Dopo le indimenticabili avventure del commissario Soneri, Valerio Varesi, giornalista di Repubblica nonché noto autore parmigiano, si esibisce in un’altra prova sull’attualità italiana: Lo stato di ebbrezza, edito da Frassinelli, è appena uscito e già fa parlare di sé.

‘C’era chi aveva capito al volo cosa servisse per governare gli italiani. Un buon Piazzista se li sarebbe tirati dietro tutti.’

1) Valerio, la frase scelta per la copertina è una bomba che fa parlare… Curiosità a parte, che cosa speravi suscitasse quando l’hai scritta?
L’Italia è un Paese che si governa con le emozioni, dunque ci voleva un piazzista per trascinarla. Anche Mussolini lo era e D’Annunzio è stato il primo grande esempio di propagandista di massa. La differenza è che allora la prosopopea degli imbonitori aveva un substrato oggettivo, era fatta di cose mentre nei tempi odierni è fatta di niente e si limita ad assecondare gli interessi.

2) Ti è mai capitato di infastidirti per essere ricordato  a volte più per essere ‘l’autore di Soneri’ che per altri meriti?

No, perché non ritengo che il giallo-noir sia un genere minore. Con esso sondo l’attualità e i casi emblematici della malattia sociale che ci affligge. E siccome questo mi pare un approccio “civile” alla narrativa, il suo naturale sbocco è il romanzo storico e di denuncia come quello che è appena uscito

3) Cosa aggiungeresti a questo libro se potessi farlo?

Quando lo scrivevo avevo paura di andare troppo lungo, di realizzare un “materasso” di settecento pagine. In realtà è risultato di spessore adeguato. Forse avrei voluto aggiungere qualche altro episodio della grande commedia italiana. Quando racconti gli anni molto complessi di questa attualità così densa, dimentichi sempre qualcosa, ma è fisiologico. Un romanzo è come un’architettura: deve avere forme solide e al tempo stesso slanciate.

4) Cos’è per Valerio Varesi l’ispirazione, semmai esiste?

E’ l’idea iniziale di cui t’innamori che ti dà lo slancio e l’enfasi per partire. E’ il clima d’eccitazione che ti fa stare dentro la storia come in preda a un’ossessione. Per questo non bisogna mai lasciare una impresa a metà per riprenderla dopo un intervallo: non si riesce più a sentire la stessa urgenza di raccontare. Il resto è lavoro: scrittura, riscrittura, rilettura, aggiustamenti… Un mestiere da timbrare il cartellino.

5) Il lavoro al giornale,  porta via tempo ed energie, come i mestieri di tutti d’altro canto. Non soffri mai di sovradosaggio di brutte storie, sia come giornalista che come autore?

Oggi i grandi delinquenti non sono solo i ladri o gli assassini. I delinquenti più pericolosi sono dentro all’economia e alla politica al suo servizio. E’ di questi che spesso mi occupo. Tuttavia, il lavoro al giornale è qualcosa di molto diverso. E’ quasi impossibile una scrittura letteraria in un articolo. E’ troppo prevalente l’esigenza di informare in modo didascalico per poter ambire a qualcosa di creativo.

6) C’è qualcosa o qualcuno che ti motiva in modo particolare quando scrivi?

Oltre alla storia che intendo raccontare ci sono le aspettative dei miei lettori, la voglia di migliorare e di creare un mondo di cui sono il demiurgo assoluto prendendomi la rivincita sui vincoli a cui mi costringe il lavoro giornalistico dove l’onere della prova vale per tutto ciò che scrivi

7) È nato prima il Varesi giornalista o il Varesi scrittore?

Molto prima lo scrittore. Ho cominciato a scrivere da adolescente. Avendo intrapreso studi con uno sbocco professionale molto incerto, ho pensato di cercare un lavoro che mi permettesse di continuare a scrivere per mestiere.

8) Quanto dà il giornalismo all’autore?

Il giornalismo mi fornisce molte occasioni per stare dentro il flusso dell’attualità vivendo i tempi in diretta. Ma questa facilitazione non fa uno scrittore. Lo scrittore deve saper riconoscere i fatti che sono narrabili perché contengono qualcosa di emblematico. Gli scrittori sono ladri di vita altrui. Rubano di tutto: personaggi, storie, ambienti, frasi, gesti… Stare in una sala d’aspetto o in un ristorante affollato è molto istruttivo per un narratore. Conrad diceva che era molto difficile convincere sua moglie che quando guardava fuori dalla finestra stava lavorando.

