Leggere Maurizio Landini è un esercizio di mobilità del pensiero. È come stare in bilico sul precipizio, su quel vuoto che egli ha sapientemente costruito con preordinata malizia e gelido cinismo. Un senso di equilibrio sempre più instabile, che attanaglia il lettore e che, immancabilmente, si ripercuote sulla struttura, tra le fenditure di una dorsale immaginaria che procede per metafore, interruzioni e silenzi ai limiti della regolarità. Ha più le connotazioni di un Abisso, di quell’insondabile profondità che è il luogo della Poesia più pura.
Proprio questa rottura della sintassi ordinaria concepisce una poetica dell’Immaginario, a dir poco geniale; crea un processo di sintesi che travalica il comune senso della riduzione del discorso all’essenziale (lakonismos). Il tempo e lo spazio sono compressi in sapienti approcci ellittici, sembra quasi che le distanze si contraggano a ogni passaggio, uno spasmo lirico che ben si sposa con il carattere individuale di ogni parola, mettendone così in risalto la profondità e il suo uso estensivo. Tutto quanto l’impianto sembra collassare su di sé, implode invece di frammentarsi all’esterno, rimanendoci alla fine soltanto cocci: assistiamo al declino di un mondo che ora esiste soltanto nella sua diretta proiezione distorta, come in una sorta di ripetersi. Anche gli stessi luoghi astratti si vestono di cristallina intangibilità, mentre il vuoto, sempre presente, impera dall’alto, diviene unità ritmica: scandisce i pensieri del poeta, statuisce la realtà altra degli oggetti e dei soggetti, essi stessi forme ialine, vitree, diafane, pronte a sparire per dare spazio a un pensiero ciclico che le rimette in gioco.
Dorsale (Marco Saya Edizioni, 2013) è una rete cristallina che conchiude il lettore nella sua rete versificatoria, lo spiazza, costringe soprattutto, con un cambio repentino e mai graduale, a modificare il proprio punto di vista, il modo di vedere le cose; quello di Landini è un pensiero geometrico e da qui il concetto di Poesia come visore di una realtà inedita, straniante, fatta di tangenze e intersezioni. Le parole incespicano a tratti, perdono la loro coerenza, il proprio corpo artificiale. La Poesia stessa è corpo, si riappropria così delle sue parti dopo aver sofferto i tagli, le amputazioni operate dal suo creatore, fino a raggiungere lucidi attimi di liricità figurativa, come in un ricongiungimento del tutto (Siamo noi Lesione. Umidità dell’attimo. A prenderci tutto e custodirci. lesi e gelosi. Siamo noi la perdita. di ogni partenza. la chiodatura salda degli arrivi). La fisicità si lega all’astratto, la corporeità del verso a quella intelligibilità che è prerogativa più genuina del dettato poetico per poi, tramite trasformazione (poiché la parola è metamorfica), riprendere il senso globale del testo con un nuovo costrutto. Da questo punto di vista, la poesia di Landini è vertigine.
Maurizio Landini (Ancona, 1972) ha pubblicato la sua prima silloge, Permanenze lontane, nel 2011, per Edizioni della Sera. L’anno dopo è uscita la plaquette Esacerbo. 20 poesie immature in e-book per Maldoror Press. Dorsale e Lo Zinco sono usciti con Marco Saya Edizioni.
È creatore e curatore del progetto di poesia e immagine Versigrafie.
Fabrizio Corselli
Curatore editoriale – Direttore di Collana (Hanami)
Edizioni della Sera
Docente di Improvvisazione orale a carattere epico
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