Adoro cucinare. Lo considero un atto rivoluzionario, se per rivoluzione s’intende l’attitudine a praticare atti di gentilezza a casaccio. Per me cucinare è come dispensare felicità.
Questa è la prima frase che si legge per conoscere “Mira e Mangia” (LINK http://www.miraemangia.it/ ), il sito di Mira Pirata dedicato alla sua occupazione: la cucina. L’impressione che ne ho avuto immediatamente è quella di cibo come recupero della vita in quanto “piacere” e non “dovere”, insomma quel sano dedicarsi ad attività necessarie al vivere quotidiano senza dimenticare quanto possano far bene al cuore sia di chi prepara sia di chi degusta. Inoltre ritengo che la cucina non sia solo una scienza precisa fatta di bilancia e segreti, ma anche felicità di preparare cene assieme ad amici che hanno bisogno per un istante di allontanare i pensieri dalle batoste della vita, sciogliendo la tristezza tra ingredienti, risate e cottura.
Vediamo cosa ci dice Mira a proposito…
Curiosando nel tuo sito, mi è parso di capire che la cucina rappresenti per te il dedicarti a un mestiere più “a misura d’uomo”. Ce ne vuoi parlare?
Prima di dedicarmi a tempo pieno alla cucina il mio lavoro era un altro. Mi occupavo di risorse umane e, se in un primo momento questa attività aveva identificato una scelta ben precisa, ossia stare a contatto con le persone e crescere insieme a loro, con l’avvento della crisi lo scenario è cambiato. Il mio ruolo adesso prevedeva l’ottimizzazione delle strutture aziendali con conseguente ridimensionamento delle risorse. Da qui l’esigenza di cambiare aria e di ricercare una condizione professionale che potesse essere in accordo con la mia etica e la mia morale. Quello della CUOCHESSA IN AFFITTO è decisamente un lavoro a “misura d’uomo” (trovo questo termine cosi come l’intrinseca differenza di significato tra BUONA DONNA E BUON UOMO un abuso di genere ma questo è un altro discorso). Certo la retribuzione non è neanche paragonabile a quella precedentemente percepita ma anche le mie esigenze sono diventate più a “misura d’uomo”, quasi un down shifting morale, etico ed ecologico.
Non sei solo la depositaria di una quantità di ricette incredibili, ma organizzi anche corsi di cucina. Ritieni sia importante al giorno d’oggi che la gente riprenda contatto con ciò che mangia invece che avventarsi al banco surgelati col cronometro?
Per le numerose ricette devo ringraziare tutte le donne della mia grande e faticosissima famiglia con tratti decisamente mediterranei. Sono sicula e in Sicilia il cibo ha a che fare con i sentimenti (una volta mia nipote Clelia disse: «Il nonno, per farti capire quanto ti vuole bene, ti regala delle braciole») e le ricette altro non sono che TI AMO sussurrati tra una pentola e l’altra. Tenere corsi di cucina è una delle mie passioni perché mi consente di fare formazione attraverso qualcosa che di accademico ha ben poco. La gente che frequenta i miei corsi non solo riprende contatto con il cibo, sviluppando un certo senso critico per ciò che viene ingerito, ma prende confidenza anche con la propria pancia, sede per eccellenza dei sentimenti. Basta pensare a come la nostra lingua sia intrisa di luoghi comuni e proverbi che collocano i sentimenti proprio all’altezza dello stomaco: “Ho le farfalle nella pancia” oppure “Ho un vuoto allo stomaco” e ancora “Mi si sono attorcigliate le budella” e potrei continuare. Sovente mi capita di ricevere dei messaggi di ringraziamento non tanto per quella o l’altra ricetta, ma per aver compreso che la pancia è la casa del cuore.
La cucina, come dicevo sopra, è sempre stata per me un elogio alla convivialità. Pensi che la scelta delle materie prime sia un atto d’amore verso i convitati?
