Ringrazio Lucia Guglielminetti, autrice della saga RVH che ha come protagonista il vampiro Raistan Van Hoeck. Lucia ha scritto un racconto per festeggiare la nascita del sito. Protagonisti? Babette Brown (Annamaria Lucchese) e il vampiro centenario, bellissimo e crudele. Piccolo cameo della cagnolina Bonnie Lass.

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“Sicura che non vuoi che ti accompagniamo sotto casa, Anna?”
“Sicura! Ho mangiato troppo, ho voglia di fare due passi. Non vi preoccupate, è qui dietro l’angolo.”
“Mah, sai, con la brutta gente che c’è in giro…”
“Cosa volete che se ne facciano di una vecchietta come me? Ci sentiamo domani.”
“Va bene. Buonanotte allora. Grazie per la compagnia.”
“Grazie a voi!”

Annamaria si avviò a passo svelto per gli ultimi cento metri che la separavano da casa sua. Era una bella serata a Roma, l’aria era tiepida e poi la sua zona era sempre stata tranquilla. Mentre costeggiava il grande parco che si stendeva come un mantello verde di fronte a diversi condomini, il suo compreso, si immerse nelle riflessioni riguardo all’ultimo romanzo che stava revisionando.
Un fruscio tra i cespugli alla sua destra la fece voltare di scatto. Fino a quel momento, non un alito di vento aveva scosso le cime degli alberi e Annamaria si chiese che cosa potesse aver causato quello sventolio di frasche, peraltro molto localizzato. Mah. Forse un animale. Accelerò il passo, improvvisamente nervosa, anche se la vista del suo palazzo, in lontananza, la rassicurò.
‘Adesso una bella tisana, qualche coccola a Bonnie e poi a nanna. ’ pensò, concentrandosi sul rumore dei propri passi. Certo che non c’era proprio anima viva in giro, accidenti.

Una risatina, gelida come un soffio di vento polare, la fece di nuovo voltare di scatto, e con molta più apprensione di prima. Nel momento in cui dava le spalle alla macchia scura costituita dal parco, per attraversare la strada, due forti braccia la avvolsero e la trascinarono nel fitto della vegetazione. Tentò di gridare, ma una mano gelida le si posò sulla bocca, soffocando ogni suono. Si sentiva trasportare come se fosse senza peso e non riusciva a voltarsi per vedere in faccia il suo aggressore. I suoi tentativi di divincolarsi, poi, erano del tutto inutili. Un dolore lacerante le aggredì il collo, su un lato, e al terrore si unì l’incredulità: un vampiro? Proprio lì, a Roma? Nel suo mondo, reale e concreto? Va bene, sto sognando. Sto sognando e adesso mi sveglierò. Devo svegliarmi. Devo svegliarmi…
Poi successe qualcosa. La presa sulle sue braccia si allentò all’improvviso; la fitta al collo fu sostituita da un dolore sordo e pulsante, ma molto più lieve di prima. Un attimo prima di mettersi a correre come una disperata, per fuggire, udì imprecazioni in una lingua sconosciuta e raschiante, simile al tedesco. Lanciò uno sguardo alle proprie spalle e… si convinse di stare sognando davvero.

C’era… c’era un individuo biondo, con capelli lunghissimi, molto alto e tutto vestito di nero, che barcollava e la fissava con sguardo interdetto. Anche lei lo fissò per un attimo, tamponandosi il collo con una mano, sentendo il sangue caldo gocciolarle fra le dita. Sarebbe potuto sembrare un angelo, se non fosse stato per il sangue che gli colava lungo il mento e gli imbrattava le labbra.
Niet mogelijk…” balbettò il losco figuro, anche se Annamaria capì qualcosa come “nt mchlch” e di certo non si preoccupò di chiedergli il significato della sua frase. La sua razionalità era troppo impegnata a lottare con l’immagine che gli occhi le rimandavano. Quello era… quello era…

Con la mano sempre premuta sul collo, si mise a correre, guardandosi febbrilmente intorno alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarla, ma il parco era deserto e la strada, ora, le appariva molto lontana.
Voglio svegliarmi, voglio assolutamente svegliarmi! Lo sapevo che quell’assenzio mi avrebbe fatto male, è la prima e l’ultima volta che lo bevo, non dovevo accettare!
“Chi cazzo beve assenzio nel ventunesimo secolo, goedkope teringslet?[1] Aspetta!”
Come, aspetta? Aspettare cosa? Che tu finisca la tua cena?
“Devi aiutarmi, donna! Aspetta!”

Voi vi fermereste, se foste riusciti a mettere ko il vostro assalitore, anche se in modo del tutto fortuito? Annamaria no. Attraversò il parco di corsa e finalmente raggiunse di nuovo la strada. Non si fermò fino a quando non fu al sicuro nell’atrio del proprio palazzo, col cuore che minacciava di esploderle nel petto. Si lanciò nell’ascensore e poi nel proprio appartamento, chiudendosi la porta alle spalle. Bonnie l’accolse nel solito modo festoso e Anna si lasciò coccolare dal setter per qualche istante, prima di dirigersi in bagno per verificare l’entità della ferita sul collo. Era meno peggio di quanto aveva temuto: solo un sottile rivolo di sangue colava ancora dai due minuscoli fori – un vampiro! Sono stata davvero aggredita da un vampiro! – anche se il colletto della camicetta ne era impregnato. Erano quei piccoli dettagli, così precisi, a farle dubitare che fosse un sogno, anche se lo avrebbe desiderato con tutte le sue forze. E poi i suoi sogni non erano mai così vividi. No, in quel parco era davvero successo qualcosa. Qualcuno l’aveva aggredita sul serio. Magari non proprio un vampiro, ma di sicuro un pazzo che si credeva tale. Doveva chiamare la Polizia e segnalare il fatto, perché non capitasse a qualcun altro. Andò in soggiorno per prendere il cellulare e si rese conto, in un supplemento di orrore, che la borsa non c’era da nessuna parte. Doveva esserle caduta durante la colluttazione con lo squilibrato, accidenti. Ma se lui l’avesse trovata, con portafoglio, documenti e tutto, avrebbe saputo come rintracciarla! Il cuore di Anna riprese a battere all’impazzata e la povera donna si lasciò cadere sulla poltrona accanto alla finestra, più spaventata di quanto non fosse mai stata in vita sua. L’abbaiare minaccioso di Bonnie dal corridoio la fece trasalire.

