Gino Marchitelli si divide equamente tra lavoro, scrittura e impegno sociale. Sono riuscita a strappargli un paio d’ore per questa intervista che comincia con i libri, ma si allarga a tematiche che all’Autore stanno particolarmente a cuore.

Perché scrivere? Come è nata questa “necessità” e quando?

Sono sempre stato un buon lettore, soprattutto nel periodo adolescenziale e quando lavoravo sulle piattaforme petrolifere per la ricerca del petrolio in mare. La necessità di scrivere è venuta fuori, all’improvviso, inaspettata, quando per una serie di vicissitudini ho subito danni economici enormi dalle aziende per le quali lavoravo da oltre venti anni [in poche parole, ho perso il lavoro per la mia forte attività politica e sindacale]. In un primo momento, ho pensato che sarei morto, o avrei fatto parte di quel nutrito gruppo di persone massacrate dalla crisi economica iniziata nel 2009; poi, dopo anni di lavoro per pagare i debiti, è arrivato Vittorio Agnoletto, che mi ha spinto a scrivere, cosa che non credevo possibile. Ho trovato e scoperto un “Gino” a me sconosciuto, o comunque dimenticato da troppi anni. Ho ritrovato la parola, la voglia di spiegare, di impegnarmi di nuovo nel sociale e utilizzare il romanzo come forma di denuncia. Questo cambiamento ha avuto origine durante una serie di viaggi per l’Italia nel 2011 e si è poi concretizzato con MORTE NEL TRULLO nel giugno del 2012.

 41mrDYXLqTL._SX346_BO1,204,203,200_Come scrive? Carta e penna, moleskine sempre dietro e appunti al volo, oppure rigorosamente tutto a video, computer portatile, ipad, iphone?

Carta, penna e moleskine quasi sempre con me per non perdere le idee e gli appunti; scrittura solo con il portatile quando sono in giro, fisso in una specie di studio a casa.

C’è un momento particolare nella giornata in cui predilige scrivere i suoi romanzi?

Non ho regole fisse, ma devo dire che la maggior parte delle idee, dei personaggi e delle storie nascono e vengono scritte quando piove e di notte, ad eccezione de IL BARBIERE ZOPPO che ho scritto in gran parte in inverno, con la neve,  proprio nella frazione marchigiana, Braccano di Matelica, dove è ambientato il romanzo, in una casetta di famiglia dove ora vive mia figlia Marta, studentessa all’università di Macerata.

Che cosa significa per lei “scrivere”?

Significa mantenere inalterato il “ricordo” di ciò che siamo stati [dalla Resistenza agli anni 68/69 e poi 77/85…] e continuare a mandare messaggi di impegno e di amore in tempi in cui pare che ci sia un totale assopimento umano, sociale, culturale che devasta il Paese. Dico le stesse cose di sempre non più col megafono in piazza [anche…ndr], ma con le storie per raggiungere e far riflettere più gente possibile. Questa è la mia piccola ambizione.

Ama quello che scrive, sempre, dopo che l’ha scritto?

Più che “amare” mi ritrovo in quello che ho scritto, spesso mi sento davvero dentro molti personaggi ed accadimenti e quando i lettori mi scrivono di essersi emozionati con questa o quella figura e/o storia sono molto contento, anche se non lo do per niente a vedere.

51H4dPX7BjL._SX335_BO1,204,203,200_Rilegge mai i suoi libri, dopo averli pubblicati?

Dopo un po’ di tempo mi capita di riprenderli, soprattutto MORTE NEL TRULLO e IL PITTORE, ma deve passare del tempo, mi devo allontanare dall’impegno e dal pathos che spesso mi crea scrivere. Ho voglia di rileggerli tutti però… lo farò pian piano, visto che nel frattempo continuo a scrivere.

Quanto c’è di autobiografico nei suoi libri? Per esempio, quanto di “Gino Marchitelli” c’è in Lorenzi?

In alcuni libri ci sono storie ed esperienze che ho vissuto in prima persona e/o mi hanno raccontato, così è in QVIMERA per esempio. In MORTE NEL TRULLO mi sono “liberato” di alcuni personaggi che non mi hanno pagato i lavori svolti, mettendo a repentaglio la mia vita: li ho “uccisi” in modo letterario, con grande soddisfazione.

