Non so bene cosa abbia votato mio padre al referendum, ma dal 1949, cioè da quando si sposarono, tutte le decisioni importanti in casa, comprese quelle politiche, le prendeva mia madre. Certo in pieno accordo con mio padre. Che formalmente era quello che decideva tutto. Una sola volta si azzardò a dissentire: per motivi clientelari voleva votare un socialista. Mia madre si oppose appassionatamente. E, nel segreto dell’urna, dove, come è noto, Dio ti vede, Togliatti Nenni e Saragat no, finì per votare sempre DC.

Eppure mio padre adorava la sfilata del 2 giugno. Una volta ci portò tutte a vederla. Avrò avuto forse 3 anni. Rammento un gran sole e un gran caldo. Non ci andai mai più e non la guardo mai neppure in televisione.
Però, quando, per qualche anno, per ragioni economiche, fu sospesa, ne sentii la mancanza. E penso che siano soldi ben spesi.
Perché i simboli in democrazia sono importanti. E ci sono cose che non si toccano. Per questo detesto gli sgarbi istituzionali di alcuni personaggi di oggi.
Quanto alle facce dei politici sotto il sole e il caldo, tutta la mia solidarietà. Però sono i doveri del ruolo. Come dicevano una volta, noblesse oblige. E la puntualità è la cortesia dei re.
Sempre sull’onda della nostalgia, mi ricordo quando mio suocero a proposito di quest’argomento parlava dei suoi genitori: suo padre votava comunista e ordinava alla moglie di fare lo stesso (era un gran fascista nel privato). La madre andava a votare e al ritorno dichiarava di aver votato DC. Rimediava addirittura un ceffone. E mio suocero pensava che fosse autolesionista: avrebbe dovuto votare quello che le pareva e stare zitta. Tanto nella cabina il marito non la vedeva.
Quando mi diceva questo, eravamo negli anni del femminismo. E nonna Armena, che io non ho mai conosciuto, divenne per me un simbolo delle lotte per la parità nel matrimonio.
Mio suocero era un tesoro con una grande apertura mentale. Ma era sempre un uomo.