Tra un esame universitario e l’altro, Federica D’Ascani si è volentieri sottoposta a una batteria di domande sul romanzo appena uscito per Triskell Edizioni, “Una stella piovuta dal cielo” (QUI il link per comprarlo).
Comincio con una domanda banale, sperando che la risposta non lo sia altrettanto: il romanzo nasce da un’esperienza personale molto importante. Ce ne vuoi parlare? Prendila alla larga quanto ti pare.
Vado dritta al punto. L’idea di Una stella piovuta dal cielo credo sia nata qualche anno dopo l’adozione definitiva di mia sorella Claudia. Ricordo che a scuola, al liceo, scrivevo poesie su di lei. Volevo imprimere su carta la moltitudine di emozioni e sensazioni che quell’evento, l’arrivo di una bambina in casa, comportava. Eppure mi ritrovavo a descriverne sorriso e occhi, mai ciò che provavo io nell’approcciarmi a lei. Non era tanto il fatto che fosse disabile, non tanto il fatto che avesse quegli occhi a mandorla (la prima volta che provai a truccarla ne invidiai addirittura la linea perché io non sarei mai riuscita a ottenere una sfumatura figa come quella che invece riuscivo a disegnare su di lei), ma proprio il fatto che un individuo esterno era diventato all’improvviso, magicamente, un membro della mia famiglia. Mia sorella.
Il romanzo non si focalizza però sull’adozione e le conseguenze per i componenti della famiglia, Flor in particolare.
No, certo. Una Stella piovuta dal cielo non descrive soltanto me stessa e il mio rapporto con l’affidamento temporaneo di mia sorella; questa storia rappresenta lo spaccato di vita di un’adolescente qualsiasi alle prese con il quotidiano. Non tutti hanno a che fare con il bullismo, è ovvio, ma (quasi?) tutte le ragazze dovranno subire prima o poi questa o quella battuta volgare, questo o quell’approccio indesiderato. E proprio nell’età in cui si trova Flor, tra i 15 e i 16 anni, se non prima. Sicuramente dopo.
Il terzetto di bulli che perseguita Flor. Fanno venire i brividi, sinceramente.
La triade del male, il terzetto di bulli che angaria Flor, ci va giù pesante, utilizza parole forti, la fa sentire un pezzo di carne vessandola e sminuendola: i tre maledetti la desiderano, eppure le fanno credere di detestarla; la vogliono carnalmente, quasi ne invidiano ogni cosa, dal carattere alla vita personale, eppure tendono a sopraffarla, a farla sentire una nullità. Non è stato un caso, per me, averli descritti in questo modo. La violenza psicologica derivante dal bullismo si sviluppa per questo e causa problematiche personali dalle radici così profonde che determinarne il fulcro, in età adulta, spesso è difficile se non impossibile.
Un periodo difficile l’adolescenza, anche senza dover fare i conti con i bulli o con l’adozione di una bambina disabile.
Proprio durante l’adolescenza, una persona si trova a dover affrontare delle prove assurde, di una ferocia inaudita, e spesso deve anche fare i conti con i genitori, con la loro ostilità, con la loro voglia di regole e rispetto. Rispetto per ogni cosa: orari, autorità, importanza di ruoli, apparenza. Apparenza. Perché è il momento dell’educazione, è l’età della formazione del carattere. Ma è anche il periodo più fragile, credo, di un essere umano. Per questo alcuni ragazzi si tolgono la vita. Per questo non denunciano ciò che accade loro, ciò che vedono. E vengono additati per quell’accesso a internet che gli adulti stessi forniscono loro, per quella voglia di condivisione del macabro, di cui gli adulti stessi danno prova quotidianamente sui social.
La famiglia che presenti è una tipica famiglia italiana della piccola borghesia.
Ho voluto descrivere una famiglia unita, presente, ma la realtà spesso ci insegna che non è così, che i ragazzi spesso sono davvero soli. Se pensiamo che molti adulti finiscono in terapia per una storia d’amore finita, come facciamo a minimizzare le relazioni dei nostri figli? Come possiamo bollare i loro problemi con le due parole magiche “paturnie adolescenziali”? Sembra che i loro pensieri non contino, che la loro impotenza dipenda da una sorta di stupidità, che la loro immaturità sia una colpa e non un processo naturale attraverso cui siamo passati tutti.
Adolescenza e amore. Nel romanzo presenti due “oggetti d’amore”, Tiziano e Renzo.
Nell’adolescenza di Flor si incunea la presenza di Tiziano, il mio eroe, ma anche quella di Renzo, l’imbroglione, l’ombra, l’amore sfacciato che si rivela essere superficiale e specchio di ciò che la società vorrebbe. Renzo è bello, bravo, studioso, educato. Ma anche no. Tiziano è grande, con un passato oscuro, “pericoloso” (e strafigo. E strafigo, aggiungo. L’ho detto strafigo?!). Ma anche no. Entrambi ronzano intorno a Flor, ma solo uno di loro genera in lei il fastidio latente che determina un allarme. Allarme di cui bisognerebbe sempre tenere conto, che dovremmo insegnare noi stessi a guardare con sospetto, ma che a causa della vita, della società, di ciò che pensano gli altri, di ciò che vogliono i genitori e gli amici, non viene preso in considerazione.
Una TUA valutazione sul romanzo.
Una stella piovuta dal cielo credo sia, a oggi, la mia opera più completa. Perché parla di un personaggio preso nella sua totalità, caratterizzato da momenti morti che tutti viviamo, pensieri cattivi e meschini che tutti accarezziamo, emozioni intense e ripensamenti repentini. Che tutti, ragazzi miei, sperimentiamo.
Sì, Flor è la mia eroina!
Qualche annotazione tecnica per concludere? Ispirazione, scaletta…
Quando inizi a riflettere su che tipo di storia vuoi scrivere, su quale sia il messaggio che desideri trasmettere (sempre che ce ne sia uno), vagli milioni se non infinite possibilità. Molti scrittori si siedono alla scrivania con il vuoto cosmico nella mente, aspettando che siano le idee a piombare loro addosso (tipo incudine nei fumetti); altri preferiscono aspettare di avere un’idea ben precisa, altri ancora non sollevano un dito se non hanno prima redatto una scaletta. Scaletta che può essere più o meno dettagliata. Personalmente faccio parte della seconda fazione, anche se in una maniera tutta mia. La scaletta non la butto giù, altrimenti mi sembra di aver già scritto il libro e psicologicamente mi tiro indietro. Per questo ho un po’ di difficoltà quando devo scrivere una sceneggiatura, perché con il soggetto ho già detto tutto!
Grazie mille per questo spazio, Baab!
Tu e il libro lo meritavate, cara.