Ho comprato I Medici. Una dinastia al potere il 15 ottobre scorso, cioè tre giorni prima che su Rai 1 cominciasse la fiction internazionale, destinata a grande successo. Fin da subito sono stata convinta, per averlo letto da qualche parte, che il romanzo avesse fornito il soggetto allo sceneggiato e ho perfino la vaga impressione che la cosa venisse menzionata nei titoli di coda. Ma devo essermi sbagliata, visto che l’autore nega vibratamente l’esistenza di qualunque legame con la sceneggiatura televisiva. Quando ho visto il suo intervento su Facebook pochi giorni fa, sono rimasta stupefatta e quindi ho cominciato finalmente a leggere il romanzo. Non l’avevo fatto per molti mesi proprio perché la fiction mi era sembrata orrenda.

Matteo Strukul

Innanzitutto la narrazione procedeva per due linee temporali, divise da molti anni, usando in grande stile la tecnica del flashback, al momento di gran moda, con effetti stranianti soprattutto perché la regia sceglieva di non invecchiare i personaggi, che restavano sempre giovani e belli, quasi indistinguibili per età dai propri figli.

C’erano poi licenze storiche mostruose. Giovanni di Bicci moriva avvelenato (sic!) con una sostanza spalmata sui grappoli d’uva (sic!) che aveva l’abitudine  di staccare personalmente dalla pianta e per tutte le puntate cercavamo di scoprire chi fosse stato il colpevole, con ritmo, diciamo, da giallo. Poi l’ascesa dei Medici veniva ricostruita fin dal manifesto della serie in parallelo con quella dei Corleone di Coppola (insomma i Medici come padrini mafiosi del Rinascimento) e difatti il finale riecheggiava in modo chiaro ed evidente quello del Padrino 2 con il montaggio alternato fra Cosimo, che partecipa alla cerimonia religiosa di dedicazione della basilica di S. Maria del Fiore, e l’eccidio di tutti gli Albizzi, suoi nemici, presumibilmente dietro suo ordine, mentre si allontanano da Firenze verso l’esilio. Eccidio che nella realtà storica non avvenne affatto: è stato inventato di sana pianta dagli sceneggiatori. Non parliamo poi del fatto che Lorenzo il Vecchio, fratello di Cosimo, moriva anche lui verso la fine, scapolo e senza eredi. Il che vuol dire che un intero ramo dei Medici viene cancellato dalla storia.

Giovanni de Bicci

Durante le puntate della fiction ero andata a leggicchiare su Amazon le recensioni sul libro di Strukul per verificare se errori simili risalivano all’autore. Lo avevo fatto frettolosamente e (mea culpa!) avevo avuto quest’impressione. Ecco perché l’ebook era rimasto a dormire nel mio reader.

Dopo che l’autore ci ha informato meglio sulla sua opera, sono andata a ricontrollare le recensioni per capire cosa mi aveva sviato. Ne ho trovate 132, un numero alto, ma frequente sui titoli di punta della Newton Compton che organizza, se ho capito bene, su di essi un numeroso gruppo di lettura. Ovviamente c’era tutta la varietà delle valutazioni, cosa usuale su Amazon, dove si trova sempre chi assegna una stella a I fratelli Karamazov o a Il nome della rosa. Quindi lo spettro era così formato: 48/5-35/4-20/3-11/2-18/1. Insomma 29 stroncature: non poche, ma niente di che nel settore.

Rubens-copia della battaglia di Anghiari

Andando a leggerle religiosamente, possiamo elencare una serie di stranezze. Alcune persone non si sono accorte delle differenze fra libro e fiction, anzi affermano categoricamente che sono uguali, accusando implicitamente Strukul di aver scopiazzato, nonostante che la sua opera sia uscita prima della fiction. Altre se ne sono accorte, ma non sanno chi ha ragione (quindi non sono abituate neanche ad andare su Wikipedia o su Google). Molti lamentano un eccesso di scene di sesso, che ci sono, ma non mi pare in numero tale da essere definite eccessive. Qualcuno si lamenta che venga descritta una fellatio, che in realtà c’è, ma non viene descritta affatto, anzi l’autore la mette elegantemente in ellissi. Invece più d’uno parla di scrittura pornografica. Se ne deduce che noi lettrici di romance, perfino quelle un po’ puritane e moraliste come me, siamo ninfomani assatanate e manco ce ne accorgiamo, mentre loro pensano che nel Quattrocento non si facesse sesso per niente. Alcuni definiscono la scrittura scorrevole e semplice, altri pesante e arcaicizzante.