9) Qual è secondo te il punto forte del tuo metodo di lavoro?

Il lavoro continuativo, la perseveranza, la tenacia nel non rinunciare neanche un giorno a scrivere. Ho fatto sport di fatica e mi ha insegnato molto.

10) Il noir di Varesi si è dimostrato vincente: cos’ha di diverso da altri che non attecchiscono (oltre a essere scritto bene, chiaramente)?

Non so dire precisamente cos’è che crea un minimo di successo e cosa non attecchisce. Credo che alla ripetizione di schemi un po’ frusti come il meccanismo assassinio-indagine-soluzione, quelli del giallo conandoliano, debba essere sostituita una narrazione che abbia buona scrittura e si trascini dietro temi sociali. Il noir è nato come genere eversivo e deve mantenere questo carattere. Io scrivo gialli letterari che toccano sempre un problema sociale. Le miei indagini vertono sulle ragioni di un delitto e quindi sono indagini sociali.

11) Sei appassionato di cibo come Soneri? Le signore che ci stanno leggendo vorranno sapere il tuo piatto preferito…

Mi piace mangiare con moderazione i piatti della tradizione parmigiana. Per me il cibo è identità e un connotato culturale. Per questo il mio commissario gusta i cibi del suo territorio. Non è un ornamento né sola palatabilità: il cibo è anche storia come ci ha insegnato Piero Camporesi. Soneri ha i miei stessi gusti a partire dai tortelli di patate che sono i miei preferiti

12) Fai una promessa ai tuoi lettori.

Nel cambiamento inevitabile della vita, cercherò di mettere sempre passione in quello che scrivo. Non ci fosse non scriverei.

13) Penitenza se non  dovessi mantenerla?

Penso che la penitenza me l’infliggerebbero i miei lettori accorgendosi della mia freddezza. Sarebbe una penitenza davvero dolorosa.

Ringrazio Valerio per la chiacchierata, ripenso all’ultimo suo libro letto e a cosa vedo intorno a me ogni giorno e penso che sì, scrivere è proprio ‘rubare la vita’, e lui lo fa davvero bene.

OoO

Valerio Varesi è nato a Torino l’otto agosto 1959 da genitori parmensi. A tre anni è tornato nella città emiliana dov’è cresciuto e ha studiato. Si è laureato in filosofia all’università di Bologna con una tesi su Kierkegaard. Nell’85 ha iniziato a scrivere su giornali e riviste pubblicando anche racconti in raccolte collettive. Dopo essere stato corrispondente da Parma per La Stampa e La Repubblica, nell’87 ha lavorato alla Gazzetta di Parma e nel ’90 è passato alla redazione bolognese di La Repubblica. La prima pubblicazione è del ’98, un romanzo giallo (Ultime notizie di una fuga ed. Mobydick) liberamente tratto dalla vicenda Carretta. Nel 2000 è uscito Bersaglio, l’oblio edito da Diabasis con il quale è stato finalista al festival del noir di Courmayeur e al premio Fedeli, organizzato a Bologna dal Siulp. Assieme a una decina di altri autori (tra i quali Macchiavelli, Manfredi, Barbolini e Pederiali), ha pubblicato Aelia Laelia Crispis (Diabasis), una raccolta di racconti ispirati a una misteriosa lapide bolognese. Nel 2002 è uscito Il cineclub del mistero edito da Passigli con la presentazione di Carlo Lucarelli. Sono Seguiti alcuni romanzi con l’ispettore Soneri protagonista: L’Affittacamere, Il Fiume delle nebbie, Le Ombre di Montelupo, A mani vuote, Oro, incenso e polvere, La casa del comandante e Il commissario Soneri e la mano di dio (editi da Frassinelli). Al di fuori della “serie” legata all’ispettore Soneri, nel 2007 è uscito il romanzo Le Imperfezioni(Frassinelli) e nel 2009 Il paese di Saimir (Edizioni Ambiente, VerdeNero) di Il commissario Soneri e la mano di dio. Nel 2010 esce E’ solo l’inizio, commissario Soneri e nel 2011 La sentenza, dopodiché vengono pubblicati Il rivoluzionario e Il commissario Soneri e la strategia della lucertola. Il 25 agosto uscirà in libreria il  suo ultimo nato, Lo Stato di ebbrezza.

Il commissario Soneri, protagonista dei romanzi di Varesi, con il volto di Luca Barbareschi è approdato in Tv nella serie di sceneggiati Nebbie e Delitti su Rai Due nel novembre 2005 (al fianco di Barbareschi c’era anche Natasha Stefanenko).