Capitolo 12

Gyllahesh cercò di dimenticare l’incontro avvenuto al mattino. Quel pomeriggio era previsto un appuntamento importante con una delle dame della Regina, e la donna aveva aspettato diversi giorni per poterlo avere. Lui era richiesto, e lei era stata fin troppo paziente.
Dopo il pranzo, si era ritirato per prepararsi e quando la dama fu annunciata, Gyllahesh scese ad accoglierla nell’atrio. Myrrin teneva fra le mani la pregiata cappa di pelliccia che lei gli aveva lasciato e chinò il capo quando lo vide. Dalla luce che le brillava negli occhi, Gyllahesh fu sicuro che sarebbe stato un pomeriggio lungo. Mentre le offriva il braccio per accompagnarla al piano superiore, rispondendo a una sciocchezza che la donna aveva appena detto riguardo un argomento che a lui non interessava per niente, si accorse di Nabir, fermo in piedi all’inizio del corridoio che portava verso la parte posteriore della casa. Sul viso del ragazzo era dipinto qualcosa che gli fece fremere lo stomaco e gli causò una punta di irritazione.
C’era infelicità in quegli occhi verdi, e rassegnazione. Degli strani sentimenti, a ben guardare, considerato che, per Nabir, lui non era niente, se non un benefattore.
Fu quello che si disse salendo le scale, sforzandosi di concentrare la propria attenzione sulla dama. Fu quello che cercò di cancellare dalla propria mente mentre le donava piacere.
Nonostante i gemiti e le grida di soddisfazione della donna, però, non riuscì a dimenticare gli occhi tristi di Nabir, per quanto ci provasse.
Come se gli avesse fatto un torto, malgrado fosse certo di essere innocente su questo. Nonostante il suo corpo riuscisse a rilassarsi nel godimento a sua volta, il proprio piacere fu macchiato dal pensiero di aver tradito in qualche modo il suo giovane protetto. Come, non sapeva, ma la sensazione non lo abbandonò.

***

La cucina era abbastanza lontana dalle altre stanze per evitargli di udire i gemiti provenienti dal piano superiore. Nonostante questo, Nabir si sentì pervadere dal nervosismo per buona parte del pomeriggio. Non aveva visto la donna che aveva appuntamento con Gyllahesh, a parte la macchia rossa del suo abito, ma sapere che lei avrebbe avuto tutta l’attenzione del libero amante lo riempiva di furia e amarezza. Non capiva perché dovesse sentirsi così, ma quei sentimenti erano lì, sotto la pelle, pronti ad affiorare, e non voleva assolutamente mostrarsi infantile e ingrato per qualcosa su cui non aveva il minimo controllo.
Gyllahesh era un libero amante, uno dei più richiesti, e la sua arte era la sua vita, malgrado l’idea di dover dar via il proprio corpo per il piacere di un’altra persona ripugnasse Nabir. Riconosceva di essere ingiusto e sciocco, in quella sua valutazione, dettata più dal fastidio di non poter avere vicino l’uomo, come era stato al mattino, ma non poteva farne a meno. Non aveva idea del perché dovesse sentirsi così, ma il suo cuore soffriva.
Myrrin l’aveva distratto per un po’, prendendogli le misure per gli abiti nuovi. Sarebbero stati semplici, come si conveniva a una persona che non possedeva poi molto, ma il calore della stoffa e la loro comodità più che sufficiente. Quello era un dono di Gyllahesh, e Nabir lo avrebbe tenuto caro.