In Lorenzi direi che c’è qualcosa di me: l’amore per la musica prog degli anni ’70 e per i vinili, il quartiere di Lambrate dove sono nato e cresciuto fino al 1978, l’amore per i figli. Il mio lato più profondo, l’onestà – questa sì la ritrovo in Lorenzi, che è onesto e combatte per la giustizia in un mondo fagocitato da interessi politici ed economici, perbenismo gretto, opportunismo e falsità. Credo molto nell’onestà personale e intellettuale delle persone che spesso si esplicita nel condurre una vita semplice, lontano dai riflettori, con gioie, emozioni, amori, e anche tristezze e dolori… la gente “comune”, quella che tiene comunque in piedi una società che non mi piace, ma che riesce ad esprimere ancora nobili sentimenti verso il prossimo, e non in senso prettamente cattolico. Ecco Lorenzi è uno onesto, ma, purtroppo per lui, lavora in polizia e lì i problemi sono tanti… soffre e soffrirà ancora per lungo tempo. Sull’onestà siamo simili, io però sono tra la gente, non “contro”.

51HAIl8bUqL._SL218_PIsitb-sticker-arrow-dp,TopRight,12,-18_SH30_OU29_AC_US218_Quando scrive, si diverte, oppure soffre?

Sono molto coinvolto in quel che scrivo, per fortuna non ho alcun “meccanismo” da scrittore. Amo narrare, come un cantastorie [e infatti suono e canto anche], raccontare gli aspetti più complessi ma anche più belli della vita delle persone. Per questo motivo mi diverto e soffro allo stesso tempo ma, soprattutto, “osservo” i personaggi, ciò che faccio loro fare, le dinamiche, gli amori e via dicendo. Ho sofferto davvero, ma in modo positivo, solo finendo IL BARBIERE ZOPPO. Alla fine, mentre scrivevo e ascoltavo la colonna sonora che inserisco nelle trame [in quel caso “Pugni chiusi” dei Ribelli con la voce di Demetrio Stratos], piangevo anch’io dalla commozione… mah… chissà cosa sono andato a “toccare” di me stesso.

Trova che nel corso degli anni la sua scrittura sia cambiata? E se sì, in che modo?

Man mano acquisto sempre più padronanza nelle parole, amplio il mio vocabolario tanto grande prima del lavoro in proprio e semi distrutto dall’ignoranza generale per aver lavorato nei cantieri edili e con un certo tipo di imprese: un mondo fatto di ignoranti, arroganti, superbi e mafiosi, con zero rispetto per chi lavora, un mondo pieno di banditi in giacca e cravatta. Lavorarvi mi ha messo in contatto con uno dei settori più squallidi dell’imprenditoria del nostro Paese e mi ha “ucciso” le parole, il significato delle frasi, i pensieri… ecco la mia scrittura man mano è cambiata nel senso che torno a trovare le parole, a riconoscerle e usarle.

51lLv2gicuL._SL218_PIsitb-sticker-arrow-dp,TopRight,12,-18_SH30_OU29_AC_US218_Nello scrivere un romanzo, naviga a vista come insegna Cotroneo, oppure usa la scrittura architettonica, metodica consigliata invece da Bregola?

Dipende, a vista no nel senso che quando mi viene in mente una storia di solito so dove voglio andare a parere e come farla finire… da qui poi si sviluppano l’ambientazione, i personaggi, le relazioni. Dal punto di vista “fisico” vado a camminare, passeggiare e rivedere i posti dove faccio agire i personaggi: poi, ovviamente, man mano studio le dinamiche delle indagini, delle forze dell’ordine, della medicina che non conoscevo e sulle quali mi informo. Quando scrivo romanzi come IL BARBIERE ZOPPO, invece, ho letto una dozzina di libri scritti durante il fascismo e relazioni di gente che lo ha studiato per capire come si parlava e come si viveva sotto la dittatura perché un conto è “saperlo politicamente” [io sono antifascista nrd.], un conto è andare a conoscerlo nelle dinamiche quotidiane, nei soprusi, nelle porcherie che ha commesso in Italia e nelle colonie. Poi sono andato a studiare la storia dei gruppi partigiani di Braccano, ho letto testi e biografie, sono andato a camminare sui loro stessi sentieri. Ecco, in quel caso ho davvero fatto anche un gran lavoro storico che ho poi tradotto in “romanzo”.

Quando scrive, lo fa con costanza, come faceva Trollope, oppure ai lascia trascinare dall’incostanza dell’ispirazione?