Bonnie non abbaiava mai senza un motivo.
“Piccola, cosa c’è? Bonnie?!”
Il fisso. Doveva raggiungere il telefono fisso nell’ingresso e chiamare la Polizia, i Carabinieri, l’Esercito. Oppure doveva svegliarsi, perché quello che le era accaduto nel parco non era in nessun modo possibile Se anche lo avesse raccontato a qualcuno, chi le avrebbe creduto? I poliziotti le avrebbero riso in faccia!
Bonnie sembrava impazzita, intanto. Anna si alzò dalla poltrona, le gambe deboli e tremanti, e si diresse lentamente verso il corridoio. Le pareva di sentire dei suoni leggeri, al di là della porta di ingresso, come se qualcuno stesse grattando il legno con le unghie; quando poi impose il silenzio al cane, fu certa di aver sentito anche dei lamenti soffocati. Oddio! Oddio, e adesso?
Si precipitò sul telefono e quasi se lo fece sfuggire di mano; Bonnie raspava la porta e ringhiava.
Mentre digitava le cifre con frenesia – solo tre, ma oh, sembravano molte di più – la porta si spalancò e rimbalzò all’indietro sui cardini, investita da una forza sovrumana e il telefono le venne strappato di mano, quasi nello stesso momento. Anna strillò e Bonnie si andò a nascondere dietro di lei, guaendo. L’enorme individuo in cui si era imbattuta nel parco era lì, davanti a lei, ma nemmeno la guardò; si lasciò cadere sulla poltroncina accanto alla consolle e rovesciò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi, come se avesse tutto il diritto di accasciarsi nell’ingresso di una sconosciuta.
“Ripeto la… domanda… chi cazzo… beve… assenzio… nel ventunesimo secolo?!” borbottò il bestione, con voce rauca e profonda, in un italiano dall’accento particolare.
E adesso che cosa faccio?! Non è possibile che mi stia succedendo questo! I vampiri non esistono!
Anna fece dunque la cosa meno prevedibile dell’universo: scoppiò a ridere. E più rideva, più l’ilarità aumentava. O quello, o chiamare un’ambulanza per un ricovero psichiatrico volontario. Vedere la faccia del vampiro che la fissava torvo dalla poltroncina, troppo piccola per lui, non l’aiutava di certo a ricomporsi. Era lampante che il suo comportamento lo offendeva a morte, ma per alcuni istanti non riuscì a fare altro. Con le lacrime che le rigavano le guance, riprese a poco a poco il controllo di sé, ma con esso tornò anche la paura.
Il tizio la stava osservando dalla propria postazione, ma non diceva più niente. Si stava artigliando la maglia all’altezza del torace, le nocche sbiancate per la forza che metteva in quel gesto. Bonnie invece sembrava essersi calmata, anche se teneva gli occhi fissi sull’intruso. Il bestione chiuse gli occhi, mentre alternava inspirazioni ed espirazioni affannose a fasi di stallo completo. Non era normale. Niente in lui lo era. Non il pallore. Non i canini che si intravedevano tra le labbra esangui, socchiuse. Nemmeno gli occhi, per quello che aveva potuto vedere, anche se le sfuggiva il dettaglio che glieli aveva fatti apparire così strani.
A un tratto, l’uomo scivolò di lato giù dalla poltrona e si afflosciò sul pavimento, restando immobile. Oddio, e se era morto? Cioè, non morto-vivo come un vampiro, ma proprio morto come un umano defunto? Che cosa avrebbe raccontato alla Polizia, in quel caso? Anna rimase a fissare il corpo allungato nel bel mezzo dell’ingresso, poi mosse qualche passo esitante verso di lui, accompagnata dal cane, brandendo un ombrello pieghevole; fu in quel momento che la mano gelida dello sconosciuto si chiuse sulla sua caviglia. Anna lanciò uno strillo e poi usò l’ombrello come una clava, colpendo ripetutamente sul capo l’intruso, che lasciò la presa e usò la mano per proteggersi la testa da quella gragnuola di colpi, lasciandosi sfuggire buffi versi indignati a ogni botta.
“Giù… le… mani… ti… faccio… vedere… io… maniaco… che… non… sei… altro!” urlava Anna, inframmezzando le parole con nuove ombrellate. Uno spaventoso ringhio si levò dalla gola dell’individuo, che fece del suo meglio per alzarsi; riuscì a mettersi in ginocchio, fissando la donna con sguardo mortifero, i canini sguainati in una smorfia spaventosa, ma un colpo particolarmente forte, sul lato del viso, lo rispedì a terra, dove rimase a fissare il soffitto con aria incredula. Bonnie abbaiava di nuovo e Anna ansimava, l’ombrello ormai sbilenco ancora in mano.
“Adesso chiamo davvero la Polizia, brutto bastardo! Guarda, si è rotto il manico! Era di Yves Saint Laurent! Disgraziato!”
Ma che sto dicendo?!! si chiese Anna, poi si rese conto che i vicini di lì a poco avrebbero protestato per il chiasso che Bonnie stava facendo e la chiuse in soggiorno, imponendole il silenzio. Già, ma adesso? Se la faccenda dell’assenzio, tossico per i vampiri, era vera, e pareva esserlo, per tutta la notte il bestione sarebbe stato ko, ma di certo non poteva convivere con uno psicopatico sdraiato nel suo corridoio, nemmeno per poche ore.
“Riesci a parlare?” gli chiese, entrando nel suo campo visivo.
“Puttana…” biascicò lui. Sì, ci riusciva, almeno per dire le cose importanti.
“Sei… sei davvero un vampiro?”
“Stronza, mi hai fatto male…”
Anna vide un’abrasione sul viso candido del vampiro sbiadirsi fino a scomparire. Oh, santa Madonna, era proprio vero!
“Sto per chiamare la Polizia. Verranno a prenderti e ti butteranno in una cella. Rispondi alla domanda.”
“E se… anche… fosse? Che… te ne importa? Non… c’è… molto che… posso… fare… per ora… come vedi…”
“Possa, non ‘posso’. Ridammi la mia borsa. Adesso. Subito.”
“Non ho… nessuna borsa…”
“Non ti credo! Come avresti fatto a trovarmi? Guarda che ricomincio a picchiarti, ti avverto!”
“Ti… ti ho seguito, donnetta idiota…” ringhiò il vampiro. Sembrava non riuscire a parlare in altro modo, se non masticando le parole e sputandole fuori in schegge taglienti.
“E allora dov’è?”
“WhatthafuckdoIknowboutyourbagbitch!”
Anna fu seriamente tentata di ricominciare a martellarlo con l’ombrello. Era una tragedia. Una vera tragedia! Quasi quanto avere un vampiro di due metri coricato sul pavimento dell’ingresso.
“Ok. Va bene. Va bene. Facciamo un patto. Io non chiamo la Polizia, ma tu te ne vai. Ora. E non mi ammazzi e non torni mai più. D’accordo?” Avrebbe voluto che la sua voce suonasse sicura e autoritaria, invece quelle due ultime parole le uscirono in un tono supplichevole di cui si pentì subito.
“Non… posso andare… da nessuna parte… stupida donna… mi hai… avvelenato col tuo sangue…”
“Nessuno ti ha obbligato a mordermi! Quindi? Cosa dovrei fare, prepararti la camera degli ospiti?! Comunque non ci credo. Non posso credere che sei vero!”
“Sai che cazzo me ne frega… di quello che… credi…” rispose il biondo, tentando di mettersi a sedere, costretto a desistere dopo pochi, ridicoli tentativi punteggiati di imprecazioni in varie lingue.
Anna, per parte sua, era in panico. Chiamare la Polizia era l’unica soluzione che le veniva in mente, ma sapeva che se lo avesse fatto, e se quel tipo era davvero quello che sembrava essere, sarebbe stato come condannarlo a morte… o a qualcosa di peggio.
“Perché mi hai seguito?! Per uccidermi, vero? Dillo che è così!”
“Per… salvarmi. Non riuscivo a scavare… per interrarmi… il posto… dove abito… è troppo lontano… non sapevo… dove andare…”
