Non ho intenzione di essere una star, voglio diventare una leggenda

Il grande cantante e leader dei Queen moriva a Londra il 24 novembre del 1991. Alessandro Ceccarelli lo ricorda per noi.

L’ultima volta che Freddy si recò in uno studio di registrazione, fu il 22 maggio del 1991 per incidere il brano “Mother love”, ma dopo una pausa si rese conto che non poteva continuare la session in quanto era ormai gravemente debilitato dall’Aids. L’anno precedente, visibilmente dimagrito e sofferente, aveva  partecipato ai Brit Awards per ricevere un premio per il contributo dei Queen alla musica britannica. Quella fu l’ultima apparizione pubblica di uno dei più grandi cantanti del rock: Freddie Mercury, una voce unica, potente, con un’estensione straordinaria.

Nascose il segreto della sua malattia anche agli altri membri dei Queen fino al 1989, quando decise di fare accertamenti clinici più specifici. Durante questi esami, gli fu asportata una parte di pelle dalla spalla sinistra, mediante la quale si riscontrò la sua positività all’Hiv. Dopo qualche tempo gli fu anche diagnosticata la sindrome dell’Aids.

Ormai certo della malattia, confessò la sua condizione agli amici più intimi nonché ai membri del gruppo. Freddie abbandonò la vita pubblica, non organizzando più concerti; diceva che un uomo di oltre 40 anni non poteva saltare e cantare su un palco con una calzamaglia indosso e che voleva rompere il binomio album-tour. Alcune testate scandalistiche cominciarono a sospettare che il cantante fosse effettivamente malato; questi sospetti derivavano dal suo aspetto, dall’improvvisa sospensione dei tour dei Queen e dalle confessioni di alcuni amanti pubblicate sulle pagine dei tabloid inglesi del tempo. Si fecero dunque sempre più rare le sue apparizioni pubbliche e Mercury si rifugiò nella Garden Lodge, la sua villa di Earls Court a Londra, costata oltre 4 milioni di sterline.

Dopo aver fatto diffondere un sincero e drammatico comunicato sulle sue reali condizioni di salute (22 novembre), Freddie Mercury cessò di vivere due giorni dopo nella sua villa di Garden Lodge, a soli 45 anni. Il rock perdeva una delle voci più originali e significative; un personaggio eccentrico, un compositore di grandi successi e un pianista di talento.

Nato come Farrokh Bulsara, il 5 settembre del 1946 a Zanzibar, sin da piccolo Freddy si avvicinò alla musica, prendendo lezioni di pianoforte al St. Peter College. A metà degli anni ’60 si trasferì con la sua famiglia nei pressi di Londra. Tra il 1968 e il 1969 cominciò a cantare in una serie di gruppi rock sulla scia dei Cream. In quel periodo conobbe il chitarrista Brian May, il batterista Roger Taylor e il bassista John Deacon. L’anno seguente nascevano i Queen, che tuttavia dovettero attendere tre anni per pubblicare il loro primo album.

L’idea musicale del gruppo era un’abile miscela tra le melodie e i cori dei Beatles e il rock dei Led Zeppelin, che all’inizio degli anni Settanta dominavano le classifiche di tutto il mondo. Brian May si affermò immediatamente come un ottimo chitarrista rock e un notevole compositore e soprattutto fu sempre l’alter ego di Mercury nella creazione del suono dei Queen. Dopo la pubblicazione di “Queen” (13 luglio del 1973), che ottenne due dischi d’oro, “Queen II” (8 marzo del 1974), un disco d’oro, e “Sheer heart attack” (8 novembre del 1974), un disco di platino e uno d’oro, è con il quarto album, lo straordinario “A night at the opera” (21 novembre del 1975) che i Queen esplosero letteralmente in tutto il mondo come la rivelazione del rock britannico. Con questo album Mercury raggiunse l’apice creativo del suono e della musica dei Queen. Il singolo “Bohemian rhapsody”, scritto dal cantante, è il “brano manifesto” del gruppo, caratterizzato da una sensazionale sezione centrale con decine e decine di voci sovraincise in stile operistico.

Il travolgente successo dei Queen non conobbe soste: il 10 dicembre 1976 uscì “A day at the races” con la famosissima “Somebody to love”, una sorta di gospel rock sempre con la voce di Mercury in primo piano, il 28 ottobre del 1977 fu la volta di “News of the world” con l’inno “We are the champions”, il 10 novembre del 1978 “Jazz” con il divertente singolo “Bicycle race”. Il doppio dal vivo “Queen live killers” (1979) concludeva brillantemente la prima parte della carriera del gruppo. Con il successivo “The game” (1980), arrivarono i primi cambiamenti stilistici della band in relazione anche al nuovo decennio che si apriva. Anche i Queen cominciarono a impiegare i sintetizzatori polifonici sulla scia del movimento New Romantic. Il disco ebbe un grande successo di vendite grazie al singolo “Another one bites the dust” scritto dal bassista John Taylor. Sempre nello stesso anno i Queen pubblicarono la colonna sonora del film “Flash Gordon”, caratterizzato dal massiccio uso di tastiere elettroniche. Con “Hot space” (1982) la band si orientò verso il funky e la dance music e le vendite furono decisamente inferiori. Il singolo “Under pressure”, canzone composta e cantata insieme a David Bowie, fu invece un grande successo. Dopo una pausa di due anni, il gruppo tornò al rock con “The Works” (1984) e grazie anche al brano “Radio Ga Ga” le vendite furono strepitose: cinque dischi di platino e due d’oro. Gli ultimi tre lavori dei Queen furono caratterizzati da un enorme riscontro di vendite: “A kind of magic” (1986), sette dischi di platino e 5 d’oro; “The Miracle” (1989), quattro dischi di platino e altrettanti di oro, e “Innuendo” (1991), nove dischi di platino e tre di oro, conclusero trionfalmente la carriera dei Queen con Freddie Mercury leader e cantante carismatico.

Una voce insostituibile, come dimostrano i deludenti tentativi dei altri tre membri del gruppo di suonare dal vivo e incidere nuovi album senza Freddie Mercury.