La conosciamo tutti Georgette Heyer, la regina indiscussa del Regency Romance. O almeno è una conoscenza familiare per noi, ragazze che hanno ereditato dalla mamma o dalla nonna il gusto per storie incantevoli che ancora oggi rappresentano una ineguagliata combinazione di romanticismo, ironia, avventura e accurata ricostruzione storica.
I suoi romance li ho ricevuti, da mia madre appunto, nell’edizione cartonata anni ’70 di Mondadori e nella traduzione della mitica Anna Luisa Zazo, a sua volta divenuta gustosa autrice di genere con lo pseudonimo di Elinor Child.
Li conservo tutti e attendo di solito anni tra una rilettura e l’altra, nella vana speranza di dimenticare qualcosa e di poterli poi riassaporare con il gusto sapido della novità.
Il Dandy della Reggenza, La pedina scambiata, Matrimonio alla moda, Venetia mostrano ormai copertine opache e pagine consunte, logorate da giorni di lettura divenuti anni, mai abbandonate e nemmeno dimenticate.
Heyer però è anche un’abile autrice di detective stories, dodici in realtà, pubblicate in Gran Bretagna tra il 1932 e il 1951, spesso ispirate dai quesiti legali suggeriti dal marito avvocato. Le ho elencate in tabella, in ordine di uscita italiana nella collana de Il Giallo Mondadori, per il piacere tutto egoistico di immergermi in titoli e copertine di una stagione del crime che considero irripetibile.
Trame impeccabili, personaggi di forte definizione psicologica, ambientazioni suggestive caratterizzano romanzi che incarnano alla perfezione il canone della Golden Age. Heyer non è seconda a nessuna delle grandi dame di quella stagione – si tratti di Agatha Christie, Mary Roberts Rinehart o Mignon. G. Eberhart – e con altrettanta sapienza dispensa delitti di impossibile esecuzione, eroine in precario equilibrio tra colpa e passione, investigatori di sagace intelletto.
Certo, i suoi omicidi sono quasi “gentili”, i suoi assassini raramente sprovvisti di un titolo nobiliare e i suoi teatri di azione sempre collocati in eleganti indirizzi cittadini o in magioni campestri.
Così anche in Delitto con replica, (Duplicate death, 1951), uscito per la prima volta a gennaio ne Il Giallo Mondadori, 245 pagine che si leggono in un respiro e che ruotano attorno alla discutibile figura di un’arrampicatrice sociale che, inutile dirlo, finirà strangolata nel breve volgere dell’azione.
Attorno a lei ruotano dame e cavalieri, non così nobili come il lignaggio indurrebbe ad aspettarsi, invischiati anzi in una rete tenace di droga e ricatti. Ritroviamo qui i due personaggi del precedente Notti e delitti (They found him dead, 1937): l’ispettore capo Hemingway, allora sergente, e l’avvocato Timothy Harte, all’epoca adolescente molesto e perciò definito il Terribile, che rinnovano per l’occasione il loro improbabile, ma fruttuoso sodalizio.
Forse però il punto di forza di questo romanzo, come peraltro dei precedenti gialli di Georgette Heyer, sta soprattutto nei dialoghi con cui l’autrice evoca l’atmosfera, ritrae la psicologia dei personaggi e costruisce l’indagine, tanto da far loro meritare l’appellativo di “conversation thrillers”, coniato appunto dalla già citata Anna Luisa Zazo. Heyer sarebbe dunque creatrice di un sottogenere la cui vena appartiene di diritto alla sua terra d’origine e che avvicina le sue detective stories alle sofisticate commedie di Noël Coward, o ai romanzi al vetriolo di Ivy Compton-Burnett.
Punto di forza che si contende il primato con l’ironia, diffusa con intelligente generosità e con il ritmo irresistibile di Wodehouse nei racconti di Blendings, e con una lettura storica che, qui in particolare, la rivela attenta osservatrice – siamo nei primi anni ’50 – di una Upper Class che sta lentamente cambiando, la nobiltà impoverita dalla Seconda Guerra Mondiale che cede il passo a un’agguerrita borghesia mercantile, l’unica che può permettersi una servitù a ranghi serrati.
Ed è proprio da quei ranghi che si leva, con sorprendente paradosso, la più feroce critica ai nuovi ricchi, forniti sì di pingui portafogli ma a digiuno di galateo: il sopracciglio di Thrirnby, formidabile maggiordomo di vecchia scuola, si inarca sdegnato al loro indirizzo.
Come dire che lo snobismo più radicato viene proprio da downstairs.
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