“Ahhh, quindi volevi impossessarti di casa mia e restarci fino a quando gli effetti dell’assenzio non fossero passati! Vero?!”
“Sì” ammise il vampiro, con candore. Non aveva più aperto gli occhi e non si muoveva, se non per strani spasmi che, di tanto in tanto, gli facevano sobbalzare le gambe e le braccia. La sua voce era sempre più debole e stentata, come quella di una persona che sta per sprofondare in un sonno profondo.
“E mi avresti ucciso?!” chiese Anna, temendo di sapere quale sarebbe stata la risposta.
“Sì.”
“E certo! Tanto a te che importa? Una più, una meno…”
“Esatto.”
“Viva la sincerità, complimenti! E secondo te io cosa dovrei fare, adesso?”
Il vampiro aspettò un bel po’ prima di rispondere, tanto che Anna pensò che si fosse addormentato. Poi, con voce ridotta quasi a un sussurro, disse: “Immagino che dovrai… uccidermi. Fai in fretta. Spezza il manico… dell’ombrello e usalo… nel mio cuore. Muoviti, vecchia.”
La sua risposta spiazzò totalmente Anna, che rimase a fissare il suo assalitore senza sapere come replicare.
Un’idea assolutamente folle si stava ora affacciando nella sua mente. La respinse con decisione, ma quella continuava a tornare fuori e a rosicchiarle il cervello come un fastidioso tarlo. E se… No, no, troppo pericoloso!
Anna recuperò il telefono. Avrebbe chiamato la Polizia e ci avrebbero pensato loro. In fondo era stata una lampante violazione di domicilio.
“Metti giù quel… cazzo di… telefono… ventiquattro ore… metti giù ti ho detto… Krijg kanker en ga dood, hoer![2]
“Ventiquattr’ore cosa?” chiese Anna, confusa.
“Io… qui con te… ventiquattro ore. I tuoi pensieri… lampi nella tua testa… e nella mia…”
“Cioè tu pensi che io vorrei passare una giornata intera con uno che mi ha quasi squarciato la gola a morsi e che mi avrebbe ucciso senza battere ciglio dopo essersi introdotto in casa mia?! Tu sei pazzo, decisamente.”
“Credo che pazza sei tu… i tuoi pensieri sono molto chiari.”
Anna sentì il viso prenderle fuoco e si maledisse per la propria curiosità che superava persino il buon senso. Ma, diavolo, quando le sarebbe ricapitata un’occasione del genere?! Poter osservare un vero vampiro, parlargli, proprio come aveva sognato tante volte di fare leggendo i libri che li riguardavano!
Sia tu. Ammettiamo che l’idea possa avermi sfiorato la mente. Io ti ospito, ma tu sarai gentile. E non m’incanterai e tanto meno mi ucciderai, alla fine. Se no… per me è un attimo, chiamare la Polizia, ma non sono tipo da uccidere chicchessia a sangue freddo, nemmeno un assassino.”
“Perché… no? Noi ci dissolviamo. Non avresti… nemmeno cadavere da nascondere. Nessuno… lo saprebbe… mai. Nessun rischio. Non puoi fidarti… di uno come… me.”
“Te l’ho detto, non posso uccidere nessuno a sangue freddo. Prometti che non mi farai del male.”
“Tu credi a… promessa di… un killer? Un vampiro?”
“Lo so che non dovrei, ma… sì. Potrei crederci. Anche un killer può avere un onore. Allora?”
Un silenzio lungo come un millennio. Il vampiro non lo avrebbe mai ammesso, ma era confuso e colpito dal coraggio di Anna.Tuttavia, la sua estrema diffidenza non gli permetteva di provare sollievo per il suo rifiuto di ucciderlo o di chiamare la Polizia. Gli umani erano davvero imprevedibili. Il suo cervello lavorava alacremente per trovare una via d’uscita dignitosa a quell’imbarazzante situazione, di cui non avrebbe mai parlato ad anima viva, e neanche morta, se è per questo. Messo sotto da una vecchietta paffuta. Robe da matti. Che cosa poteva desiderare da lui, quella pazza? Che cosa gli avrebbe chiesto? Sesso? Pulizie? Bricolage? Nonostante la sua esperienza pluricentenaria, non si era mai trovato in circostanze tanto surreali e non riusciva a prevedere quello che sarebbe successo. Per il momento era davvero in suo potere. Che cosa gli conveniva fare? Se lo voleva trattenere, significava che in fondo era attratta da lui. Magari avrebbe potuto approfittarne. In fondo ammirava la sua sfacciataggine, un po’ meno il modo avido in cui lo stava guardando, come se si stesse già facendo un film mentale sulle ore a venire.
La fissò per un lungo istante; Anna, invece, ritenne saggio non guardarlo negli occhi, visto quello che, si diceva, riuscissero a fare con lo sguardo.
“Va bene… ma non faccio niente… che… non voglio… fare…” Seguì un lungo borbottio in olandese che Anna fu felice di non comprendere. Adesso il problema più urgente era dove sistemarlo per evitare che la sgozzasse e che prendesse fuoco alle prime luci del giorno. Era probabile che avrebbe dovuto usare davvero la stanza degli ospiti, chiudendo per bene tapparelle e tende… ma come ce lo avrebbe portato? Uno dei gatti di Anna intanto era sgattaiolato fuori dalla cucina e, dopo essersi strofinato con voluttà contro le caviglie della padrona, si era diretto a passo sicuro verso il suo ospite, lo aveva annusato e gli era montato sul petto, con fusa rumorosissime. Quando il vampiro gli aveva soffiato, mostrandogli i denti, ne era disceso, non prima di avergli lanciato un’occhiata di puro disprezzo felino.
“Non ti piacciono i gatti?”
“Sto… male, se ti è sfuggito. Non ho voglia di… fare…da cuscino per nessuno…”
“Immagino che tu non voglia aspettare l’alba qui nell’ingresso. Al mattino, con la finestra del soggiorno, è inondato di sole. C’è una camera che può andare bene, ma non puoi aspettarti che ti sollevi di peso. Dovrai aiutarmi, va bene?”
“Non… non so se ce la faccio, donna…”
Dio, speriamo che non mi venga il colpo della strega… due idioti coricati nel corridoio, di cui uno che va a fuoco…
“Devi. Forza. Al mio tre, tu spingi e io tiro. A proposito, come ti chiami?”
Una lunga pausa seguì la domanda di Anna, mentre il vampiro la scrutava con gli occhi stretti in due fessure piene di diffidenza.
“Puoi chiamarmi… Ray.”
Non fu semplice e non fu nemmeno divertente. Le gambe di… Ray sembravano appartenere a qualcun altro e per un buon tratto di corridoio Anna lo ebbe appoggiato addosso con tutto il suo peso, ringhiante e furioso. Ancora si stava chiedendo che razza di idea del cavolo le fosse venuta, a ospitare un letale serial killer in casa sua. In qualche modo riuscirono a raggiungere la stanza degli ospiti e il vampiro si afflosciò sul letto, osservandola torvo. Sembrava sprizzare indignazione da ogni poro, come se considerasse Anna responsabile per quella disavventura, e rifiutò la sua offerta di aiuto per togliersi cappotto di pelle e stivali.
“Adesso chiuderò la porta a chiave, spero che mi comprenderai. Non è per imprigionarti, solo per riuscire a dormire almeno qualche ora senza poi svegliarmi con la gola squarciata. Spero che domani starai meglio. Buonanotte.”
Ray non le rispose. Voltò la testa dall’altra parte e chiuse gli occhi. Anna credette di sentirlo digrignare i denti per la rabbia. Si chiuse la porta alle spalle con due giri di chiave e raggiunse la propria camera, portandosi dietro Bonnie. Lei si sarebbe accorta se un intruso – quell’intruso – si fosse introdotto nella stanza. Si coricò, convinta di non riuscire a chiudere occhio, ma era tale la stanchezza che il sonno la colse dopo pochi minuti.

