Memorie di tono completamente diverso e che dimostrano ben altra consapevolezza politica e culturale quelle di Marie-Jeanne “Manon” Philippon (viscontessa de la Platière, 17 marzo 1754- 8 novembre 1793). Madame Roland fu infatti una delle figure più importanti fra i Girondini, il gruppo politico di Brissot e Vergniaud, che ebbe la maggioranza e detenne importanti incarichi di governo durante tutta l’Assemblea Legislativa.

Brissot e Vergniaud, capi girondini

Queste memorie, edite complete soltanto nel 1905, sono in realtà il risultato dell’assemblaggio di due gruppi di manoscritti redatti da Manon Roland durante la sua prigionia, dal giugno 1793 al novembre dello stesso anno. Manon Roland, infatti, fu imprigionata insieme ad altri Girondini, che non vollero o non riuscirono a scappare da Parigi, a seguito delle giornate del 2 giugno 1793, quando le sezioni popolari si imposero sulla Convenzione Nazionale e, con l’appoggio dei capi Montagnardi, ottennero la destituzione dei deputati Girondini, accusati di essere troppo moderati.

La donna aveva concepito due opere diverse, una centrata su temi politici, l’altra, invece, una vera e propria autobiografia. I testi sono entrambi molto interessanti. Se la parte autobiografica è una miniera di informazioni non solo sulla vita dell’autrice, ma sulla formazione e il percorso intellettuale di una donna della borghesia tra secolo dei Lumi e Rivoluzione (e per questo è una fonte preziosissima per la storia della mentalità, del costume e dell’educazione), la parte politica, anche se non uguaglia la profondità degli scritti di altri rivoluzionari il cui apporto alla teoria della Rivoluzione è senz’altro più originale e incisivo, è importante di per sé: che una donna si senta a tal punto parte della Rivoluzione e delle sue dinamiche politiche da voler dire la sua e lasciare, in fondo a questa serie di riflessioni, un proprio testamento politico è già di per sé un fatto eccezionale. Inoltre i suoi scritti sono particolarmente chiari e accurati.

Mémoires de Madame Roland, facsimile dell’edizione di Henry Plon (Parigi, 1864).

Infatti, in quello che è un vero e proprio testamento politico, dichiara la propria fede negli ideali del marito, nel coraggio e nell’amore per la libertà: insomma gli ideali di una consapevole rivoluzionaria, non certo di una donna che si trova per caso al centro della Rivoluzione. Non è un caso che persino il suo autoritratto sia molto simile a quello che di sé ci lasciano i nomi più noti tra i rivoluzionari. Manon si rappresenta, come tanti uomini e donne dell’epoca, con modalità che riecheggiano i ritratti dei grandi uomini della storia romana. Dice di se stessa, in un autoritratto quasi sallustiano, di essere dolce e affettuosa, ma di carattere forte e determinato.
Quello che colpisce delle memorie private è che Manon sottolinea più volte l’importanza che i libri e la lettura hanno rivestito nella sua formazione. Anche se per tutto il Settecento, la lettura è un passatempo diffuso per le donne della nobiltà e dell’alta borghesia, Manon Roland si distingue per la vastità delle proprie letture, che non si limitano soltanto a romanzi, ma spaziano tra storiografia, letteratura e filosofia, in un itinerario poliedrico e illuminista. Due sono gli autori che anche su di lei hanno grande presa, Plutarco e Rousseau. Plutarco per lei, come per molti della sua generazione, era l’autore che esemplifica l’ideale repubblicano e l’amore per le virtù civiche e per la libertà che costituiranno le basi di molti pensieri politici della Rivoluzione. Rousseau, non tanto quello del Contratto sociale, ma quello più lirico della Nuova Eloisa e delle Passeggiate fornisce invece una nuova prospettiva di vita intima e domestica.

Plutarco e Rousseau

Manon Roland non è una docile fanciulla rousseauiana, contenta di godere della natura e di dedicarsi interamente alla cura dei figli, ma si rivela un’intellettuale acuta e un’instancabile organizzatrice politica, secondo il modello inaugurato da Madame de Pompadour e che sarà poi d’ispirazione alle grandi donne della Stagione Romantica, come Madame de Stael.
Lei stessa ci racconta come due volte alla settimana ospitasse in casa sua delle cene con l’élite politica dell’epoca, una dedicata ai colleghi del marito, che allora ricopriva la carica di Ministro dell’Interno, l’altra, invece, con persone influenti in campo sia politico che economico. É proprio in queste riunioni che si formerà il gruppo moderato poi noto come Girondini.

                 Mme Roland e l’ordine di esecuzione

Manon Roland non si limita a fare le veci della perfetta padrona di casa, ma si interessa di politica, pur stando attenta a non sfidare le convenzioni sociali. Pur rimanendo formalmente al di fuori delle riunioni più politiche, non sedendosi al tavolo delle discussioni, rimane vicina e ascolta tutto con attenzione, scrive o ricopia lettere importanti. Lei stesso confessa la sua fatica talvolta a trattenersi dall’intervenire in maniera più decisa.
Se l’autrice non è dunque una proto-femminista come lo furono altre personalità della Rivoluzione francese, come Claire Lacombe, Pauline Léon o la più famosa Olympe de Gouges, di sicuro non è una donna sottomessa ed è ben consapevole di avere delle opinioni. Soltanto, per convenienza e probabilmente per non danneggiare la reputazione del marito, personalità molto meno forte di lei, preferisce non dare scandalo. La preoccupazione quasi ossessiva, tipica della nascente società borghese, per le apparenze e la paura delle critiche rivolte dai pari è qualcosa che da sempre angoscia l’autrice ed è ben comprensibile come in tempi convulsi come quelli della Rivoluzione Francese, nei quali una sola parola può bastare a far cadere in disgrazia e persino a mandare al patibolo, l’attenzione che ella vi ponga sia ancora maggiore.
Per questo afferma di non voler essere una scrittrice, perché, afferma, una donna scrittrice avrà una vita tremenda: sarà criticata dalle altre donne e non otterrà la stima degli uomini, che la derideranno se le sue opere saranno brutte o negheranno che le abbia scritte lei, se saranno belle. E in ogni caso, dato che si è esposta pubblicamente, cercheranno ogni difetto e ogni pretesto per attaccarla.
Dobbiamo credere davvero a questo assunto o non è forse una preterizione?
Magari Manon Roland non voleva essere una scrittrice di romanzi (come ve ne erano già state in Francia), ma una scrittrice politica sì.
E come non percepire nella situazione da lei descritta un’eco del sessismo che ancora condiziona la vita di molte di noi, scrittrici incluse?

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