Sì, lo penso e lo pratico. Quando vado a far la spesa per una cena o un evento, penso sempre ai miei commensali. A coloro che fiduciosi si accingeranno a mangiare qualcosa da me preparato. Ci penso quando scelgo un prodotto stagionale anziché uno coltivato in serra, quando scelgo un prodotto italiano invece di uno che proviene da oltreoceano. Penso a loro quando manipolo il meno possibile le pietanze e lascio che siano esse stesse a imprimere il giusto senso allo stare insieme intorno a un tavolo.
Gli ingredienti industriali stanno creando enormi problemi di salute alle persone. Cosa ne pensi delle coltivazioni di farine antiche e dei prodotti “a km zero”? Sono compatibili con lo stile di vita odierno?
Difficile dare una risposta esaustiva e competente non dilungandomi sino alla noia mortale. Ritengo seriamente che le composizioni industriali diano realmente dei seri problemi di salute, come tutte le cose chimiche a cui si ci espone in modo reiterato e costante. Questo vuol dire che un consumo occasionale di sofficini non è determinante nell’insorgere di patologie croniche e metaboliche. Un consumo quotidiano, sì. Preferisco farine non raffinate, per ovvi motivi di salute e nel mio caso anche d’identità culinaria e tradizione. Preferisco i prodotti “a Km zero” ma verifico anche la compatibilità con il territorio e sopra ogni cosa la stagionalità. Mi spiace ma le ciliegie a dicembre sono ossimori oltre che tossiche. Con una buona organizzazione e cambiando un po’ lo stile di vita, ci si può accorgere che il tempo e l’impatto economico necessari per fare una spesa al supermercato sono i medesimi necessari per fare una spesa intelligente, economica e sana. Magari all’inizio ci sembrerà più dispendiosa ma alla lunga si vedranno gli effetti benefici.
Proponi di portare la tua arte culinaria “nelle case della gente, nelle cucine di altri cuochi e in tutte le occasioni dove urge felicità”, ma il cuoco che cucina per rendere felici gli altri è a sua volta felice?
La cuochessa è felice. Altroché se lo è! È un lavoro dell’età adulta quello che faccio. Questo lavoro me lo sono scelta con consapevole felicità. Certo, ci vuole molto più coraggio a essere felici che a piangersi addosso, e una scelta presuppone in qualche modo una rinuncia, ma le facce contente e pasciute dei miei ospiti mi riempiono di gioia e mi fanno dimenticare le fatiche necessarie per pastellare trecento arancine di riso, ad esempio!
Il Natale non è solo sinonimo di felicità, purtroppo ci sono molte persone che lo vivono con estrema tristezza. Puoi dare un suggerimento sentimental-culinario a tutti noi “cuori infranti dalle palle pesanti”?
A tutte le anime infrante auguro in primis di trovare un accordo accettabile con le proprie dittature interiori e, se dovessi dare un suggerimento sentimental-culinario su cosa mangiare la notte di Natale, beh non esiterei a dirvi di preparare il brodo: caldo, ristoratore, condona anche le anime più inquiete; pettina pancia e sentimenti. Profumato come un balsamo per l’anima.
Immagino che “Pirata” sia il tuo soprannome, a cosa dobbiamo questo amore per la pirateria?
“Pirata” è un soprannome che mi è stato dato dalla vita. Ho numerose cicatrici alla coscia sinistra e puntualmente al mare arriva la solita domanda: «Mio Dio, ma cosa hai fatto?!». Sovente rispondo che quando ero giovane ero imbarcata in un galeone di pirati e, durante una tempesta, lo stesso si ribaltò e laggiù vi erano degli squali etc etc… beh, la storia piace molto ai bambini, meno a un certo tipo di adulti… eheheh. Detto questo, invece è il soprannome che meglio descrive la mia indole errante. Del viaggio perenne. Della ciurma a bordo. Di un sodalizio che solo chi è pirata conosce fino in fondo.
Dove possiamo seguirti e prenotare la tua arte e quali sono i servizi che offri?
Potete seguire le attività del tinello nel mio sito o sulla pagina facebook. Ma meglio chiamatemi a casa e io vi risponderò: 039/6957390.
Mira è proprio una gran persona e la sua intervista mi ha messo una fame! Visto il periodo di festività, direi che ne approfitterò per concedermi un bel regalo… e voi cosa state aspettando?
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