Le sembrava di essersi appena addormentata, quando una voce la fece saltare a sedere sul letto col cuore in gola. Qualcuno la stava chiamando. Oddio! Oddio, era Rondel, il filippino! Si era dimenticata di dirgli di non venire a lavorare! Se fosse entrato nella camera degli ospiti sarebbe stata la fine! Si scagliò giù dal letto, afferrando al volo la vestaglia, e si precipitò fuori dalla sua stanza. La schiena reagì con una fitta poco rassicurante. Riuscì a congedarlo millantando un impegno inesistente e trasse un sospiro di sollievo. E adesso?

Il dubbio di essersi sognata ogni cosa non l’abbandonava, quindi decise di andare a controllare se davvero, nella stanza degli ospiti, c’era un Figlio della Notte – anche figlio di qualcos’altro – che dormiva. Erano le dieci del mattino, il sole era alto nel cielo; probabilmente non avrebbe rischiato nulla. Probabilmente. Per sicurezza impugnò un candelabro d’argento, souvenir di un viaggio in Israele e chiamò Bonnie perché l’accompagnasse.
Fece girare la chiave nella serratura.
Prese un lungo respiro tremante.
Abbassò la maniglia.
Accese la luce.
Sbirciò all’interno.
Il cuore le si fermò per un attimo, per poi partire in picchiata.
Non c’era nessuno.

