Capitolo 2
Villaggio di Charka, a sud est di Omira
La foschia era salita, ora il sole penetrava tra i rami degli alberi quasi spogli riscaldando i cespugli del sottobosco.
Nabir sentiva i raggi toccarlo, a tratti, mentre si dirigeva lento e attento verso casa. Aveva le braccia piene di rami, malgrado non avessero un gran bisogno di legna. Non era ancora giunto il momento di accendere il camino, anche se il freddo era alle porte. Solo l’umidità della sera e del mattino presto creavano dei fastidi, ma la stagione era ancora bella, senza troppe piogge.
Scrutò i dintorni, le ombre più scure a indicargli i tronchi degli alberi. Ormai conosceva quel sentiero così bene da poterlo percorrere a occhi chiusi, e il pensiero lo fece sorridere tra sé. Non sarebbe mancato molto, lo sapeva. Avrebbe dovuto sentirsi perso, disperato, ma lo sorprendeva scoprire che, dopotutto, la condizione non era così diversa da come era. Le sue mani e le sue orecchie erano così forti, sensibili, da compensare ciò che non riusciva a raggiungere con la vista.
Gli alberi si diradarono fino ad allargarsi ai suoi lati, e l’improvvisa luminosità e l’odore di fumo gli fecero capire che era nella radura. Ancora poco e sarebbe arrivato a casa.
Il richiamo della sua sijia gli fece aumentare il passo. Non c’erano ostacoli tra i suoi piedi e la casupola, e il sole ormai gli scaldava le spalle e il collo. Lo stomaco brontolava e aveva fame.
«Sono qui, sijia,» esclamò, l’ombra del casolare che ormai incombeva su di lui. Si abbassò per posare i fasci di rami su un lato della porta e, quando si raddrizzò, la figura di Selia riempì lo spazio davanti a lui.
«Ancora rami, Nabir? Abbiamo legna in abbondanza.»
Non era un rimprovero, e lui sorrise. «Ero andato a controllare le trappole, tornando ho cominciato a raccogliere qualche ramo.»
La risata di Selia lo accarezzò. «Qualche ramo?» ripeté.
«È pino, così la carne alla brace sarà anche profumata.»
Percepì il silenzio, poi Selia sorrise. Poté udirlo nella sua voce, il sorriso.
«A breve arriverà Sitra. Le faremo trovare un buon pranzo.»
La sua sijia era una donna eccezionale. Aveva capito senza che lui si attardasse a spiegare il suo intento. «Sì.»
«Andrò a vedere le trappole tra un po’. Ti sembrava che ci fosse qualcosa?»
«No, sijia. Non ancora,» aggiunse.
Selia ritornò dentro e Nabir la seguì, il fresco dell’ombra che andava a rimpiazzare il calore che fino a poco prima gli aveva scaldato i capelli e il corpo. Presto sarebbe arrivata la stagione fredda, le visite di sua madre si sarebbero diradate fino a scomparire, per poi tornare nell’epoca dei boccioli. Nabir voleva trarre quanto più piacere da quella visita, abbracciare Sitra e sentirla parlare della vita nella capitale, della gente che conosceva, delle ragazze che addestrava. Adorava sua madre, e sapeva che lei gli voleva bene. Selia aveva calcolato il periodo, per questo erano sicuri che sarebbe arrivata. Lui sapeva quanti e quali fossero i suoi impegni: non ci vedeva bene, ma non era stupido. La guerra, benché il villaggio fosse distante da Omira, era arrivata fin lì, con le notizie che a volte le mercanti si facevano strappare dalle persone con cui intrattenevano affari. E le notizie non erano sempre buone.
Nabir si sedette al tavolo in mezzo alla stanza e seguì con lo sguardo l’ombra della sua sijia che si muoveva tra il focolare e il tavolino sotto la finestra. Zuppa di patate, a giudicare dall’odore. A differenza di altre donne, a Selia non sembrava pesare occuparsi del cibo e della casa, consapevole quanto lui della sua sventura. Eppure, Nabir cercava di fare il possibile per non essere d’intralcio, per poter aiutare la sua sijia in tutto ciò che gli era possibile. Era diventato così bravo a mettere trappole, ad acchiappare conigli e selvaggina. Selia un giorno gli aveva detto che era orgogliosa di lui, che aveva ascoltato bene le lezioni di una cacciatrice consumata.
A volte, invece, lui si rammaricava di non poter fare di più. Soprattutto quando era stanco, o quando ascoltava sua madre, durante le sue fugaci visite, raccomandarsi a Selia per il denaro. Le aveva ascoltate, non visto, ed era venuto a sapere di come Sitra cercasse ogni più piccolo ingaggio come guardia del corpo, che non contrastasse con i suoi doveri di istruttrice, per racimolare quanto più possibile per garantirgli un futuro.
Se solo non avesse avuto quell’aspetto… Glielo avevano detto le donne del villaggio: era così bello, e così delicato. Non era un complimento, era ledere la sua virilità. Non poteva nemmeno avere un futuro come libero amante, le donne non cercavano un uomo dai tratti gentili o dal corpo esile: volevano un uomo bello, muscoloso e che garantisse loro il piacere. Oltre alla sua vista precaria, anche quella mancanza serviva a fargli chiedere quale fosse il suo reale posto in quel mondo. Una domanda che sfociava nella disperazione, finché Selia non lo scovava nell’angolo in cui si rintanava e lo scrollava per fargli dimenticare quei pensieri. La sua sijia non sembrava affatto come le altre donne del villaggio o come le mercanti che passavano di lì. Era una donna tutta d’un pezzo, una esploratrice dell’esercito ormai a riposo. Eccezionale e intelligente.
«Dove sei, Nabir?» Selia si sedette al tavolo di fronte a lui.
«Proprio qui, sijia.» Si era di nuovo perso nei pensieri, e lei se ne era accorta.
«Non direi. Stavi guardando il tavolo come se volessi incenerirlo.»
«Come se ne fossi capace,» rise lui.
«Lascia da parte i pensieri. Tra un po’ arriverà mia figlia, dobbiamo fare festa.»
Nabir sorrise. «I due conigli che ho preso ieri serviranno allo scopo.»
Selia gli prese la mano. «Il mio piccolo cacciatore. Certo che serviranno. Sitra sarà orgogliosa nel sapere quanto sei diventato abile.»
Lui annuì, ricambiando la stretta gentile. Sua madre lo sapeva già, ma la sua sijia lo ribadiva ogni volta, così da non farla preoccupare. Non era facile occuparsi di un uomo, oltretutto con le sue difficoltà. Selia avrebbe potuto disfarsi di lui, invece di tenerlo con sé, sfamarlo e vestirlo. Nabir era felice di vivere ai margini della foresta, poco lontano dal villaggio. Era felice di poter aiutare la donna a cui era stato affidato. Il suo cuore si riempì di affetto per Selia e per quella madre che vedeva così poco, ma dalla quale aveva avuto molto. A dispetto di tutte le leggi e del modo in cui molti uomini erano trattati, la sua vita era tranquilla, serena. Quando avesse abbracciato Sitra, lo sarebbe stata ancora di più.
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