Istorie fiorentine, di Niccolò Machiavelli

CR55 titola Inattendibile e volgare: un insulto alla cultura!, ammette di aver letto solo il 40 per cento del romanzo, sottolinea (argomento su cui riconosco la mia totale ignoranza, ma che all’epoca mi deve aver convinta) che Niccolò da Uzzano in realtà era un acerrimo nemico dei Medici, schierato con Palla Strozzi e Rinaldo degli Albizzi, col quale promosse il Catasto (l’esatto contrario quindi di ciò che la penna ignorante ci propina!); e intanto trova inverosimile che Piccarda legga un libro perché a suo dire, prima dell’invenzione della stampa, i libri erano tomi scritti a mano, conservati nei monasteri o in rare biblioteche. Mai sentito parlare dei libri da bisaccia, evidentemente.

Qualcuno tuona contro le trilogie, posizione che io condivido, se non fosse che nell’ambito della storia dei Medici questo romanzo è quasi del tutto autoconclusivo. Qualcun altro odia il romanzo storico o accusa Strukul, non so sulla base di quali elementi, di aver sentito l’influenza di Dynasty e di Beautiful (e quindi, come me, non dev’essere tanto giovane), oppure neppure ha guardato la nota storica finale e immagina che l’autore abbia potuto scriverlo in pochi giorni in contemporanea con il successo della fiction. E infatti che ci vuole a scrivere 300 pagine? Niente!

Storia d’Italia, di
Francesco Guicciardini

Infine, per concludere, non posso fare a meno di citare chi si lamenta dell’intrusione nel romanzo di Schwartz e Laura, filone che invece, secondo me (ma tutti i gusti sono gusti), segna il vertice del romanzo.

Per chi si fosse incuriosito, ecco la mia recensione:

Un romanzo storico decoroso * * *

Nulla a che vedere con la (indecorosa) fiction televisiva. L’autore dichiara di aver ricostruito l’ascesa al potere di Cosimo de’ Medici sulla base delle Istorie fiorentine di Machiavelli e della Storia d’Italia di Guicciardini. Nuoce al romanzo la prima parte, decisamente noiosa, sul conflitto fra Firenze e Lucca e anche la scelta, pur fatta per motivi comprensibili, di procedere per blocchi narrativi. Personalmente non ho gradito del tutto neanche la battaglia di Anghiari, ma questo può dipendere dal fatto che difficilmente mi piacciono le scene di guerra.

La licenza storica più importante che l’autore si prende è quella di rappresentare l’unione, pur solida, fra Cosimo e la moglie Contessina come un matrimonio idilliaco, al punto da omettere totalmente la relazione extraconiugale a Venezia, durante l’esilio, con la schiava Maddalena, nonostante la presenza di un bambino, che pure Cosimo lodevolmente riconobbe come suo e che allevò in casa sua con i figli legittimi, grazie anche alla generosità della moglie. Il fatto è che l’autore ci tiene a presentare il protagonista in chiave molto positiva. Ma da lettrice di romance storici penso non sarebbe stato difficile scrivere una scena per giustificare il suo personaggio (che in fondo era da tempo lontano da Firenze e non sapeva quando e se sarebbe potuto tornare) e raccontare come Contessina arrivasse ad accettare la situazione.

Quindi, tutto considerato, secondo me, la parte letterariamente più riuscita è quella che riguarda Schwartz e Laura.

Certo niente osanna a cinque stelle. Però (ve lo dico all’orecchio), dopo aver finito questo, ho comprato il successivo, quello su Lorenzo il Magnifico.

Gli articoli de Il Taccuino di Matesi