Oddio, il bestione non c’era più! Fece appena in tempo a notare che il letto appariva scombinato, come se qualcuno ci si fosse coricato sopra, prima di essere afferrata per un braccio e attirata all’interno. La porta si richiuse alle sue spalle, chiudendo fuori il cane, che si mise ad abbaiare e a raspare, disperato, e Anna si ritrovò a fissare da vicino, molto da vicino, il vampiro negli occhi. Occhi gelidi, color ghiaccio, con la pupilla sottile come un ago. Non stava dormendo. Era in piedi e incombeva su di lei e le mostrava i denti in una smorfia spaventosa e perdeva sangue dal naso. Anna notò con distacco dettato dal panico le gocce che colavano sul pavimento, poi realizzò di avere ancora il candelabro d’argento in mano e tentò di colpire Ray, ma l’oggetto le venne strappato via e gettato lontano. Fu investita da una sensazione di soffocamento così potente che credette di perdere i sensi, tanto da doversi tenere alla parete per non finire lunga e distesa. Lui la guardò, distendendo le labbra in un ghigno crudele, per poi rivolgerle un ruggito così terrificante che persino Bonnie, al di là della porta, guaì e si ammutolì. Anna invece si schiacciò contro il muro con la schiena, convinta che fossero gli ultimi momenti della propria esistenza. Invece, inaspettatamente, il vampiro fece un passo indietro e si asciugò col dorso della mano il sangue che gli colava sulle labbra e sul mento.

“Sapevo che non resistevi alla tentazione di venire a curiosare. Siete tutti così prevedibili… Purtroppo sono bloccato qui per un giorno intero, ma non puoi obbligarmi a fare nulla. Ho voluto aspettarti sveglio per dirtelo, ma adesso mi metto a dormire. E la chiave della camera la tengo io. Se vuoi scusarmi…”
Anna si sentì sopraffare da una tale indignazione che avrebbe voluto cavare con le unghie gli occhi a quel bastardo.
“Avresti resistito! Sì, sì, bravo, dormi. Ma ricordati che il telefono ce l’ho sempre io!”
“Non chiamerai nessuno” la liquidò lui, coricandosi sul letto. Nonostante la manifestazione di forza di poco prima, i suoi movimenti erano ancora lenti e pesanti, come se faticasse a controllarli.
“Ah no?” rispose Anna, indispettita.
“No. Come giustificherai il fatto che mi stai ospitando? Penseranno me morto e ti faranno un sacco di domande… spiacevoli. Finirai sul giornale. Chiacchiere… pettegolezzi… tutti che ti guarderanno strana… adesso lasciami dormire.”
Anna fece dietro front e si diresse come una furia verso la porta, ma poco prima che uscisse il vampiro la richiamò: “Perché… perché fai questo? Se non volevi uccidermi, potevi chiamare la Polizia. Perché rischiare tanto? Potrei ucciderti anche adesso… lo sai, vero?”
“Se avessi voluto farlo, lo avresti fatto, immagino. Ma è evidente che le promesse valgono anche per i vampiri. Ci vediamo al tramonto. E si dice Penseranno che io sia morto. Oh.”
“Non hai risposto a mia domanda.”

Alla mia domanda. E tu non mi puoi obbligare. Dormi.”
“Sissignora. E tu smetti di correggere me. Non parlo italiano da due secoli, posso avere dimenticato qualcosa?”
“>Anna sentì le labbra incurvarsi in un debole sorriso e si stupì nel vedere che anche l’espressione del bestione si era leggermente addolcita. Richiuse la porta dietro di sé e decise di dare inizio a quella che si prospettava come la giornata più bizzarra della sua intera esistenza.