Ha ragione Hemingway, bisognerebbe scrivere tutti i giorni, con disciplina, anche se stai lì e non ti viene niente in testa. Farlo come se fosse un vero e proprio lavoro. Io purtroppo, complice anche la mia attività di artigiano elettricista che devo svolgere per campare, non riesco a farlo tutti i giorni. Ho periodi più prolifici durante i quali sono capace anche di scrivere per dieci giorni di fila e altri quando vorrei ma non ho tempo. Mi piacerebbe fare solo questo, ma gli autori sono pagati davvero in modo miserrimo, paragonabile ai peggiori voucher e sistemi del jobs act e quindi per la pagnotta bisogna fare impianti e devo accontentarmi di mediare. Certo questo penalizza il mio lavoro letterario.

51TlQ+6qajL._SL218_PIsitb-sticker-arrow-dp,TopRight,12,-18_SH30_OU29_AC_US218_Tutti dicono che per scrivere bisogna prima leggere. È un lettore assiduo? Legge tanto? Quanti libri all’anno?

Bisogna leggere, concordo. Anche quando ho scritto le prime bozze di MORTE NEL TRULLO [con tutte le particolarità prima citate] mi accorgevo man mano che c’erano un sacco di errori, di parole non corrette che necessitavano di altre descrizioni che in un primo momento non trovavo. Mi ha aiutato l’aver letto tantissimo prima del lavoro in edilizia, però ho ripreso a leggere molto, moltissimo. Svariati generi. Oramai arrivo a leggere tra i 50 e i 90 libri all’anno e provo una grande soddisfazione. È bellissimo leggere. Vedo che in Italia sono più gli scrittori che i lettori e molti si vantano di aver scritto senza aver mai letto [soprattutto se pubblicano con case editrici a pagamento], ma è impossibile. Se non leggi, se non ti riappropri della lingua, la tua scrittura avrà sempre troppe pecche e lacune, anche nel “senso” di ciò che vorresti dire. Leggere fa sì che le persone -proprio perché “comprendono”- si creino un bel senso critico, che è centrale per vivere e per non farsi abbindolare dal potere. Un esempio per tutti, tra quelli che ho letto, Valerio Varesi che scrive con una proprietà di linguaggio e un utilizzo pazzesco del “vocabolario” della nostra bellissima lingua. Bisognerebbe prendere esempio da lui per l’enorme ricchezza lessicale.

Qual è il genere letterario che predilige? È lo stesso genere che scrive, o è differente? E se sì, perché?

Leggevo molto i “classici” francesi, da Flaubert a Maupassant, fino a Gide, poi Kafka e gli italiani Calvino e Pratolini. Ora leggo inevitabilmente anche tanto noir, mi piace. Lo stile scandinavo lo apprezzo in modo particolare, ma anche alcuni italiani sono davvero interessanti.

61Aeq5WebsLAutori e autrici che la rappresentano, o che ama particolarmente. Citi due italiani e due stranieri.

Valerio Varesi e Vasco Pratolini. Mankell e Maupassant.

Di gran voga alla fine degli Anni Novanta, più recentemente messi al bando da molte polemiche in rete e non solo: cosa può dire dei corsi di scrittura creativa che proliferano un po’ ovunque? È favorevole, o contrario?

Se ci sono buoni docenti e attenti scrittori a tenerli, perché no? Però, come sempre in questo Paese, c’è anche troppo business… “vieni al corso che ti insegno a scrivere un romanzo… e intanto mi paghi”. Sempre contraddizioni in termini.

Dei suoi romanzi precedenti, ce n’è uno che predilige e sente più suo? Se sì, qual è? Vuole descrivercelo e parlarci delle emozioni che le ha suscitato scriverlo?

A me piace molto QVIMERA, perché ho inserito nella trama tutta una serie di violazioni dei diritti del lavoro e di dinamiche sporche viste in prima persona, non quelle di cui si sente dire in tribunale, di peggio… dopo di che non mi chiamano più a fare lavori elettrici con certe imprese di costruzione, chissà perché! Però direi che MORTE NEL TRULLO, per la riscoperta dell’alto Salento Brindisino fuori stagione [terra dei miei nonni materni], per il “sentimento” che scaturisce dall’incontro tra il commissario Lorenzi e la giornalista Cristina di Radio Popolare, per le musiche prog utilizzate nella trama e per avermi consentito di “far fuori” quegli imprenditori laidi che hanno “ucciso” me e tanti altri artigiani… rimane il primo in classifica. Poi, sicuramente, IL BARBIERE ZOPPO.

