È notte fonda. In un capannone semi abbandonato in una zona industriale, Laura Costantini si prepara all’intervista con Raistan Van Hoeck. E a sopravvivere.
L’ultima volta che mi hanno dato appuntamento per un’intervista in piena notte, dovevo incontrare un critico d’arte che si pregiava di essere fuori dagli schemi. E lo fu, in un modo che un giorno magari vorrò raccontarvi. Ma stasera ho l’impressione di essere incappata in uno scherzo di pessimo gusto da parte del gancio tra me e la persona che sta per consegnare ai lettori la quinta parte della sua infinita autobiografia.
Quindi. È notte. Siamo in una zona di capannoni industriali e vecchi studi cinematografici. C’è la nebbia. Ed è Halloween. Non può non essere uno scherzo, dai.
Comunque siamo in ballo. E balliamo. Mi hanno indicato con precisione luogo e orario. Sono in lieve anticipo, com’è mio costume. Una porta di metallo, aperta. All’interno uno spazio enorme, buio ed echeggiante. In un angolo un divanetto, un tavolino, una poltrona. E una lampada che più che allontanare il buio lo rende compatto. Mi rifugio nel suo alone e mi siedo sulla poltrona, piuttosto malmessa, decisa a lasciare il sofà all’ospite.
Apro la borsa, prendo il registratore, il cellulare, taccuino e penna e li metto sul tavolino. La penna cade a terra. Mi chino sul pavimento di cemento. Avverto una lieve corrente d’aria. Mi rialzo. E non urlo solo perché il fiato mi si è bloccato in gola.
Sul sofà c’è colui che dovrei intervistare. Pantaloni neri, stivali neri, T-shirt nera, giubbotto nero. Mezzi guanti da motociclista, neri. Capelli spettacolari, lunghi, lisci, biondo platino. Scuoto la testa, non ci posso credere. Esiste sul serio.
Deglutisco lo spavento, mi do un contegno.
“Buonasera signor Van Hoeck, grazie per aver accettato questo incontro.”
L’educazione prima di tutto.
“Non è stata di certo una mia scelta. Quella maledetta umana mi ha incastrato…”
La voce. Sembra arrivare da lontano. Profonda, indefinibile. Parla un buon italiano, come mi era stato anticipato. Ma la erre sembra ringhiata e le ci e le qu sono durissime, teutoniche. In ogni caso quello che ha appena detto non depone a mio favore. Cominciamo malissimo, direi. Mi sforzo di confezionare un sorriso.
“Le dispiace se registro?”
La domanda pare mandarlo in confusione per un istante.
“Perchè? Non può scrivere come tutti i giornalisti normali?”
“Le assicuro che sono normalissima, come giornalista. La registrazione potrebbe ovviare a eventuali mie mancanze. Ma se non vuole…”
Metto via il registratore. E cerco di fare mente locale, avevo delle domande in testa.
“Sta per uscire il quinto volume della sua autobiografia. I lettori sono appassionati alla sua storia, ma lei chiarisce, in ogni singolo volume, che non le interessa di loro. Del loro eventuale giudizio. Perché?”
“Perché non ho mai scritto per nessuno, se non per me stesso. Poi è arrivata quella donna…”
“Non la gratifica neanche un po’ tanta attenzione?”
“Tanta attenzione mi ha messo nei casini con il Tribunale Supremo del mio Clan. Quindi no, non mi gratifica molto. Ma gratifica lei. E insomma… è stata ad ascoltarmi. Giorno e notte. Quindi… va bene così.”
Burbero e un tantino impacciato. Mi piace.
“Vorrei chiederle cosa pensa dell’atteggiamento incoerente di noi umani. Io stessa ho seri problemi a credere che lei sia vero. Ma, al tempo stesso, troviamo la vostra razza estremamente attraente. Si è mai chiesto perché?”
“Ho smesso di aspettarmi coerenza da parte degli esseri umani molto tempo fa. Credo che sia invidia, la vostra, mista a paura e ignoranza. E voi tendete a distruggere quello che temete, non è così? Al dunque, nessuno vuole davvero avere a che fare con noi. Oppure sì?”
Sorride. E mette in mostra i canini. Lo fa apposta. Niente che io non sappia, ma vederli a neanche un metro di distanza non è come leggerli su un libro. Cerco, di nuovo, di darmi un contegno.
“Distruggere uno come lei non è impresa facile e, in fin dei conti, siamo in parecchi a voler avere a che fare con voi. Io sono qui. E, al contrario di lei, non mi sono sentita costretta. Mi interessa quello che ha da dire.” Mordicchio la penna, gesto non molto professionale, ma aiuta nei momenti di tensione. “Ha mai desiderato tornare un semplice umano?”
Ridacchia, anche se il sorriso non arriva mai agli occhi.
“Per cosa? Per essere di nuovo schiavo di vecchiaia, malattia e morte? O per elemosinare quella vicinanza e quella compagnia che non ho mai avuto, nemmeno da umano? No, grazie.”
Prendo nota.