Ore 17.30
Ecco, il sole era ormai tramontato. E adesso?
Aveva trascorso tutto il giorno in uno stato di agitazione totale, alternando momenti in cui non vedeva l’ora che il tempo passasse, con altri in cui era stata tentata di fuggire, per non farsi trovare in casa quando il vampiro si fosse svegliato. Intorno all’una del pomeriggio, poi, non aveva resistito e si era avvicinata alla camera degli ospiti per cogliere eventuali rumori provenienti dall’interno, ma il silenzio sembrava totale. Convinta di trovare la porta chiusa a chiave, aveva abbassato la maniglia senza convinzione alcuna e si era stupita di trovarla aperta, ma aveva indugiato a lungo sulla soglia, prima di decidersi a entrare. E se, pur addormentato, l’avesse sentita e le fosse saltato alla gola per puro istinto di difesa? Eppure, il bisogno di verificare se non era stato tutto un sogno bizzarro si faceva sempre più pressante.
L’interno della stanza era immerso nel buio e nel silenzio più totali. Nemmeno l’eco di un respiro. Visto lo spavento di poche ore prima, Anna esitava persino ad accendere la luce, ma alla fine premette l’interruttore. Eccolo lì. C’era davvero. Coricato sul letto con indosso soltanto i jeans neri, le braccia incrociate sul petto con i pugni chiusi appoggiati alle spalle in un chiaro tentativo di difesa… Dio, che spettacolo! Il ventre piatto, con i muscoli addominali ben delineati e una deliziosa striscia di peli chiari che s’inabissava nei pantaloni… quegli incredibili capelli biondi sparsi sul cuscino, dall’aspetto setoso, come quelli di un angelo… il profilo perfetto, con la linea decisa degli zigomi e le labbra piene, appena socchiuse a rivelare la punta dei canini… le ciglia lunghe, un po’ più scure dei capelli, di un biondo quasi bianco… avrebbe potuto passare ore a contemplarlo. Come poteva tanta grazia convivere con tale ferocia?
Con notevole sforzo, Anna aveva spento la luce e si era imposta di pensare ad altro.

Il lieve scricchiolio della porta della camera che si apriva la fece sobbalzare. Era in soggiorno, davanti al computer, ma da più di un’ora fissava lo schermo senza in realtà rendersi conto di ciò che le stava di fronte, gettando occhiate nervose verso la finestra ogni pochi istanti, per rendersi conto del calare del buio. Anche Bonnie, distesa ai suoi piedi, alzò la testa di scatto e si mise a ringhiare. Col cuore che minacciava di esploderle nel petto, Annamaria si voltò verso la porta della stanza, sistemandosi i capelli con gesti nervosi e chiedendosi subito dopo il perché. Un attimo dopo, la soglia venne occupata quasi per intero dalla gigantesca figura del vampiro, che le rivolse uno sguardo di sufficienza prima di andarsi a sedere sul divano, allargando le braccia sullo schienale e allungando le gambe, per poi incrociarle all’altezza delle caviglie. Indossava una semplice t-shirt nera con le maniche lunghe, aderente, che metteva in risalto il suo fisico possente, jeans neri e uno sconfinato paio di stivali da motociclista, dall’aria vissuta e pieni di fibbie.

“Buonasera… Anna. Ti chiami così, no?”
“Sì. Buonasera. Ehm… dormito bene? Stai meglio?”
“Molto bene, grazie. Tuo letto è molto comodo. E sì, sto meglio. Allora? Che cosa posso fare per te, a parte non squarciarti la gola?”
Ecco, la domanda da un milione di dollari! Ci aveva pensato tutto il giorno, ma non le era venuto in mente niente che il vampiro non avrebbe giudicato stupido e infantile. Sospirò e abbassò gli occhi.
“Niente. Era una richiesta assurda. Vai pure, se vuoi.”
Ray aggrottò la fronte e la fissò. “Così mi offendi, donna. Sono così poco interessante o ospiti vampiri in casa tua tutti i giorni, tanto che non vuoi scambiare neanche due parole?”
“No, no, anzi, ma… è vero. Non posso costringerti a fare niente e nemmeno voglio. Vai, vai pure. Solo una cosa… davvero non hai preso tu la mia borsa? Oggi sono tornata al parco, ma non l’ho trovata. Sono preoccupata, c’erano dentro i miei documenti e tutto quanto… per fortuna avevo le chiavi in tasca, ma chiunque, adesso, potrebbe rintracciarmi…”
“No. Non l’ho presa. Ti ho seguito, come ti ho detto.” Il vampiro si alzò dal divano con una mossa fluida e velocissima che fece trasalire Anna e le fruttò uno sguardo vagamente schifato da parte sua, poi si avvicinò alla libreria e si mise a leggere i titoli sul dorso degli innumerevoli volumi che conteneva. Di tanto in tanto ne estraeva uno, lo sfogliava e poi lo rimetteva a posto senza commentare.
“Leggi molto, vedo.”
“Oh, sì. Quasi in continuazione. A te piace?”
“L’eternità sarebbe insopportabile, senza buone letture. Tu hai lavoro?”
“Ero un dirigente scolastico, ma sono andata in pensione due anni fa.” Mi sta parlando. Sta facendo conversazione con me, come una persona normale! Non ringhia nemmeno più! “Che… ehm… che libri ti piacciono?”
Lui scrollò le spalle con aria noncurante. “Basta che non siano… romances… you know… poi va bene tutto. Saggi. Storici. Romanzi. Anything goes, come dite, voi?”
Anna annuì, sentendosi felice in modo irrazionale. “E qual è l’ultimo libro che hai letto?”
Il vampiro si grattò la testa in un gesto del tutto umano, che su di lui risultò assurdamente buffo.
The Army of sleepwalkers. Di Wu qualcosa. Parla di tempi che ricordo molto bene. Io c’ero, insomma. French Revolution, hai presente?”
“Sei… sei così… ehm… antico?”
Ray sorrise e annuì. “Grazie per non aver usato la parola ‘vecchio’. Sì. Sono nato nel 1677. Nel 1705 come vampiro.”
“Tranquillo, non li dimostri assolutamente” disse Anna ricambiando il sorriso. “E da dove vieni? Parli italiano abbastanza bene, ma si sente che non sei di qui.”
The Netherlands. England. France. Molti posti.”
“E cosa ci fai a Roma? Anche i vampiri fanno turismo?”
“Certo! Con tutto il tempo che abbiamo…” le strizzò l’occhio e tornò a esaminare i libri. Bonnie gli si avvicinò circospetta e Ray si abbassò su un ginocchio per accarezzarle la testa.
Anna pensò di essere sul punto di innamorarsi.