61bB7czPWmL._SL218_PIsitb-sticker-arrow-dp,TopRight,12,-18_SH30_OU29_AC_US218_Ha mai partecipato a concorsi letterari? Li trova utili a chi vuole emergere e farsi valere?

Partecipo, non assiduamente, ma lo faccio. Più che per farsi valere lo trovo importante perché ti consente di capire se qualcuno apprezza il tuo lavoro. Ti fortifica e ti aiuta a pensare positivo. Certo non bisogna dare ad essi un peso eccessivo. Però possono essere utili. Nel mio caso, alcuni premi li ho presi proprio con IL PITTORE, MILANO NON HA MEMORIA e IL BARBIERE ZOPPO, che hanno poi “aperto” la strada ad un po’ di notorietà in più. Quindi, perché no? Sicuramente bisognerebbe scartare i premi che hanno odore di “trucco” fin dall’inizio… e ci sono.

A cosa sta lavorando, ultimamente, e quando uscirà il suo nuovo romanzo? Vuole parlarcene?

Ho due progetti in corso: il primo e una storia illustrata per bambini, che uscirà entro a febbraio e che utilizzerò per un viaggio di “sacrificio” in bicicletta dalla provincia di Milano a quella di Brindisi, 1200km, la prossima estate per parlare delle bambine sfruttate nel terzo mondo e vendute come prostitute e/o mogli a 5/6 anni di età dalle loro stesse famiglie.

Saranno diverse tappe di presentazione del libro “Ben, Tondo & Gatto Peppone” a bambini e genitori, con uno spettacolo con chitarra e scene, per sensibilizzarli verso queste tragedie di altri bambini che non possono “vivere” una vita degna. Ci sarà una raccolta fondi da destinare a “salvare” molte bambine dalla strada e portarle a scuola e farle crescere sane e protette.

61uLLDtHYJL._SL218_PIsitb-sticker-arrow-dp,TopRight,12,-18_SH30_OU29_AC_US218_Il secondo è il nuovo romanzo, che sarà in prima fase distribuito solo ai sostenitori del progetto che ho lanciato l’anno scorso, “Utopia & Rivoluzione”. Rappresenta la prosecuzione naturale della storia di Lidia ne IL BARBIERE ZOPPO e dovrebbe uscire a marzo. Lidia arriva a Milano nel 1969 e seguirà tutti gli accadimenti politici e sociali della nostra società fino al 2015, in estate, a Senigallia, nelle Marche, quando….. non ve lo dico, dovrete leggerlo… 😉

Poi ovviamente si riparte con il nuovo capitolo per i Fratelli Frilli.

L’immagine di Gino Marchitelli è di Dianora Tinti.

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Luigi Pietro Romano Marchitelli, detto ‟Gino”, ha lavorato per molti anni sulle piattaforme petrolifere della Saipem, per la ricerca del petrolio in mare, come tecnico elettronico. È attivo nel campo delle energie rinnovabili e nell’impiantistica elettrica ed elettronica. Militante nella CGIL e in Democrazia Proletaria ha partecipato alle dure lotte dei lavoratori delle piattaforme petrolifere in mare. Attualmente fa parte del direttivo A.N.P.I. di San Giuliano Milanese. È cantautore ed è stato finalista al concorso Camaleonte 2013 – Salone del Libro di Torino, con un brano dedicato agli operai caduti alla ThyssenKrupp.

È autore del noir d’esordio Morte nel Trullo (giugno 2012), di Qvimera (25 aprile 2013) e del noir Il Pittore (dicembre 2013), diploma d’onore all’opera inedita 2013 Premio Internazionale IL MOLINELLO e menzione speciale alla PROVINCIA in GIALLO 2014. Nel giugno 2014 ha pubblicato il DVD Siamo i ribelli della montagna, video intervista ai partigiani protagonisti della liberazione della Val D’Ossola nel 1944. Del luglio 2014, è il libro di testimonianze sulle stragi di Stato Una storia di tutti in memoria delle vittime delle stragi. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Milano non ha memoria, Il segreto di Piazza Napoli, Sangue nel Redefossi.

Di Gino Marchitelli, il Blog ha recensito “Sangue nel Redefossi”