“Però il suo rapporto con gli Andrews sembrerebbe testimoniare il contrario. Li ha amati perché erano umani. Non solo, lei sembra cercare e apprezzare la vicinanza di chi continua a essere schiavo di un’esistenza limitata. Non mi riferisco all’apprezzamento alimentare. Da quello che scrive, sembra che ciò che ha vissuto nell’infanzia abbia lasciato il segno al punto di spingerla a essere quello che è. Impressione sbagliata?”
“È stato un altro vampiro a spingermi ad essere quello che sono, non la mia infanzia. In ogni caso apprezzavo gli Andrews non perché fossero umani, ma per il fatto che a loro non importava quello che sono. Non mi hanno mai fatto sentire diverso. La bambina, poi, mi trattava come se fossi qualcosa di davvero speciale. Le cose che terrorizzano gli altri lei le apprezzava. Per il resto… Io li odio, gli umani. Non le scoccia, se fumo, immagino.”
Lo sa benissimo che non sopporto il fumo passivo. Ma a uno così, che ha appena detto di odiare gli umani, meglio non farlo presente. Tanto, se è vero quello che scrive, può leggerlo nella mia mente. E magari lo sta facendo mentre continua a guardarmi. Esattamente come i fari di una fuoriserie inchiodano un coniglietto sull’asfalto. Ce la sta mettendo tutta per scoraggiarmi.
Lo guardo fumare. Lascia uscire il fumo dalla bocca e dalle narici con lentezza, così che gli crei una specie di cortina nebbiosa davanti al viso. Non gli piacerà quello che sto per dire.
“Leggendo la sua autobiografia e dovendola definire, uno degli aggettivi che mi sale alle labbra è… esibizionista. Ci si riconosce? E come lo concilia con l’obbligo di tenere un basso profilo?”
Non apprezza. Per niente. Gli occhi gli si restringono in due fessure. E non è perché il fumo lo infastidisce.
“È una stronzata, non è vero niente. Ammetto di amare certe… manifestazioni che la mia natura… peculiare mi concede, ma solo quando le circostanze lo permettono. Crede che sia un idiota?”
No. Non lo credo. Mi sforzo di pensarlo con chiarezza. In modo che non abbia dubbi.
“Però un errore lo ha fatto, quella volta nel tunnel dell’Alma…”, azzardo.
“Nessuno è perfetto… Ho vissuto in segretezza per 311 anni, rivelando quello che sono soltanto a chi volevo io. Non è stato esibizionismo, quella volta. E non mi piacciono queste insinuazioni.”
Ecco fatto. Si è arrabbiato. E quando si arrabbia l’accento prende il sopravvento. Se fosse qui ad ascoltarlo, il povero Luca Ward si convincerebbe di essere una voce bianca.
“Non volevo insinuare, signor Van Hoeck. Lei stesso, nel libro, afferma che sarebbe stato più saggio, quella volta, fingere di essere morto e scappare dopo con comodo. Apprezzo molto il fatto di poterle parlare. Però non deve prendere ogni mia domanda come… un trabocchetto. Siamo qui, io e lei. E chi dovrebbe essere diffidente è la parte che ha più da perdere. Cioè la sottoscritta. Non trova?”
“E come le dovrei prendere?” chiede, lasciando di nuovo uscire con estrema lentezza il fumo dalla bocca.
“Come l’unico strumento che ho per… conoscerla. I giornalisti sono curiosi. E quelli migliori hanno una curiosità che non è fine a se stessa. Ha una vaga idea di quanto sia… elettrizzante poter parlare con una creatura leggendaria? Avere la prova provata che esiste? Ecco, io vorrei trasmettere queste emozioni a chi leggerà l’intervista. Se riuscirò a scriverla, s’intende.”
Sto cercando di ammansirlo. Lo confesso. L’accenno alla possibilità che non ci sia un’intervista perché l’intervistatrice è stata fatta a pezzi dovrebbe quanto meno divertirlo. Spero.
“Vedremo. Comunque immagino che sarà una cosa notevole da inserire nel suo curriculum, sì. Mi aspetto gratitudine, umana.”
Salivazione azzerata. Che intende per gratitudine? Io ho paura perfino degli aghi per i prelievi, figurarsi di quelle zanne lì…
“Se anche mettessi questo incontro nel mio curriculum, non mi crederebbero. Diciamo che resterà una delle esperienze da raccontare. Sempre se ci saranno tempo e modo di farlo.” Mi schiarisco di nuovo la voce. Alla fine mi consumerò le corde vocali, ma tanto non mi sarebbe utile preservarle per eventuali grida d’aiuto. Non c’è nessuno a parte noi due.
“Può dirmi, tra le molte epoche che ha vissuto, quale le è piaciuta di più?”
Lui si sta divertendo un casino. Lo capisco da come mi guarda. La sigaretta si sta consumando tra le sue labbra e non deve essere, tutto sommato, una brutta morte.