I minuti passarono, seguiti da ore intere.

Il vampiro sembrava a proprio agio e non dava segno di volersene andare. Non si era ancora concesso una vera risata, ma ridacchiava spesso, in un modo che faceva pensare a una folata di vento. Si muoveva per la stanza con l’eleganza di un felino, di solito con lentezza, tranne quando qualcosa attirava la sua attenzione; allora lo raggiungeva con uno scatto fulmineo che spaventava e confondeva Anna, cosa per la quale il suo ospite si scusava regolarmente, ma sempre con quello sguardo sornione negli occhi dal taglio allungato, come se la sua paura, in fondo, lo divertisse. Quando venne l’ora di cena, la seguì in cucina e assistette con attenzione alla preparazione del pasto. Di tanto in tanto impugnava un attrezzo, se lo rigirava tra le mani con aria perplessa e poi lo rimetteva al suo posto, oppure chiedeva informazioni ad Anna sul suo utilizzo.
“Da tanto tempo non vedevo preparare cibo… umano. Credo l’ultima volta è stato nel… uhm… 1880, più o meno. Proprio qui in Italia.” Un’ombra transitò sul suo viso e Anna preferì non approfondire l’argomento. Buffo avere quel bestione alle calcagna, che la osservava con l’attenzione che si riserverebbe a un prestigiatore.
Almeno fino a un certo punto.

A un tratto, mentre stava aprendo un barattolo di conserva sul lavello, Anna sentì la sua presenza incombere alle proprie spalle. Vicino. Molto da vicino. Si voltò appena e si ritrovò con il suo naso a pochi millimetri dal collo. La stava annusando. Rabbrividì, perché sembrava emanare gelo e s’irrigidì, temendo che stesse per morderla di nuovo.

“Aroma interessante, umana. Scommetto che tuo gruppo sanguigno è piuttosto raro. Peccato che ieri era rovinato dall’assenzio, non ho potuto cogliere per bene il gusto” soffiò lui, a brevissima distanza dal suo orecchio.
Fosse rovinato. No, no, non è niente di speciale, davvero…”
“Non ne sono convinto. Ho olfatto piuttosto sviluppato…”
Ora la stava proprio schiacciando contro il mobile e non sembrava avere nessuna intenzione di togliere l’assedio. Anna era paralizzata con la lattina di pomodoro in mano e non osava nemmeno respirare.
“Di sicuro è tossico anche oggi, staresti di nuovo male!” balbettò.
“Forse sì, forse no…” alitò lui, facendole percepire un’eco del proprio respiro gelido. I suoi capelli spiovevano in avanti sul braccio di Anna, regalandole altri brividi. Un attimo dopo, la pressione alle sue spalle era scomparsa e il vampiro sedeva sul ripiano della cucina dietro di lei, una sigaretta abbandonata con noncuranza a un angolo della bocca e gli occhi socchiusi nel solito sguardo sornione, vagamente divertito.
“Che cosa pensavi, esattamente, quando hai inventato questo patto? Che cosa volevi che io facevo? Dimmelo.”
Anna si lasciò sfuggire un respiro tremante, mentre il suo cuore riprendeva a poco a poco un ritmo normale.
Facessi. Niente… non so cosa pensavo. Stavo solo cercando di trovare un modo per… impedirti di uccidermi, credo. E per non dover… insomma, fare del male a te.”
“Perché? Io te ne avrei fatto. Non capisco te. Donna strana.”
Anna sospirò.
“Lascia perdere…”
Il vampiro arricciò le labbra, contrariato.
“Comunque la mia vanità ha subito un duro colpo, umana. Nemmeno un pensierino proibito su di me?”
Gesùùùùùùùù, altro che nessuno…
“Ma che dici! Non sono quel genere di…”
“Ohhh, sì che tu sei. Lo siete tutte.”
Con grande costernazione di Anna, Ray scivolò con lentezza giù dal mobile, gettò la sigaretta ancora accesa nel lavello e, fissandola, prese ad avanzare verso di lei. Insinuò una mano nei jeans neri e trasse un lungo sospiro, mentre i suoi occhi assumevano una sfumatura torbida, che allarmò Anna sopra ogni altra cosa. Si schiacciò contro il lavello e si guardò intorno alla ricerca di una via di fuga.
“Ti è piaciuto guardare me dormire?” le disse, ormai a pochi passi da lei. Quando parlava, i canini si rivelavano a tratti, ricordando ad Anna quanto fosse pericolosa la situazione in cui si trovava. Sola in casa con un essere soprannaturale pluricentenario che, presumibilmente, aveva ucciso migliaia di persone.
“Guarda che mi metto a urlare! Adesso strillo, ti avverto!”
Lui si fermò e la guardò con aria candida: “Perché? C’è incendio?” disse e, a dispetto della paura che provava ad Anna venne da ridere, ma riuscì a trattenersi. Il vampiro si era fermato e continuava a guardarla, la mano sempre inabissata nei pantaloni. “Rispondi a mia domanda, Anna.”
“Sì, mi è piaciuto. Sei molto bello. Questo non significa che tu possa… possa… fare così. Devo portare a spasso Bonnie!” esclamò, con una nota fin troppo evidente di disperazione nella voce.
Ray si lasciò sfuggire una delle sue solite risatine fulminee ed estrasse la mano dai pantaloni.
“Va bene. Ero solo curioso. Andiamo?”
Si voltò e si diresse ad ampie falcate verso la porta, come se niente fosse accaduto. Anna sospirò e lo seguì dopo pochi istanti, chiedendosi se sarebbe morta d’infarto prima della fine della serata.