***

Era ormai sera, quando la dama si ritenne abbastanza soddisfatta e decise di andarsene, facendosi promettere un altro appuntamento a breve.
Gyllahesh la accompagnò nell’atrio, dove il suo fidato Myrrin l’attendeva con il mantello. Lui aveva indossato solo una veste da camera, e la guardò uscire dal portone d’ingresso con una punta di sollievo. Soddisfarla era stata un’impresa: quella donna sembrava non averne mai abbastanza di lui.
Si guardò attorno, ma di Nabir non c’era traccia, e fu un altro motivo per sentirsi sollevato. Non si vergognava della propria arte, né aveva motivo per farlo, ma la luce ferita negli occhi del ragazzo lo tormentava, benché sapesse che per lui era solo un’ombra fra le tante che popolavano la sua vista.
Sospirò, stringendosi nella seta della veste. Un bagno caldo sarebbe stato il benvenuto, soprattutto per togliersi di dosso il profumo che la donna usava in abbondanza. Se ne sentiva ricoperto, e quell’odore dolce lo stava nauseando.
«Puoi preparare la vasca, Myrrin? Poi potremo cenare.»
«Porto su l’acqua, Gyllahesh. Abbiamo già cenato, Nabir mi sta aiutando a sistemare la cucina. Gli altri si sono già ritirati.»
Avrebbe dovuto saperlo. Era comunque tardi, ma gli sarebbe piaciuto mangiare e scambiare quattro chiacchiere con gli uomini. Avrebbe dovuto accontentarsi, così sorrise brevemente per far comprendere al suo infaticabile amico che aveva capito. Myrrin gli sorrise in risposta, girandosi poi per dirigersi verso la cucina. L’acqua era sempre pronta sul focolare, e Gyllahesh pregustò il bagno che avrebbe fatto di lì a poco. Salì nella sua stanza e, poco dopo, Myrrin entrò con un grosso pentolone, il cui contenuto andò a versare nella tinozza nell’angolo. Avrebbe dovuto fare più viaggi, ma a lui non sembrava pesare e Gyllahesh andò a versare dei sali profumati e preziosi che custodiva con cura, provenienti dal sud, dalla sua regione di origine. Sali che odoravano dei posti in cui era cresciuto e che lo aiutavano a riconciliarsi con il mondo.
Dopo altri due viaggi, il sua anziano amico sembrava però affaticato, e Gyllahesh gli disse di fermarsi. La vasca era abbastanza piena e il vapore si sollevava dalla superficie in volute sinuose. Quando si immerse in quel calore profumato, il sospiro che gli uscì dalle labbra era di pura soddisfazione.
Si passò le mani sulle braccia e sulle spalle, portando con sé acqua che ormai scorreva in piccoli rivoli sulla sua pelle. Era un sollievo dolce, dopo l’intenso pomeriggio. L’odore dei sali presto avrebbe soppiantato quello della dama. Con un sospiro, Gyllahesh si spostò all’indietro per appoggiare la testa sul bordo e chiuse gli occhi. La donna l’aveva pagato profumatamente, ritenendosi molto compiaciuta dalle sue attenzioni. Era questo che faceva di lui un libero amante così richiesto: la capacità di mettersi al servizio nel modo più totale, facendo delle donne che reclamavano la sua arte il centro del suo mondo, seppur per un periodo breve.
Si sollevò, spostandosi i capelli per non bagnarli eccessivamente. La sua folta chioma scura avrebbe dovuto aspettare l’indomani mattina per essere lavata, con quel freddo non era salutare lasciare i capelli bagnati. Fece per alzarsi in piedi, quando un colpo alla porta preannunciò l’arrivo di qualcuno: con sua sorpresa, era Nabir, che entrò nella stanza reggendo il grosso pentolone.
Gyllahesh si erse all’interno della tinozza, prendendo il telo che aveva posato sulla sedia accanto e avvolgendoselo attorno.
«Nabir, ho finito. Non c’era bisogno di altra acqua.»
Il ragazzo si arrestò di colpo, facendo ondeggiare la pentola e fuoriuscire una piccola ondata di liquido. Gyllahesh sbarrò gli occhi: l’acqua doveva essere bollente, se gli fosse caduta addosso…
«Volevo aiutare Myrrin. Lui mi aveva detto che la tinozza non era del tutto piena.»
Preoccupato che potesse scottarsi, l’uomo uscì, inondando il pavimento, e raggiunse il giovane ancora fermo sulla soglia.
«Aspetta, questo lo prendo io.» Strinse le mani sui manici, sfiorando le piccole mani arrossate del ragazzo e sfilò il pentolone da quella presa ferrea, andandolo a posare sul tappeto di fianco alla tinozza.
«Potevo farcela benissimo,» sbottò Nabir, quando lui si rialzò. «La mia sijia si è sempre fidata di me.»
«Non ne dubito, ma a casa tua non c’erano scale da fare. E comunque avevo già detto a Myrrin che non serviva altra acqua.»
Il ragazzo abbassò lo sguardo e, per un istante, Gyllahesh si chiese se fosse sfuggito al controllo di Myrrin per poter giungere a lui. Per quale motivo, poi? Scosse la testa per scacciare il sospetto: non poteva essere così diffidente, non nei confronti di quel ragazzo.
«Volevo soltanto aiutare, e Myrrin sembrava stanco.» La voce esile aveva una traccia tremula, che lo intenerì suo malgrado, nonostante cercasse di mantenere un controllo fermo sulle proprie emozioni.