“Immagino che sia strano, per voi umani, parlare in termini di epoche, vero? Per voi il tempo scorre in modo del tutto diverso che per noi. La percezione di esso, voglio dire. Ogni epoca comunque ha portato con sé vantaggi e svantaggi. Un tempo si potevano uccidere le persone senza preoccuparsi troppo di essere scoperti, mentre oggi è tutto molto più complicato, e questo è davvero un peccato, per quelli come me. Gran parte del divertimento se n’è andato. D’altro canto però apprezzo la… pulizia delle città moderne e la possibilità di muoversi in giro per il mondo con molta più facilità. Un periodo in cui mi sono divertito parecchio sono gli anni ’70 del secolo scorso. Li ho trascorsi quasi per intero negli States, dove andava per la maggiore il Flower Power e tutte quelle stronzate. Amore libero, ragazze molto più disinibite… ho scopato come un pazzo, in quegli anni, e ucciso pochissime persone, perché ogni sera avevo a disposizione un sacco di donatori con la scusa del sesso. I miei capelli erano molto popolari…”
Oddio. Mi ha sorriso. Sul serio, Mi ha fatto anche l’occhiolino. Credo che la mia faccia stia andando a fuoco.
“Posso immaginare, lei ha capelli bellissimi…”
Non mi riconosco. Gli ho appena fatto un complimento. Penserà che sia la solita oca giuliva a caccia di rockstar. In fondo potrebbe esserlo, una rockstar. Heavy metal.
“Visto che ha preso lei l’argomento uccisioni: so che le è necessario uccidere per nutrirsi, ma mi sembra di aver capito che la cosa la diverte parecchio. A parte le considerazioni morali, che non credo possano fare la differenza per la sua razza, quante volte le è capitato di risparmiare qualcuno per pura pietà?”
“Uhm… non uccido i bambini. Non basta? E poi c’è stata una donna, una volta… Già. Una c’è stata.” Lo sguardo gli si fa remoto, come se stesse ricordando qualcosa di vagamente piacevole. Non dovrei spezzare il momento. Lo so. Ma è il mio lavoro. Non posso non fare la domanda che sto per fare.
“Dai suoi libri appare chiaro quanto lei si sforzi di descriversi come freddo, egoista e crudele. Poi però ci racconta della terribile sofferenza per la perdita di un amico. Stefan. Le va di parlarne?”
Il gelo. “Non faccio nessuno sforzo a descrivermi come freddo, egoista e crudele. È quello che sono. E no, non mi va di parlare di Stefan. E lei non lo nominerà più.”
Sbatto le palpebre. Fa freddo. Molto. Emana da lui. Cazzo. Ha richiuso la porta che aveva appena socchiuso. Cretina. Cretina. Cretina.
“Ha ragione. Mi scusi” mormoro, fissando il taccuino con un improvviso vuoto pneumatico nella testa. Sono triste. E, come il freddo, sono certa che tutta questa tristezza emani da lui.
Devo scuotermi. Lui ha spento il mozzicone sul pavimento di cemento. Potrebbe andarsene da un momento all’altro. Oppure decidere che l’ho scocciato abbastanza e… No, dai. Non lo farebbe.
La prossima puntata dell’intervista: 9 dicembre 2016.
Sono passati tre anni dalle vicende narrate nell’ultimo libro e il vampiro Raistan si ritrova ad affrontare un’emergenza di tipo completamente diverso dal solito: a causa di un terribile incidente stradale, i bambini della sua famiglia umana preferita, gli Andrews, sono rimasti soli e lottano tra la vita e la morte. Cosa fare? Prenderli con sé, condannandoli da subito a un’esistenza estranea al mondo umano, o rinunciare per consentire loro di condurre una vita normale, ammesso che sopravvivano? Che ne sarà di Ellie? Diventerà mai la Compagna di Sangue di Raistan? Un’inedita finestra sul mondo vampiro e su quello di RVH.
L’intera serie potete trovarla QUI.
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Laura Costantini dice di sé: Mi chiamo Laura Costantini. Sono nata a Roma, e la considero una grande fortuna, mentre il mondo tirava un sospiro di sollievo dopo la fifa blu per la crisi dei missili a Cuba, ignaro che stava per assistere alla fine di due grandi uomini: J.F. Kennedy e papa Giovanni XXIII. Sono cresciuta tra sbarchi sulla Luna, contestazioni studentesche e anni di piombo. Sarà per questo che amo di equanime e incondizionato amore la cronaca e la Storia con la S maiuscola? Ho imparato a leggere, come più o meno tutti, a sei anni. E non ho più smesso. Ho iniziato a scrivere storie mie a otto anni. E non ho più smesso. Dal 1994 mi guadagno da vivere esercitando il mestiere più bello del mondo: il giornalismo.
Un po’ di invidia. Perché negarlo? È da qualche mese che il ragazzo mi ha addentato, salvo pentirsene subito dopo… Noi vecchiette siamo temibili, anche per i vampiri alti due metri.
Un enorme, gigantesca, colossale invidia da parte della sottoscritta. Ci vuole del coraggio per stare nella stessa stanza con quel vampiro quindi grazie di averlo fatto! Non vedo l’ora di leggere la seconda parte!
Invidia perché alla fine io ci starei nella stanza con quel bestione, grande grosso e cattivo. Poi magari non sopravviverei, ma sarebbe una morte degna di nota.
Grazie a Laura che lo ha intervistato.
Grazie a “quell’umana” che ha combinato l’incontro.