Capitolo 16

Non era stato ancora portato al cospetto della Custode dei Confini, ma questo non aveva impedito alla Comandante e alle sue guardie di allungare le mani e i pugni. I capelli gli facevano male, laddove glieli avevano tirati, e la guancia doleva per il pugno arrivato quando era incespicato su un sasso. A quelle donne non importava niente che non vedesse bene: l’avevano trascinato come se fosse una bestia da macello, ed era così che Nabir si sentiva. Un animale pronto per il sacrificio.

Nella piccola cella in cui l’avevano gettato, poiché di quello si trattava, si era rannicchiato in un angolo e si era abbracciato le ginocchia, posandovi la fronte ed estraniandosi dal mondo. Aspettava solo il momento in cui sarebbero andate a prenderlo per portarlo di fronte alla donna a cui sua madre aveva fatto un torto imperdonabile. Si augurava soltanto che la fine sopraggiungesse in fretta, quando lei lo avrebbe giudicato colpevole di qualcosa che non aveva commesso.

Nabir sollevò appena la testa, ma la penombra gli impediva di vedere qualsiasi cosa. Era cieco del tutto, in quel posto, la nebbia che gli oscurava la vista un muro buio. Il suo udito fine gli aveva portato il rumore sommesso di passi in avvicinamento, che andò a sommarsi al battito furioso del proprio cuore. Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando l’avevano spinto dentro la cella, ma in quel momento gli sembrò troppo poco: presto sarebbe stato giudicato e condannato. Non poteva dire di non essere responsabile della situazione in cui era, ma, anche se poco tempo, gli era piaciuto vivere con Gyllahesh, Myrrin e gli altri uomini. Gli era piaciuto lavorare in giardino e aiutare nelle faccende domestiche. Il suo rimpianto più grande era non poter dire addio alla sua sijia: chissà se Gyllahesh le avrebbe fatto sapere cosa gli era accaduto. Selia era stata la sua famiglia, lo aveva allevato e gli aveva voluto bene, nonostante le difficoltà. Non avrebbe più potuto riabbracciarla.

Si raddrizzò e si alzò in piedi quando lo sferragliare della porta annunciò che erano finalmente arrivate. La luce improvvisa che proveniva dal corridoio gli impedì di vedere persino le ombre di chi stava sulla soglia a fissarlo. Nabir si augurò che non lo picchiassero ancora, ma sapeva anche quanto potessero essere violente quelle donne, soprattutto con qualcuno come lui. Cercò di essere coraggioso, di combattere la paura che gli attorcigliava lo stomaco, invece non poté impedire che gli occhi gli si riempissero di lacrime. Strinse i denti, ricacciandole indietro, mentre le donne entravano.