Gyllahesh sospirò. «D’accordo, non ti preoccupare. Non volevo rimproverarti, temevo soltanto che potessi scottarti.»
Nabir alzò appena la testa e fece un cenno d’assenso, senza tuttavia rispondere, e lui sorrise.
«Sei diventato molto bravo a muoverti per la casa. Non è da tutti salire con quel peso e senza vederci bene.» Era un complimento che fece arrossire il ragazzo. Gli vide spuntare sulle guance pallide un’adorabile sfumatura rosea, che lo intrigò più di quanto credesse possibile.
«Grazie» sussurrò Nabir.
Lui fece un cenno, ricordandosi solo dopo che l’altro non poteva vederlo. «Di niente.»
«Posso fare qualcos’altro? Myrrin è andato a coricarsi.»
Gyllahesh si strinse il telo attorno al corpo. La vicinanza di Nabir gli stava causando dei problemi e, anche se non poteva vederlo, non voleva che il ragazzo capisse qualcosa e se ne risentisse.
«No. Vai pure a dormire. Io mangerò qualcosa e andrò a letto.»
«Posso portarti su la cena. Myrrin l’aveva messa a scaldare.» Gli occhi verdi brillavano quasi, mentre il viso alzato verso di lui esprimeva il suo desiderio di compiacerlo. Non poteva permetterglielo, ne andava della propria mente.
«Ho già detto che sono a posto, Nabir. Non sei il mio servo, posso fare da me.»
Era stato troppo brusco: lo vide riflesso sul viso del giovane, il cui splendore si offuscò fino a scomparire, lasciando solo un’ombra cupa. In un modo o nell’altro, era riuscito a scuoterlo e a mortificarlo. Era già pentito, quando le spalle magre si afflosciarono e Nabir si girò per andarsene, senza proferire una sola parola.
Gyllahesh lottò con se stesso, ma non poté impedirsi di avanzare velocemente verso quella schiena rigida che stava per uscire. Lo afferrò per le spalle e lo girò, forse con troppo impeto. Il ragazzo gli finì contro il petto e il suo ansito sorpreso gli riversò un brivido sulla pelle raggiunta dal  respiro caldo. Brivido che si intensificò quando Nabir alzò la testa di scatto, le mani appoggiate al suo petto per non cadere. Non lo avrebbe fatto cadere, se avesse avuto voce in capitolo, si disse Gyllahesh, affondando lo sguardo negli occhi verdi come pietre preziose.
Il ragazzo socchiuse le labbra piene e rosee, forse per dire qualcosa, ma qualsiasi parola stesse per uscire fu bloccata dalla sua bocca. Gyllahesh non aveva pensato, aveva soltanto lasciato fare al proprio istinto. E ora stava baciando un uomo, riversando in quell’incontro di labbra e calore tutta la passione che molte volte aveva trattenuto nei suoi incontri con le donne. Raramente baciava le amanti, e di sicuro non aveva mai sentito quell’emozione espandersi all’interno del suo torace.
Braccia esili, ma dotate di muscoli tonici, gli circondarono il collo e il torace magro di Nabir, coperto dalla casacca ruvida, aderì al suo petto nudo. Il ragazzo stava rispondendo al suo bacio e, nella follia in cui era caduto, Gyllahesh lasciò che la lussuria prendesse il sopravvento. Passò la punta della lingua sulle labbra calde così generosamente offerte e andò a toccare quella dell’altro, in un bacio che non aveva niente di puro, ma tutto di peccaminoso. Un bacio che nessun uomo di Endora si sarebbe mai sognato di dare a qualcuno del proprio sesso.
Fu proprio quel pensiero sfuggente a farlo tornare in sé: quello e un gemito di puro piacere che uscì dalla gola del ragazzo che stringeva tra le braccia. Gyllahesh si sollevò di scatto, liberando il corpo sottile dalla sua stretta, e balbettando una scusa per quell’azione sconsiderata.
Nabir sbatté le palpebre, le labbra molto più rosse e invitanti di prima.
«Gyllahesh, io… Io…»
«Va’ a dormire, Nabir,» riuscì a dire lui. Ansimava come se avesse corso. Si passò una mano tra i capelli, scoprendo che tremava. Quando il giovane fece per parlare, scosse la testa, incurante del fatto che non potesse vederlo con chiarezza. «Non so cosa mi sia preso. È meglio per tutti e due se dimentichiamo questa… cosa.»
Il ragazzo sussultò come se lo avesse colpito. «Ma io-»
«Va’ a dormire,» ripeté lui, interrompendolo. «E domani sarà come se non fosse mai avvenuto niente.»
Nabir si irrigidì, il volto improvvisamente pallido. Gyllahesh temette che stesse per scoppiare in lacrime, ma l’altro fece un cenno col capo.
«Certo, hai ragione. Domani non sarà avvenuto niente.» Indietreggiò fino a uscire sul corridoio, senza abbassare lo sguardo, dandogli l’impressione che lo vedesse. «Buonanotte.»
Il saluto non sembrava affatto di buon auspicio. Gyllahesh lo vide scomparire nella penombra, il cuore che ancora galoppava in mezzo al petto. Non sarebbe stata una notte serena, non dopo aver provato quella emozione dirompente, e così sbagliata.
Chiuse lentamente la porta, addossandosi a essa. Il suo corpo non aveva smesso di reagire, non era stato bloccato dalla consapevolezza di aver fatto un errore di giudizio. Il suo corpo – e il suo cuore – avevano voluto quell’errore. Lui pregò per non ripeterlo.

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