Fu una passeggiata piacevole.

Non parlarono molto, ma il vampiro sembrava rilassato e se lo era lui, lo era anche Anna. Attraversarono proprio il parco in cui si erano incontrati meno di ventiquattro ore prima, lasciando che Bonnie annusasse qua e là, poi tornarono sui propri passi. Fu quando arrivarono sotto casa che le cose cambiarono. Nel momento in cui Anna apriva il portone d’ingresso, il vampiro la bloccò, annusando l’aria.
“Ferma. Ferma qui. Devo controllare una cosa.”
Lei lo vide scattare su per le scale, una macchia indistinta che risaliva le rampe a una velocità impensabile, e altrettanto velocemente le discendeva.
“C’è un problema. Ci sono stati ladri in casa tua. La porta è forzata e dentro è casino. Direi che stavano aspettando che tu uscivi.”
Anna si lasciò sfuggire un gemito di disperazione.
“Lo sapevo… hanno trovato la mia borsa. Lo sapevo!”
Lui non la stava ascoltando, però. Stava di nuovo annusando l’aria, gli occhi chiusi e un’espressione assorta.
“Sali. Io torno presto.”
“Ma…”
“Vai a casa, donna. Fidati di me” disse, poi partì in picchiata lungo la strada. Dopo pochi istanti era già sparito. Anna salì nel proprio appartamento e constatò sconfortata il disordine che lo deturpava. I gatti sembravano molto agitati e anche Bonnie si aggirava per le stanze come uno spirito inquieto. Anna raccoglieva distrattamente gli oggetti da terra, cercando di fare un inventario delle cose che mancavano, ma non le sembrava che ce ne fossero molte. Forse qualcosa li aveva disturbati. Forse li tenevano d’occhio e li avevano visti tornare. In fondo non avevano avuto molto tempo, meno di un’ora. Giunta in camera da letto, si accorse che i pochi gioielli che possedeva erano stati presi dalla scatola che teneva sulla cassettiera. Si lasciò cadere sconsolata sul letto e chinò la testa tra le mani. Il suo anello preferito… la collana di perle di sua madre… maledetti!

Era passata una mezz’ora scarsa, quando sentì dei passi lungo il corridoio. Si alzò di scatto, terrorizzata, temendo che qualche malvivente fosse tornato, o si fosse attardato in casa in qualche stanza che non aveva controllato, ma con enorme sollievo – chi l’avrebbe mai detto – vide che era solo Ray. Teneva qualcosa in mano, un oggetto che Anna riconobbe come la propria borsa. Solo che non era più color panna. Non completamente, almeno. C’erano inquietanti macchie rosse, qua e là sulla superficie.

Il vampiro seguì la direzione del suo sguardo e le fece un sorrisino contrito, poi prese a strofinare vigorosamente la borsa contro la propria maglia, per poi porgergliela con un gesto brusco. Anche le sue dita erano sporche, al pari del contorno della bocca.
“Ecco qua. Dentro ci sono tue cose. Spero ci sono tutte. Adesso noi siamo pari.”
Anna allungò la mano per riceverla, senza parole. Avrebbe avuto un sacco di domande da fargli, ma non era sicura di voler conoscere le risposte, quindi disse solo un “Grazie” cui il vampiro rispose con un lieve inchino. Affondò le mani in tasca e si guardò intorno con aria svagata.
“Ventiquattro ore sono quasi passate, umana. Sto per andarmene. Posso fare qualcos’altro per te, a parte lasciarti viva? Capirai che l’esistenza mia e di quelli come me deve rimanere un segreto…”
“E… e quindi?” balbettò Anna, con una spiacevole sensazione ad arrampicarlesi su per la gola come un ragno.
“E quindi io devo incantare te. Farti dimenticare nostro incontro. Niente di personale, ma è la regola.”
“No! Ti prego! Non dirò niente a nessuno, lo prometto, ma non privarmi di questo ricordo!”
“Non posso, mi dispiace.”
Anna si mise le mani sul viso a coprirsi gli occhi. L’idea di perdere il ricordo di quelle ore le pareva insopportabile. “Non voglio!”
Il vampiro sospirò e incrociò le braccia sul petto, guardandola esasperato.
“Femmina cocciuta…” ringhiò.
“Non sai quanto!” rispose Anna piccata, da dietro le mani.
“Alternativa è uccidere te. Preferisci? Per me non fa grande differenza. Importante è risultato. Sono tipo… pragmatico. È così che voi dite?”
“Sì. Ma io non dirò niente! Ancora non ti fidi, dopo che ti ho salvato la vita?”
Avendo ancora le mani sugli occhi, Anna non poté notare l’espressione vagamente imbarazzata del vampiro, che distolse subito lo sguardo e si passò una mano tra i capelli. Una ventata di aria gelida fu seguita dal più completo silenzio, e dopo qualche istante la donna si arrischiò ad abbassare le mani dal viso. Si ritrovò sola nella stanza e sospirò, mentre il suo povero cuore riprendeva a poco a poco un ritmo normale. Andò nell’ingresso, chiuse a chiave la porta, sussurrò un “ciao” e tornò ai suoi libri e alla sua vita.

[1] Ti ha dato della tr…, sappilo!

[2] Qui ti ha dato ancora della tr… e ti ha anche augurato che ti prenda un accidente.