Red Snake è un film di genere drammatico, diretto da Caroline Fourest, con Dilan Gwyn e Esther Garrel (2019).
Regista: Caroline Fourest
Genere: Drammatico, Guerra
Anno: 2019
Titolo originale: Soeurs d’armes.
Durata: 112 min
Distribuzione: Eagle Pictures
Red Snake, diretto da Caroline Fourest, è un film sulla guerra in Medio Oriente dal punto di vista femminile. È la storia di Zara (Dilan Gwyn), una giovane yazidi rapita per poi essere venduta all’ISIS per svolgere il degradante ruolo di schiava sessuale. Il suo villaggio è stato saccheggiato, suo padre ucciso e a lei non è rimasto più nulla, a parte se stessa. Quando la giovane riesce a fuggire ai suoi aguzzini, s’imbatte in un gruppo di combattenti internazionali, la Brigata Snake, che combatte a fianco della resistenza curda.
Da semplice vittima si trasformerà in una coraggiosa guerriera, imparerà a usare le armi e a combattere. Insieme a lei un nutrito gruppo di donne, nelle quali Zara trova comprensione e solidarietà: la giovane franco-algerina Kenza (Camélia Jordana), che ha a causa dei jihadisti ha perso sua sorella; Yael (Esther Garrel), una giovane israeliana; l’italiana Mother Sun (Maya Sansa), che in gioventù è stata vittima di uno stupro; Snipe (Nanna Blondell), una donna soldato che ha combattuto in Iraq; infine, Lady Kurda (Noush Skaugen), una curda della diaspora con una passione per i selfie. Sono loro che intimoriscono maggiormente i loro oppressori, convinti che la morte per mano di una donna li priverà del Paradiso. (Comingsoon).
Le mie posizioni su questa ondata di ipocrita moralità e buonismo lanciata dalle produzioni cinematografiche americane, Disney in primis, già le conoscete. Il cinema americano sta attraversando un momento funesto. Infatti viene dalla Francia questa proposta cinematografica che, in altro contesto, avrei voluto vedere al cinema. RED SNAKE di Caroline Fourest è un signor prodotto di guerra. Film interessante perché esplora uno scenario poco sfruttato e pone l’attenzione sulla lotta delle donne curde contro Daesh.
C’è di tutto, dai bambini soldato, ai foreign fighters, ai fanatici islamisti. Soprattutto, è una storia di donne guerriere. Guerriere vere, non super eroine che si comportano come uomini con le tette e devono fare proclami ogni tre per due. No, qui sono sulla scena donne autentiche, alcune combattenti, altre che lo diventeranno con una psicologia credibile e fortissima, con debolezze e momenti di gloria.
Uno scenario terrificante di violenza e sopraffazione vera, dove o si combatte o si muore e le doti che vengono esaltate sono quelle umane (che non hanno genere) di resilienza e reazione, che poi sono il fondamento del cinema bellico autentico.
Il taglio cinematografico è ottimo, oserei dire che ha un’impronta che trova in Kathryrn Bighelow la sua origine. Giova al racconto non perdersi in discorsi, ma mostrare le cose più che spiegarle. Taglio documentaristico, ma a tratti chiaramente ispirato ai migliori classici dell’azione di tutti i tempi. La scena del serpente, l’escamotage finale, ne sono esempi, ma ci sono diversi pezzi d’azione diretti con una vigoria non televisiva che fa ben sperare che il cinema non sia morto. Poi ci sono intuizioni cinematografiche da applauso come il punto in cui le guerrigliere marciano cantando Bella ciao e tutto torna con i tempi giusti e la soddisfazione che lo spettatore cerca. L’imbarazzo sentimentale della Comandante ne esalta il personaggio, così come le burle iniziali ai danni della cecchina americana e altri brevissimi ma necessari momenti ludici (la sequenza dell’addestramento, la battuta “Non tutte possono far pratica sparando ai palestinesi”) ci stanno tutti. In breve mi ha emozionato ed esaltato. Un gruppo di sorelle guerriere alla Stephen Ambrose da ricordare. Donne delle quali anche un maschilista come il Professionista potrebbe innamorarsi.
La Pagina-Autore di Stefano Di Marino
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