Carlotta-Charlotte, ti presenti ai lettori?
Mi chiamo Carlotta Pugi e sono nata a Firenze nel 1980.
Scrivo romanzi rosa usando lo pseudonimo di Charlotte Lays perché, quando decisi di pubblicare il mio primo libro, non pensavo che scrivere sarebbe diventato il mio lavoro.
Poi ho dovuto affrontare il 2014.
Il 2014 fu un anno da dimenticare sotto molti punti di vista… mi barcamenavo tra il lavoro di wedding-planner, l’essere madre di due bambini molto piccoli e un marito coinvolto in un bruttissimo incidente pochi giorni dopo aver salutato per l’ultima volta sua madre.
Il 2014, in realtà, fu proprio un anno di merda.
Adesso, a distanza di tempo da quella centrifuga emotiva, posso dire che la scrittura è stata la spinta che mi ha risollevato dal fondo.
Ho riversato su pagine intonse tutte le mie paure, le mie speranze, il mio bisogno di evasione.
Fantastico! Chissà che opere di crescita spirituale hai scritto!
Ehm… NO.
Scrivo romanzi rosa (acceso) ambientati oltreoceano e mi diverto tantissimo a farlo.
In seguito, mi sono spostata sul genere Women Fiction, storie in cui donne forti nello spirito e nella tempra vengono messe a dura prova dalla vita. Sputano il fegato, piangono litri di lacrime, commettono errori, ma alla fine riescono.
Romance = lieto fine garantito?
Se leggo libri che finiscono male, il primo istinto è quello di maledire l’autore. Dal momento che io ci tengo alla mia pellaccia e alla bile dei miei lettori, ogni mio romanzo si chiude con un sorriso.
Programmazione o puro istinto?
Scrivo sull’onda del momento, principalmente affidandomi all’istinto e a quello che avrei voglia di leggere, ma ho dei punti fermi: personaggi sfrontati e con la battuta pronta; una trama che si basi su una rinascita; una buona dose di sensualità.
Ormoni a piovere?
Tim e Allegra, i miei primissimi protagonisti, avevano un arsenale ormonale di non poco conto, quindi il mio editore mi fece partecipare al concorso per il miglior romanzo erotico dell’anno e quei piccoli insolenti si piazzarono al secondo posto.
Un bel traguardo. E poi?
Se già la mia mente vorticava di idee, quel premio fu una soddisfazione così grande che le mie dita non aspettavano altro per volare sulla tastiera fino a notte fonda. Ho capito, poi, che ogni guadagno sarebbe finito nel fondo blefaroplastica precoce e mi sono data una regolata.
Una “regolata” in che senso?
Adesso scrivo quasi ogni giorno, in orari alternati a quelli dedicati alla famiglia. Questo non esclude che nel pieno flusso creativo possa veder nascere più di un’alba, perché il silenzio della notte è il miglior momento per lasciar urlare la fantasia.
“Urlare”… roba da TSO, sinceramente.
Solo quando ho cominciato a scrivere ho smesso di pensare quanto svitati fossero gli scrittori. Ma sul serio, abbiamo un casino in testa. Trame, ambientazioni, intrecci, vendette.
Dobbiamo incasellare e cercare di descrivere al meglio pezzi della nostra anima, tutte le nostre fragilità, le cose di cui più ci vergogniamo.
Perché anche se ogni storia è frutto della nostra fervida immaginazione, la verità è che ogni emozione è parte di qualcosa che abbiamo vissuto, temiamo, sogniamo.
Forse è per questo che vengo presa da una frenesia incredibile quando sto scrivendo una storia, ma poi, quando la rileggo, un po’ mi vergogno.
E non mi riferisco alle parti di diletto pelvico!
Mi riferisco al groppo che mi viene ogni volta che una lettrice mi fa presente che ha sentito scorrere sulla propria pelle ogni sentimento.
Deve essere un momento magico, davvero. Rientriamo un po’ nei ranghi di un’intervista normale. Sei una lettrice assidua? Lo sai quello che si dice sugli autori che “debbono leggere” per lavorare al meglio.
Si dice che per “scrivere” bisogna prima “leggere” ed è la sacrosanta verità.
Sono sempre stata una lettrice forte, ma per scrivere un romanzo bisogna anche studiare (e tanto).
Occorre essere consapevoli dei propri limiti e imparare a starci dentro, oppure sfidare se stessi per superarli, consapevoli che potrebbe essere un disastro.
Occorre l’umiltà di ascoltare le critiche e farne tesoro.
Occorre amare se stessi e i propri lettori.
Occorre tanto rispetto per la lingua italiana.
E poi occorre il “Fattore C”, perché se non ci sono una serie di fattori contingenti che ti portano a farti conoscere, allora pubblicare diventa un problema, perché si spera che uno scrittore scriva ciò che preferisce, ma in noi c’è sempre una punta di narcisismo che ci porta a voler essere letti da più persone possibili.
Come hai affrontato questo periodo così difficile di clausura?
Questa fase mi ha costretto a una brusca frenata perché la casa era sovraffollata (di solito, non ho marito e figli H24 a casa) e quindi mi sono accontentata di riempire un quaderno con trame e personaggi e personalità per un prossimo futuro in cui potrò tornare a sbizzarrirmi su un foglio bianco.
Mi manca scrivere, perdermi e ritrovarmi.
Mi manca sghignazzare da sola e pensare a tutti gli accidenti che mi beccherò.
C’è da dire che ho appena pubblicato Parlami di un sogno, edito da More Stories; in settembre è prevista la riedizione (ampliata e rivisitata) di Scritto sulla Pelle, ex YouFeel e ho due romanzi della NY Sinner Series che attendono solo che scelga la data di pubblicazione.
Grazie per averci fatto compagnia!
Un caro saluto a tutti e grazie per lo spazio, Bab!
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