***

Ombre intorno a lui. Rumori e parlottii indistinti nelle orecchie.
Non lo avevano legato, ma quale bisogno c’era, quando era circondato da guardie che lo avrebbero trapassato con le loro spade affilate non appena avesse emesso un suono che avrebbe potuto sembrare una minaccia?
Nabir era in piedi in una stanza luminosa, dove era stato condotto da chi era andato a prelevarlo. Non lo avevano toccato, questa volta, né schiaffi, né capelli tirati. Forse volevano preservarlo per la Custode. Sapeva che c’era, aveva intravisto un’ombra scura davanti a sé quando le guardie l’avevano fatto fermare, dopo aver attraversato innumerevoli corridoi bui e aver salito scale interminabili. Non le ricordava all’andata, ma era pur vero che si trovava in una situazione tale da non poterlo fare, frastornato dal pugno che gli era stato sferrato.
Respirò appena, spaventato dal fatto che lo uccidessero per averlo fatto. Le voci aumentarono di volume e a quella delle donne si aggiunse anche una maschile. Un timbro forte, che aveva già udito: doveva trattarsi dell’onorabile Yadosh, l’uomo incontrato il giorno prima al mercato. Stava discutendo con qualcuno, ma non riusciva a distinguere le parole. Forse stava parlando di lui, o forse no. Si stupì che non gliene importasse poi molto, giunto a quel punto. Non sapeva se c’era qualcosa che avrebbe potuto garantirgli la clemenza della Custode, non con quello che sua madre aveva fatto. Era colpa sua, lo sapeva: se non fosse stato per lui…
«E così tu sei il figlio di quella cagna traditrice.»
L’ombra davanti a lui era alta e sottile, la voce femminile doveva essere piacevole da ascoltare, in un momento diverso. Ora vibrava di rabbia, e Nabir si accorse di comprendere le motivazioni: sua figlia era stata quasi uccisa, e da una persona di cui si fidava, visto che era la sua istruttrice.
Doveva rispondere o sarebbe stato punito per la sua impudenza?
Nabir decise che ormai non valeva più la pena di preoccuparsi.
«Sì.»
Non ci furono colpi, benché si fosse irrigidito in attesa che arrivassero.
«Lo sai perché sei qui, non è vero?»
Nabir fece un cenno col capo, senza aprire bocca, e questa volta il colpo gli arrivò da dietro, tra le scapole, facendolo barcollare e buttar fuori tutta l’aria dai polmoni.
«La Custode ti ha fatto una domanda,» ruggì una voce nel suo orecchio. «Oppure oltre a essere cieco sei anche stupido?»
«Melina, basta.» L’ombra di fronte a lui si avvicinò. «Te lo chiedo di nuovo-»
«Mia madre ha tentato di uccidere vostra figlia,» la interruppe lui. «Ed è scomparsa. Ma io non so dove sia.»
«Penso proprio che l’abbiano eliminata,» sbottò la voce. «Mi hanno anticipato. Ora comunque ho te, e pagherai per quello che ha fatto quella cagna.»
Nabir strinse le labbra: se lo aspettava, ma anche così era difficile trovare una giustificazione alla cosa. Chinò la testa, rassegnato. La sua vita doveva andare così, finire in quel modo. Chiuse le mani a pugno, per non cedere alla disperazione.
Le guardie si mossero, ma non lo toccarono. Era sopraggiunto qualcosa di nuovo, lo capì dall’agitazione che percepiva dietro di sé. Poi udì una voce maschile provenire da qualche parte oltre le sue spalle, e il terrore si impossessò di lui. Gyllahesh. Non avrebbe dovuto essere lì, anche se il suo cuore lo aveva sperato. Lo avrebbero ucciso come sarebbe successo a lui.
«Devo vedere la Custode e l’onorabile Yadosh,» lo sentì urlare, e la donna di fronte a lui si mosse, sostituita da una figura più alta e massiccia.
«Che cosa ci fa qui?»
«È venuto per il ragazzo. È il suo protetto.»
«Allora avrebbero dovuto prendere anche lui, per aver dato rifugio a un traditore.»
«Rainna…»
A Nabir occorse un istante per capire che le due persone davanti a lui stavano discutendo a bassa voce. Nella sala dov’erano ci fu un tramestio, e i passi in avvicinamento si fermarono proprio accanto a lui.
«Nabir. Che cosa ti hanno fatto, in nome di Alcheria?» Il tono di Gyllahesh lenì il dolore che sentiva nel petto, ma peggiorò il suo terrore.
«Sei tu che hai offerto un tetto a questo ragazzo, sapendo benissimo chi era.»
«Sì, lo sapevo, mia Signora. Sua madre mi salvò la vita, volevo sdebitarmi.»
«Sdebitarti con una traditrice della peggior specie?» Il gelo nella voce della Custode sferzò Nabir, che chiuse gli occhi per un attimo, riaprendoli quando Rainna riprese a parlare. «Siete colpevoli entrambi di tradimento, e immagino tu sappia qual è la pena.»
