14 febbraio, Festa degli Innamorati. Federica D’Ascani ha scritto questo brano dolce-amaro.
Mi ricordo che ero più che dodicenne. Avevo i capelli ricci, una frangetta odiosa che mia madre si ostinava a tagliarmi – e che io non ero ancora capace di lisciare come Cristo comanda – e il mito di Sailor Moon e il suo bel tenebroso nel cuore. Ma non c’era solo quello, nel mio ventricolo palpitante che si emozionava per ogni bacio rubato ai film. C’era anche lui, Vittorio. Un ragazzo stupendo – che è cresciuto pure bene, se vogliamo dirla tutta – dai capelli corti neri, occhi verdi smeraldo – da infarto – e un’espressione sempre imbronciata che per i miei ormoni in trepidazione erano croce e delizia. Lo avevo adocchiato sull’autobus che prendevamo entrambi per andare e venire da scuola. Frequentavo le medie, allora, e tutto era nuovo e brutto insieme. Le prese in giro per il mio scarso gusto nel vestire, troppo infantile per quei ragazzetti già scafati e ripetenti; i miei capelli sempre in disordine, poi, e il naso nei libri horror che tanto amavo… Insomma, io ero un disastro, ma lui no. Lui era perfetto. E io lo adoravo, pendevo dalle sue labbra, nonostante lui non sapesse neanche chi fossi. Per lo meno è ciò a cui ero abituata a pensare, troppo impegnata a scartare l’ennesima presa di petto per il mio essere più che dodicenne sprovvista di trucco e parrucco degno di una più che sedicenne.
Ricordate le scritte sul diario? Quelle fatte con i pennarelli Giotto, schizzate di bianchetto per ottenere le sfumature degne di un freestiler e colme di sogni, aspettative e progetti? Be’, io di quelle avevo fatto davvero incetta, tanto da non aver più spazio per annotare i compiti – ma che ci frega di quelli, la memoria a dodici anni è buona e anche quella dei professori quando ti rifilano un quattro per aver dimenticato di studiare. Vittorio era nel mio cuore, nella mia testa, e più lo vedevo più la mia cotta si intensificava. Presi, durante l’ultimo anno di medie, a informarmi su tutto ciò che lo riguardava. Dalla via in cui abitava, per poterci capitare “per caso” durante le passeggiate con le amiche il sabato pomeriggio, ai familiari, alle possibili ragazze interessate, a… tutto. Di lui praticamente sapevo tutto. Conoscevo la tonalità con cui arrossiva per un divieto dettato dalla signorina preposta a tenerci buoni sul pullman della scuola, il suo modo di mettere la nocca tra le labbra, assorto nei pensieri – magari rivolti a me? – oppure lo sguardo che mi rifilava quando, sfilandomi accanto tra i sedili per scendere, io rimanevo imbambolata a osservarlo incedere sicuro. Uomo, perfetto, maschio alfa che chissà come baciava.
Di Vittorio sapevo tutto e io ero cotta. Ossessionata se vogliamo.
Una tenera storia adolescenziale la mia, fotocopia di mille altre vissute prima e dopo di me. A quante di voi è capitato di vivere in questo modo uno dei primi amori, per lo più tiepidi echi di ciò che forse un giorno sarebbe avvenuto per davvero, concretizzando il fatidico primo bacio? A tante, ne sono certa… Ed era bello, era davvero bello. Struggente, doloroso, ma splendido. Perché vivevamo per l’attesa del momento in cui avremmo scoperto che il nostro interesse era ricambiato. Che figo sarebbe stato appurare che la meta dei nostri sogni si struggeva alla nostra stessa maniera, conservando magari un bigliettino passato con noncuranza, un coupon in un negozio dove entrambi eravamo capitati per caso, o – per le più fortunate – il ticket del primo cinema insieme…
«Non faccio altro che pensarti. Non riesco a toglierti dalla mia mente. Capitavo qui per caso e ti ho incontrata…» Queste erano le frasi che sognavamo di sentirci dire, nel pieno di una crisi ormonale fuori controllo, quando un infarto è la cosa più vicina all’innamoramento – roba che se quel batticuore, unito all’iperventilazione, ti prende a 30 anni pensi subito a un attacco di panico e cerchi le tue pillole omeopatiche.
E poi… Poi cresci, ascolti i notiziari, leggi gli articoli, conosci cosa significa stalking e femminicidio e tutto cambia. Le stesse frasi che fino a poco tempo prima ti avrebbero fatta volare fino al cielo, diventano strumenti di tortura, indizi di colpevolezza, ansie mattutine e terapista fantastellare. Se non la morte.
Quando, esattamente, è cambiato il nostro modo di vedere l’amore? Quando l’adolescente innamorato dell’amore, dentro di noi, ha smesso di esistere per dar spazio alla follia umana che in un secondo è capace di toglierti la vita? E il diritto ad amare e sentirsi importanti… dov’è finito?
San Valentino è la festa degli innamorati, eppure c’è da aver paura già dal giorno dopo. Perché attenzione e interesse hanno ormai un confine troppo labile con le parole stalking, gelosia e possesso.
E allora si rende necessario il doversi riappropriare di un diritto fondamentale, che avevamo e che ci è stato tolto, brutalmente e senza motivo. Il diritto a sentirci importanti, ma per davvero. Il diritto ad amare senza riserve, senza secondi fini.
L’amore, quello vero, io lo rivoglio indietro!
Postilla… Alla fine Vittorio mi lasciò un bigliettino all’alimentari, per un appuntamento in spiaggia. Io, vergognosa come poche, non andai mai… Poi lo incontrai qualche anno dopo, un figo che non vi dico, interessato e pronto all’attacco. Ma io ero fidanzata e il treno è passato. C’est la vie!
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