Questo libro è nato durante il lockdown. Era un momento strano, con la città avvolta in un silenzio irreale, rotto solo dalle sirene delle ambulanze; fra le mura di casa, invece, la convivenza forzata di grandi e piccini, la paura, lo stress generavano mostri urlanti e litigiosi. E così, la mia testa è volata a Bathford, seguendo la scia di un ricordo che mi è carissimo, quello del viaggio a Bath compiuto per il ventesimo anniversario di matrimonio. Le voci che accompagnano Katy, le protagoniste di Jane Austen, non sono diverse da quelle che fanno compagnia a me: ne è nato un gioco di specchi, in cui i miei personaggi e quelli austeniani si incrociano e sovrappongono, sullo sfondo delle suggestive campagne della zona, lungo la riva dell’Avon e fra i boschi misteriosi che circondano Bathford.


Qualche “assaggio”?

Cap. I

Ragione e Sentimento in blu elettrico
Gli scaffali erano proprio blu.
Non un gradevole oltremare, evocativo come le onde dell’oceano, o il classico blu del cielo notturno, rilassante e un po’ radical chic: erano di un blu elettrico, anni Settanta. Le pareti, invece, alla luce diurna viravano fra un color senape e uno zafferano carico.
Parallelo a una parete del locale spiccava imponente il bancone d’epoca, forse primo Novecento. Peccato fosse stato riverniciato con smalto viola evidenziatore, un lavoro così ben fatto che, se il resto della libreria appariva sporco e scrostato, il suo legno brillava sotto allo strato di polvere, come se emettesse una specie di urlo silenzioso: “divento fluorescente! Fammi luce!”.
Il soffitto, giusto per non farsi mancare emozioni, era stato dipinto di rosso, con le travi lignee a vista in verde mela.
Katrine, con la chiave ancora stretta fra le dita, dopo aver aperto il negozio, non riusciva a proferire verbo, ma a dire il vero trovava difficile anche respirare.
«Come da accordi», disse la signora Maeve, alle sue spalle. «Sessanta metri quadri, arredato, con pertinenza esterna e bagno. Se non ha bisogno d’altro, io andrei.»
La giovane donna, la nuova proprietaria della libreria psichedelica, si volse piano. Immaginò se stessa, con il suo completino nei toni del rosa pesca, la maglietta a fiori, i capelli rossi raccolti in una coda di cavallo sobria e un po’ triste, in mezzo a quel chiasso di colori e a quel tripudio dello sporco. Una specie di bambolina abbandonata su un cumulo di immondizia vomitata da un unicorno.
Maeve, l’ex proprietaria dei locali ora in suo possesso, la guardava; un misto di commiserazione e fastidio velava lo sguardo porcino. In effetti, il suo abbigliamento si discostava di poco dall’orrido mix di tinte degli interni, non c’era un solo colore che mancasse sulla maglietta in cui aveva strizzato la mole corpulenta, o nel trucco che si era spennellata sulla faccia tonda.
«Non è quello che ho visto…» Katy non si capacitava. Le foto che aveva ricevuto raffiguravano una piccola ma accogliente libreria, con un cortile circondato da mura antiche. Che il tutto fosse stato ritoccato con Photoshop era innegabile. La domanda giusta era una sola. «Da quanto tempo è chiuso, il negozio?»
Maeve alzò le spalle. «Qualche anno. Glie l’ho già detto.»
Ecco perché costava così poco rilevarlo. E dire che le aveva prosciugato tutti i risparmi, compresa la piccola eredità della zia che avrebbe dovuto farle da dote.
Era indubbio che fosse riuscita a farsi infinocchiare dalla venditrice, che comunque non smetteva di guardarla in tralice, nemmeno l’avesse insultata e oltraggiata mettendo piede nel tempio dei colori.


Dal cap. 2

«Buongiorno!» l’apostrofò una voce maschile, e Katy sobbalzò dallo spavento. Non aveva visto l’adone, no, il figo, perché era inutile andare per mezzi termini, che a due passi da lei le sorrideva.
La ragazza avvampò subito dopo il sobbalzo, domandandosi per quale motivo quella specie di divinità greca avesse salutato proprio lei. E nell’avvampare e sobbalzare emise anche una sorta di singulto generato dallo spavento e dalla sorpresa.
Il bellissimo fece la cosa peggiore che potesse fare un uomo in quel frangente: si mise a ridere, mostrando pure due file di denti perfetti, bianchi come perle. Era troppo per essere vero, anche solo da guardare.
«Mi scusi, ma di solito non terrorizzo così la gente. Anzi…»
Ci credo! Pensò lei, senza riuscire a trattenersi dallo squadrarlo. Alto, biondissimo, spalle larghe perfettamente delineate dalla giacca nera in perfetto aplomb, camicia scura… e fu allora che in tutta quella cupa eleganza una nota di bianco la illuminò su chi fosse la persona con cui stava parlando.
«Il pastore di Bathford?» esclamò, incredula. Ma nemmeno lontanamente Jane Austen si sarebbe immaginata un religioso con quelle fattezze angeliche da paura.
Il prete, che questo era, e nient’altro, nessuna divinità incarnata, scosse il capo. «Sono solo un aiuto, a dire il vero: la parrocchia è retta dal dottor Taylor» indicò il cartello accanto al quale sostava, sul quale erano affisse varie indicazioni e avvisi. «Io sono padre William.»
Se Mr. Collins fosse stato così, Orgoglio e Pregiudizio sarebbe finito al capitolo tredici, fu il primo pensiero di Katy, che ricordava la coincidenza dei nomi del bel pretino che aveva davanti e del personaggio nel romanzo, William Collins appunto.

Dal cap. 9

Una volta deciso per se stessa il mantra “sarò protagonista della mia vita”, Katy si mise d’impegno per riuscire nell’intento. Era semplice, doveva scegliere uno dei modelli proposti da Jane Austen e attenercisi con abnegazione. Era caduta sull’erba, forse poteva essere una Marianne alla ricerca dell’amore romantico; però aveva una tresca col pastore, il che la rendeva una buona candidata a essere Elinor o Fanny Price; però cominciava a non essere più giovanissima: Anne Elliot poteva fare al caso suo. A ogni modo, si rifiutava di essere Emma Woodhouse o Catherine Morland, se non nei momenti peggiori della giornata, quando indugiava in qualche pettegolezzo o nelle superstizioni, contagiata dalle leggende locali. Forse, Katy poteva diventare un’eroina del tutto nuova, con parte delle caratteristiche di ciascuna.

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