“Noi intendiamo in Venezia per uomo rustego un uomo aspro, zottico, nemico della civiltà, della cultura, del conversare”: così Goldoni informa i lettori/spettatori non veneziani. E nella commedia l’autore fa uno sforzo di caratterizzazione straordinario, portando in scena non uno, ma ben quattro rusteghi, ognuno in qualche modo diverso dagli altri.

Lunardo, il più importante, e Maurizio stanno organizzando, come usava all’epoca, il matrimonio fra i loro due figli, Lucietta e Filippetto. Nessuno dei due consulta i giovani perché, come ripete continuamente Lunardo, sono padroni a casa loro e decidono tutto loro. Nel colloquio in cui stringono l’accordo esprimono la loro filosofia di vita: morigeratezza, privacy, come diremmo oggi, risparmio, ma non avarizia: ad esempio gli piace mangiare bene, all’occorrenza hanno un capitale da impiegare, ma nessuna concessione alle frivolezze e alle apparenze, soprattutto per quanto riguarda le donne della famiglia. Quindi la dote di Lucietta sarà investita nel modo che i due padri riterranno più opportuno e certo non si spenderanno soldi per far rimontare, secondo la moda corrente, i gioielli ereditati.

Nei confronti dei figli non si fa differenza fra maschi e femmine: tutti vengono sottoposti a continuo controllo, le donne in casa a svolgere i compiti domestici, i ragazzi fra casa e lavoro nell’azienda paterna (che però si trova nello stesso edificio di abitazione). Né maschi né femmine escono mai da soli: ai maschi è proibito avere qualunque tipo di rapporto anche con le domestiche, alle femmine perfino di affacciarsi alla finestra.

Il terzo rustego, Simon, ugualmente non vuole che nessuno entri in casa sua, neppure se si tratta di Filippetto, nipote di sua moglie Marina, e quando devono recarsi a casa di Lunardo per quello che dev’essere il festino di nozze, non vuole dire alla moglie neppure dove andranno: Marina sarà con suo marito e questo le deve bastare.

Le cose sono molto diverse per il quarto protagonista, Canciano, quello di condizione sociale più elevata, che si potrebbe definire un rustego fallito. Perché a lui è capitata Felice, una moglie molto volitiva e determinata, che è riuscita a guadagnarsi la libertà che le occorre come l’aria che respira. Non pensate a nulla di trasgressivo secondo i nostri parametri: si tratta solo di vestirsi in modo adeguato per uscire, con il marito, e andare alla commedia o a divertimenti “perbene”, di ricevere per la conversazione le conoscenze, anche uomini, in casa, quando c’è il marito, e dire sempre la propria opinione su ogni argomento. Come ci è riuscita? Non è chiaro: ho l’impressione che, quando Canciano ha provato a bastonarla, cosa all’epoca legale, per ridurla all’obbedienza, la moglie ha ricambiato, ma soprattutto ha usato l’intelligenza e le capacità oratorie di cui è molto dotata e, sembrerebbe (in modo molto sottinteso), anche il suo fascino erotico. Certo Canciano è malinconico per buona parte della commedia, perché si vergogna di fronte ai suoi amici ed è geloso di chi avvicina la moglie, sia pure sempre e solo in sua presenza.

Una volta concluso l’accordo, Lunardo e Maurizio progettano di celebrar subito il matrimonio e quindi far incontrare Lucietta e Filippetto solo in quel momento. Il ragazzo è stato informato e, povera stella, vorrebbe almeno vedere prima la fidanzata, Lucietta invece riesce ad avere la notizia solo di straforo. I padri si illudono di aver pensato a tutto, ma non hanno fatto i conti con le mogli e con il cambiare dei tempi (siamo nel 1760). Quindi Felice organizza un complotto femminile per fare incontrare i due giovani. Ma la cosa non riesce del tutto perché i rusteghi lo scoprono e, nonostante i ragazzi si siano piaciuti, per un po’ sembra addirittura andare tutto a monte.

All’inizio dell’atto terzo Lunardo, Simon e Canciano tengono consiglio per decidere il da farsi; Maurizio non c’è perché ha trascinato via il figlio, minacciando sfracelli. Per un po’ i tre discutono come fare per riprendere il controllo delle loro donne. Lucietta si può chiudere in un collegio, ma le mogli? Un convento, cosa allora legalmente possibile, vorrebbe dire, però, spese e soprattutto più libertà che in casa (ah! ah!). Inoltre le famiglie protesterebbero e sarebbero guai. Si potrebbe ricorrere al bastone, ma innanzitutto le donne potrebbero rivoltarsi e contraccambiare (ricordiamoci che erano spesso più giovani dei mariti) e soprattutto per rivalsa e dispetto potrebbero comportarsi ancora peggio. E allora?

SIMON Se no i le copa, no gh’è remedio.
LUNARDO Coparle po no.
CANCIANO Mo no, certo; perché po, vòltela, ménela, senza donne no se pol star.

Eh! L’avete capito! Insomma si è arrivati a un punto morto. A sbloccare la situazione provvederà Felice che, con una magnifica opera di mediazione, riuscirà a far ragionare i rusteghi e risolvere tutti i problemi. È il momento del suo trionfo e insieme la riabilitazione di Canciano.

CANCIANO Vedeu! no me disè donca, che son un martuffo, se qualche volta me lasso menar per el naso. Se digo qualcossa, la me fa una renga, e mi laudo.
(Se dice qualcosa, Felice gli fa un’arringa e lui approva.)

***

Qual è l’opinione di Goldoni? La cosa è molto controversa fra i critici. Certo per lui le donne e i giovani hanno ragione, ma gli uomini hanno solo torto? Sono reazionari e rappresentano la decadenza e l’ottusità della borghesia veneziana, ormai in decadenza, come pensano oggi numerosi studiosi?

Personalmente ho molti dubbi, almeno per quanto riguarda questa commedia e anche La casa nova. Forse perché vengo da una famiglia patriarcale e sono stata allevata, mutatis mutandis, più o meno in questo modo. Il fatto è che Goldoni vede bene che questi tiranni amano davvero le loro donne e vogliono il meglio per loro, sia pure secondo il loro concetto di meglio.

Basta vedere quando ognuno vanta il proprio figlio:

MAURIZIO Anca mio fio xè una perla. No gh’è pericolo che el buta via un bagatin.
LUNARDO La mia puta sa far de tuto. In casa ho volesto, che la faza de tuto. Fin a lavar i piati.

Oppure quando finalmente Lunardo cede:

LUNARDO Lucieta. (amorosamente)
LUCIETTA Sior.
LUNARDO Vien qua.
LUCIETTA Vegno. (si accosta bel bello)
LUNARDO Te vustu maridar?
LUCIETTA (si vergogna, e non risponde)
LUNARDO Via, respondi, te vustu maridar? (con isdegno)
LUCIETTA Sior sì, sior sì. (forte, tremando)
LUNARDO Ti l’ha visto ah, el novizzo?
LUCIETTA Sior sì.
LUNARDO Sior Maurizio.
MAURIZIO Cossa gh’è? (ruvido)
LUNARDO Via, caro vecchio, no me respondè, vegnimo a dir el merito, cusì rustego.
MAURIZIO Disè pur su quel che volevi dir.
LUNARDO Se no gh’avè gnente in contrario, mia fia xè per vostro fio. (i due sposi si rallegrano)

Be’, darsi del rustego a vicenda è il massimo!

I rusteghi è una commedia di Carlo Goldoni, rappresentata per la prima volta a Venezia nel 1760 e pubblicata due anni dopo.

Gli articoli de Il Taccuino di Matesi