Daniela Rispoli presenta “Identità bruciate”
Bologna, Libreria Feltrinelli, 19 aprile 2017
Nella ‘sala verde’ di Feltrinelli gremita dal pubblico, questa frase, quella che riprendo nel titolo, è risuonata con tono di avvertimento per tutta la durata della presentazione: “Il noir NON è un genere”.
L’ha pronunciata Daniela Rispoli, con sicurezza, e lo hanno ribadito i relatori: lo scrittore Roberto Carboni e Michele Righini, responsabile della Biblioteca Casa di Khaoula.
E allora che cos’è questo noir che tanto si vende e di cui tanto si parla, spesso a sproposito, confondendo giallo – poliziesco – thriller – horror?
Io direi che è una ‘percezione’, e rubo l’idea a Massimo Carlotto: la percezione di qualcosa di insano che si traduce in deformità, che si estende dall’individuo alla società, che inquina e contagia, che genera angoscia e che ci lascia impotenti.
Lo dice Roberto Carboni, teorico e docente di noir, nella penetrante prefazione al romanzo di Daniela, definendola maestra in un gioco di specchi che tradisce realtà e finzione, nell’alterazione delle sequenze temporali perché la cronologia nel noir non è importante, nello stile secco e tagliente.
Io sono d’accordo, soprattutto dopo aver letto “Identità bruciate“.
Daniela è un’autrice seria e competente, che ha al suo attivo due romanzi ambientati sullo sfondo di una credibile scena internazionale (Dipinta di rosso, La Carmelina 2013; Delitto in nero, La Carmelina 2014); un romanzo sequenziale (Fuga dal paradiso, AAVV Epika Edizioni, 2016) da lei ideato con Vasco Rialzo e scritto con autori altrettanto preparati; una collaborazione continuativa con Weird movies, l’unica rivista italiana dedicata al cinema fantastico internazionale.
Torniamo però alla presentazione in oggetto. Identità bruciate si muove attorno a Elena e Giulia, sorelle gemelle, che non potrebbero essere più diverse nelle scelte di vita: Elena lavora in polizia alla Questura di Bologna, Giulia fa l’animatrice notturna in feste private. Per molto tempo il divorzio dei genitori, e non solo quello, le ha tenute distanti. Ora però vivono a Bologna e tentano con fatica di riallacciare il loro rapporto. Il brutale assassinio di Giulia però le divide per sempre lasciando a Elena l’insopprimibile necessità di scavare nel mistero di quella morte.
Altro non si può dire della trama, a meno di non rischiare lo spoiler, se non che la vicenda è narrata da sette personaggi diversi, le cui voci si alternano adottando la narrazione in prima persona ma proponendo piani temporali non consequenziali, perché nel noir non è importante la linearità del tempo ma quella del processo degenerativo. L’approfondimento psicologico è comunque singolare, come se in ciascuno il disturbo della personalità venisse scandagliato dalla nascita, lungo la sua storia, nei diversi ambienti in cui si forma.
L’ottavo personaggio è Bologna, la città dove Daniela ha vissuto i secondi diciotto anni della sua vita e a cui si è avvicinata con timore narrativo, proprio perché la vive.
Bologna è una città conflittuale. Custodisce un cuore universitario, gaudente e spensierato, dai mille locali che consumano la notte. Eppure, nasconde un suo lato nero, capace di suggestionare, di scatenare l’impressione “che ci siano sempre degli sguardi a scrutare i miei passi, a osservare come mi comporto, cosa faccio, dove vado, a controllare se mi infilo negli androni grigi dei palazzi”.
Bologna incarna alla perfezione ciò che la città è per il noir, una parte integrante del meccanismo degenerativo.
Si susseguono gli assaggi dei brani, letti dalla bella voce dai tratti ora suadenti e ora ironici di Yvonne Capece, presidente di (S)Blocco5, l’associazione per la diffusione delle arti e della cultura nata nel 2013 con particolare riguardo alla valorizzazione del teatro.
Vi domina il simbolismo del doppio, primo tra tutti quello esplicito delle due gemelle protagoniste, che suggerisce da subito un inquietante interrogativo: come possiamo accettare un essere così simile a noi che però non è noi?
Doppio è anche lo specchio e l’immagine riflessa e gli stessi psicoterapeuti sono specchi nei quali dobbiamo trovare la percezione di noi stessi.
Doppio infine è il non sapere se lo sguardo narrativo è rivolto al passato o al presente, in una sequenza non-temporale che però segue la linearità del processo di corruzione.
Tra il pubblico il poeta Gianfranco Corona, gli scrittori Gianfranco Nerozzi e Vasco Rialzo, il giornalista Stefano Zanerini, l’appassionato di cultura Claudio Guerra. Loro, come gli altri, hanno seguito con profondo interesse una presentazione che non si è limitata a illustrare un romanzo, ma ha raccontato la realtà di disagio e smarrimento in cui ci troviamo confinati.
E lo ha fatto con la voce del noir, perché il noir NON è un genere, ma molto di più.
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