“Verranno i giorni e daremo al tempo la colpa, / dove l’attesa svanì il desiderio / e l’egoismo / chiarì il destino d’ognuno”. Così comincia l’opera. Con un tempo, fisico e allo stesso tempo interiore, che diviene preludio e fondamento dell’intero tessuto poetico. Il verso, di conseguenza, si trasforma in metronomo dell’Anima, scandisce il ritmo dei ricordi, di una dimensione dominata dal nitore dei paesaggi, dal cambio progressivo delle stagioni in un ciclico raffronto col proprio animus poetico, fino a giungere a quei connotatori visivi che fanno della Natura uno dei temi portanti della silloge (nella fattispecie legata alle zone del Friuli, così care all’autrice).
Una poetica semplice ed essenziale, che ripercorre in lungo e in largo i tratti specifici del genere lirico, quello più sincero, quello secondo il quale l’elemento naturalistico diviene privilegiata forma espressiva dell’ io poetico; ma i tratti sono anche quelli della poesia giapponese haiku, di cui Sain è grande appassionata, e da cui trae le regole estetiche e formali più importanti come la fusione tra l’io pensante e l’oggetto pensato, o le code versificatorie di forte intensità ellittica e concettuale, per non parlare dei salti logico-grammaticali fra un verso e l’altro, o addirittura estesi a una strofa intera.
Quella di Sain è una poesia tattile, che procede quasi per sinestesie e metonimie, tanto da trasformare il linguaggio poetico in linguaggio iconico. Immagini tratteggiate con la lievità d’un pennello, come di un pittore assorto sulla riva del fiume, mentre ne contempla il flusso continuo; un fluire che si affida a una sensibilità che è colonna sonora d’un paesaggio interiore, in cui Sain ben definisce le proprie emozioni e i propri sentimenti. In alcuni passaggi si raggiunge perfino una vera e propria esplosione sensoriale (dalla poesia Mele: “Spiove la nebbia / sui sentieri di casa. // Mele caramellate, / dense di petrolio / lucido / veleno d’oltraggi / in seno a scarlatte follie – / mormorano di fiere autunnali, / al passo caduto di stagioni / e giorni di zucchero bruciato”). Le forme si mescolano e si fondono con gli oggetti della realtà, quasi in un ineccepibile correlativo oggettivo. Lo stato d’animo è così espresso non in maniera diretta ma attraverso oggetti, eventi o situazioni che rappresentano l’equivalente dell’emozione. Una dimensione formale che, unita alla forte componente lirica precedentemente citata, diviene sintesi assoluta di tale poetica. A sostegno di ciò, cito dalla poesia Dell’abitudine, i versi “E nell’Isonzo / scorro –“, a mio avviso, esempio perfetto di metafora esistenziale.
In conclusione, una poesia che sa colpire per la sua profondità lirica e per la grande capacità dell’autrice di esprimere al meglio le emozioni attraverso un linguaggio poetico che denota soprattutto carattere personale; ciò di cui deficitano molti poeti d’oggi.
Gaia Rossella Sain, classe 1987, nasce e cresce in Friuli Venezia Giulia. Da anni impegnata nella ristorazione, oggi lavora al resort “La Subida” di Cormons, nel cuore del Collio.
I suoi primi testi poetici vengono inseriti nel 2014 nell’antologia “Cervo Bianco” curata da Fabrizio Corselli, alla quale fanno seguito segnalazioni e premi a concorsi nazionali, letture e reading di poesia.
Oltre alla poesia si dedica allo haikai, la scrittura di haiku: viene selezionata fra gli autori della collana Hanami (Edizioni della Sera) per i volumi Primavera (2015) e Estate (2016).
Fra gli altri progetti, nel 2015 combina l’arte dello haiku a quella della fotografia in una mostra itinerante dal titolo “Istanti”.
“Di Nuvole e Lontananza” (ed. Culturaglobale 2016) è la sua prima raccolta poetica.
Sempre un piacere leggere una recensione di Fabrizio Corselli, piacere ulteriore leggerla qui, sul blog dell’amica Babette che non sento da tempo ma mi pregio, ugualmente, di chiamare tale. Ma il piacere massimo è dato dal fatto che la recensione riguarda l’opera d’esordio di Gaia Rossella Sain, un’amica e un’artista ancora giovane ma già di grande spessore.
Ciao caro Oreste! Un piacere davvero rileggerti. 🙂