per un mondo migliore.
La carriera professionale di David Crosby iniziò nel 1964 quando insieme a Roger McGuinn fondò i Byrds, uno dei gruppi più importanti e significativi della musica statunitense degli anni ’60. Era una sorta di risposta folk agli inglesi Beatles. Nel 1967 incontrò il polistrumentista Graham Nash, l’anno seguente fu la volta del chitarrista Steve Stills e nel 1969 il cerchio si chiuse con il coinvolgimento del canadese Neil Young: nacque il leggendario quartetto dei Crosby, Stills, Nash & Young che contribuì in maniera decisiva all’evoluzione del folk statunitense con la fusione del blues e del rock. Il primo album del quartetto fu “Dèjà vu”, (1970) uno dei dischi fondamentali della musica statunitense di tutti i tempi. L’anno seguente David Crosby debuttò come solista con un disco considerato unanimemente una pietra miliare del sound californiano.

Genesi di un capolavoro
Dopo il trionfo mondiale di “Dèjà vu”, David Crosby decise di mettersi alla prova con un disco solo a suo nome. Per questo disco decise di coinvolgere “la crema” della musica californiana, di quella west-coast tanto famosa e amata in tutto il mondo. All’appello risposero Jack Casady, Jerry Garcia, Joni Mitchell,  Jorma Kaukonen, Grace Slick, Neil Young, Graham Nash, Gregg Rolie, Michael Shrieve e Laura Allan.
L’album, prodotto dallo stesso Crosby fu registrato per gran parte del 1970 a San Francisco, la città simbolo del movimento hippie e delle manifestazioni pacifiste contro la guerra del Vietnam. Le nove canzoni che compongono l’album sono la massima espressione artistica dell’evoluzione del folk statunitense con evidenti contaminazioni del blues, del rock e della psichedelia tipica di quegli anni.
Il brano di apertura, “Music is love” è una sorta di manifesto esistenziale di Crosby, mentre la seguente “Cowboy movie”, lunga, acida e sognante, descrive il simbolo dei grandi spazi delle praterie americane e della solitudine durante i suoi viaggi a cavallo; in “Tamalpais high”, gli straordinari cori sono protagonisti assoluti in un brano dolce e ipnotico. Tutto il disco è pervaso da uno stato di grazia creativa e da un tocco molto delicato. “If I could remember my name”, sin dal suo titolo evocativo e allusivo è un sogno messo in musica. Un sogno meraviglioso, sospeso e caratterizzato dalla perfetta fusione di suoni acustici ed elettrici. La voce di Crosby così intensa, vivida, profonda conduce le danza in un misticismo onirico unico e irripetibile. Senza questo disco le carriere degli Eagles, degli America, di Jackson Browne e di John Denver non avrebbero preso quel corso durante gli anni ’70.
David Crosby rimane una figura fondamentale nel panorama della musica statunitense degli ultimi cinquant’anni. Un musicista estremamente sensibile, creativo che ha sempre alternato forza, dolcezza e fragilità nella sua carriera e nella sua vita.