Nabir alzò la testa, individuando la figura snella in mezzo alla nebbia che gli appannava gli occhi.
«No! Lui è colpevole soltanto di aver voluto onorare un debito. Signora, vi prego. Sono io l’unico da condannare. È colpa mia se mia madre ha compiuto quell’azione, e di questo vi chiedo perdono. Lasciate andare Gyllahesh.»
«Smettila, Nabir,» gli intimò l’uomo al suo fianco. «Non me ne andrò da qui senza di te.»
«Non puoi far niente, se non vivere,» mormorò lui, girandosi a guardare la macchia scura. «Devi vivere, Gyllahesh. Non voglio morire con il rimorso di aver causato un’altra morte. Sitra lo ha fatto per me. Non dire un’altra parola e va’ via.»
Una mano si chiuse sulla sua spalla e lui girò la testa. «Ragazzino, non ti permetto di mancarmi di rispetto.» La donna strinse più forte la presa e lui percepì il dolore.
«Perdonatemi. Perdonate Gyllahesh, ve ne prego.» Si lasciò scivolare sulle ginocchia, fissando in alto la macchia indistinta del viso che lo sovrastava. «Mi ha accolto solo per senso dell’onore. È un uomo buono, e voleva sdebitarsi. Mia madre ha sbagliato e probabilmente è già stata punita, ma non lo avrebbe mai fatto se non fosse stato per me. Sono io e solo io che dovete condannare, Signora.» Udì il verso strozzato che proveniva dalla sua destra, ma continuò a fissare la donna. «Voi non fareste qualsiasi cosa per vostra figlia, se ce ne fosse bisogno?»
«Osi chiedermi una cosa del genere?» sbraitò Rainna.
«Oso, perché so che ormai il mio destino è segnato. Lo è da quando sono nato. È stato solo per la bontà di mia madre e della mia sijia se sono arrivato nell’età adulta. Mia madre ha fatto tutto per me, e ha pagato nel peggiore dei modi il suo errore. Potete rivalervi su di me, ne avete tutto il diritto, ma vi chiedo, vi scongiuro, lasciate andare Gyllahesh.» Le lacrime sfuggirono al suo controllo e gli scesero lungo le guance. Non c’era ormai più nessuna dignità da salvaguardare, non c’era mai stata. Nabir sperò soltanto che una delle donne più potenti del regno si abbassasse ad ascoltarlo.
«Madre…»
Di chi era quella voce esile?
«Cosa ci fai qui? Dovresti essere nella tua stanza.»
«Non hai risposto alla domanda che lui ti ha fatto.»
«Non c’è nessuna risposta da dare, Nhavi. Torna nella tua camera.»
«Rispondi, Madre. Faresti qualsiasi cosa per me, se ce ne fosse bisogno?»
«Lo sai che è così.»
«Anche condannare un ragazzo la cui unica colpa è quella di non vedere e non potersi curare di se stesso? La cui unica colpa è quella di avere avuto una madre che lo ha amato a tal punto da condurla alla morte?»
«Lei voleva ucciderti.»
«Ma non lo ha fatto, Madre. Avrebbe potuto, ma si è fermata. Non lo avrebbe mai fatto.» La figuretta snella scurì la nebbia negli occhi di Nabir, mentre la giovane si avvicinava. «Madre, lui non ha colpa, se non quella di essere stato amato da una madre. Come me.»
«Nhavi, non è la stessa cosa.»
«Lo è. Ascoltami, ti prego anch’io di lasciare andare entrambi. Non voglio che venga versato altro sangue.»
Nabir chiuse gli occhi, le lacrime a bagnargli le guance. Sentì una mano sfiorare la sua, una mano grande, e un’altra stringergli la spalla. La ragazza si era fermata accanto a lui.
«Madre, ti prego.»
«E chi mi dice che non cercheranno di attentare nuovamente alla tua vita o a quella di qualcun altro a me vicino?»
«Perché ormai il gioco è stato scoperto.» Yadosh parlò con calma, e Nabir lo sentì vicino. «Chiunque sia stato, non ripeterà due volte l’errore di attaccarci come è stato fatto.»
«Dunque dovrei lasciare andare il libero amante e il ragazzo? Senza alcuna condanna?» Rainna sembrava dubbiosa, ma la rabbia che le aveva avvelenato la voce era scemata.
Nabir si chiese se poteva tornare a respirare. La mano che sfiorava la sua intensificò il contatto, andando ad avvolgergli il polso. Brividi corsero lungo il suo braccio, e nuove lacrime trovarono la strada per uscire. Quella ragazza, la stessa che sua madre aveva ferito, li stava aiutando? Poteva credere che sarebbero stati salvi? Tutto ciò non toglieva nulla al fatto che la colpa fosse sua, che quella giovane donna che aveva parlato in suo favore ci fosse andata di mezzo perché era la figlia di una donna potente. Qualunque cosa avesse deciso la Custode, il rimorso per aver spinto sua madre a eseguire quell’azione scellerata non lo avrebbe lasciato.

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